La relazione recente tra Filippine e Cina è stata connotata da turbolenze e dispute. Questioni legate ai progetti di sviluppo hanno generato dubbi circa l’integrità degli investimenti cinesi, rivelando la venalità delle istituzioni filippine. Parallelamente, il contenzioso nel Mar Cinese Meridionale ha portato a un deterioramento dei legami bilaterali, raggiungendo il punto più basso dall’avvio di relazioni diplomatiche nel 1975. Tuttavia, sotto l’amministrazione del Presidente Rodrigo Duterte la relazione ha subito una drastica inversione di tendenza, passando da un clima ostile a una prospettiva più amichevole. Durante la sua visita di Stato in Cina nell’ottobre 2016, Duterte ha dichiarato il riallineamento alla Cina dopo cinque anni durante i quali i due governi non avevano intrattenuto scambi di alto livello. Allontanandosi dalla posizione intransigente del proprio predecessore, Duterte ha posto in secondo piano le questioni relative alla sicurezza, favorendo la ripresa dei rapporti politici ed economici.
Nei cinque anni precedenti (2011-2016), sotto l’amministrazione guidata dal Presidente Benigno Aquino III, la relazione era stati infatti dominata dalle dispute marittime. A partire dal 2012 la Cina ha occupato l’atollo conteso di Scarborough Shoal all’interno della zona economica esclusiva delle Filippine, assumendone il controllo effettivo. La situazione è stata ulteriormente aggravata dalla costruzione illegittima di infrastrutture e dall’interdizione illegale imposta ai pescatori filippini di operare all’interno di quelle che fino ad allora erano le proprie zone di pesca. La crisi è stata poi aggravata dal ricorso avanzato nel 2013 dalle Filippine contro la Cina al Tribunale internazionale del diritto del mare. Nel 2016 la Corte permanente d’arbitrato (CPA), sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha decretato l’invalidità dei diritti storici rivendicati da Pechino in base alla cosiddetta linea dei nove tratti sull’area contesa con le Filippine.
Le relazioni economiche tra i due Paesi hanno pertanto risentito delle tensioni politiche e all’apice della disputa gli operatori filippini hanno dovuto affrontare un’applicazione più rigida delle regole commerciali da parte delle autorità cinesi. Ciò si è manifestato chiaramente quando la Cina ha imposto requisiti rigorosi sulla sicurezza alimentare nel 2012, che hanno portato al bando delle importazioni di banane dalle filippine. Il bando fu applicato dopo che funzionari cinesi avevano trovato insetti in vari container di banane provenienti dalle Filippine, ma la decisione è stata vista come una rappresaglia motivata dalla disputa marittima in corso.
Tuttavia, l’attitudine amichevole e l’approccio accomodante di Duterte sono stati premiati da Pechino con vari impegni di prestiti e investimenti volti a finanziare lo sviluppo di infrastrutture nelle Filippine. E, aspetto ancora più significativo, i pescatori filippini hanno ripreso le loro tradizionali attività, sebbene ancora sotto il controllo della guardia costiera cinese. Gli impegni cinesi nel settore delle infrastrutture assumono una valenza particolare se si considerano le passate controversie relative a progetti finanziati dalla Cina nel Paese come la Northrail e il National Broadband Network, entrambi cancellati a causa di accuse di corruzione e irregolarità. Tali controversie hanno rappresentato un imbarazzo nazionale per le Filippine e un’immagine negativa per la Cina, ma tramite la partecipazione all’Iniziativa “Belt & Road” (BRI) e alla Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), è lecito aspettarsi che le Filippine avranno una relazione economica più costruttiva con la Cina. Del resto, la Cina è rimasta la prima fonte di importazioni con una quota del 20,8% a gennaio 2017, per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Tale dato riflette un aumento del 26,4% rispetto all’anno precedente. Contemporaneamente, i proventi generati dalle esportazioni verso la Cina hanno raggiunto i 501 milioni di dollari, portando l’interscambio totale oltre i due miliardi. Questo dinamico commercio bilaterale è importante tanto per le Filippine, per la propria economia interna oltre che per migliorare le relazioni diplomatiche, quanto per la Cina, per cui rappresenta uno strumento per accrescere la propria influenza economica nella regione e neutralizzare l’immagine di stato aggressivo nel perseguimento delle proprie rivendicazioni marittime. Inoltre, il governo filippino ha sfruttato il riavvicinamento a Pechino anche per rinnovare le relazioni politiche e di sicurezza. Va infatti sottolineato che nonostante il verdetto favorevole della CPA le Filippine non hanno la capacità navale necessaria a far rispettare i diritti sanciti dal tribunale sfidando la guardia costiera cinese prevenendone l’accesso l’atollo di Scarborough Shoal. Con la visita di Duterte in Cina i pescatori filippini, come detto, hanno potuto riprendere le proprie attività dopo quattro anni e, in seguito alla partecipazione di Duterte al Belt & Road Forum tenutosi a Pechino nel maggio 2017, è stato riavviato il dialogo bilaterale di alto livello sulle dispute marittime.
Il miglioramento delle relazioni con la Cina dopo anni di tensioni può essere attribuito alla politica pragmatica di Duterte. Pur inserendosi in un contesto caratterizzato dalla sfida mossa a Pechino dall’amministrazione precedente, Duterte ha scelto di collaborare con la Cina gestendo le tensioni senza adottare alcuna misura militare all’indomani del verdetto arbitrale, ottenendo in questo modo varie concessioni economiche. Il cambio di rotta è radicato nella convinzione che in ultima analisi la popolazione filippina possa trarre maggiori vantaggi da una fruttuosa collaborazione economica con la Cina invece che insistere su rivendicazioni territoriali impossibili da imporre. Quella che può apparire come una tattica economica fortemente opportunistica che pone in secondo piano la sicurezza marittima del Paese è in realtà un aggiustamento di politica estera con un fondamento logico che riflette l’approccio calcolatore e orientato agli affari di Duterte.
Inoltre l’amministrazione Duterte ha posto l’accento sul perseguimento di un “politica estera indipendente” che svincoli Manila dalla tradizionale dipendenza dagli Stati Uniti. Pur mantenendo l’alleanza con Washington, sotto Duterte sono state intensificate altre relazioni con attori altrettanto rilevanti, come il Giappone, e con Paesi non democratici e con valori politici diversi come la Russia. Considerando la lunga tradizione democratica del Paese, l’avvicinamento a Mosca è rappresentativo del suddetto approccio pragmatico di Duterte, che si traduce in un’azione diplomatica accomodante che antepone gli accordi economici alle questioni ideologiche. Le Filippine, infine, mirano a smarcarsi dalle rivalità tra grandi potenze cercando di collaborare con tutti quei Paesi che offrano opportunità di benefici economici, a prescindere da eventuali questioni politiche.
Se però il governo cinese ha accolto con favore il mutato approccio di Manila e il miglioramento delle relazioni bilaterali, l’opinione pubblica filippina si presenta divisa. Ciononostante, la percezione generale è che la politica accomodante di Duterte nei confronti della Cina abbia permesso di ridurre temporaneamente le tensioni marittime e migliorare i commerci. In quanto piccola potenza, le Filippine considerano positivamente questo cambiamento in favore di relazioni di vicinato più pacifiche per il proprio sviluppo economico.
Nel lungo termine è imperativo che il Paese sia tanto accomodante quanto vigile nel relazionarsi con Pechino sotto tale “politica estera indipendente” ancora ambigua e da operazionalizzare. Considerata la discontinuità in politica estera, la sfida per l’amministrazione Duterte sarà costituita dal mantenersi prudente nella fase di attuazione. A tal fine sarà necessario che le istituzioni fungano da contrappeso e organo di vigilanza alle decisioni basate su impulsi individuali che sono state finora il marchio di fabbrica della presidenza Duterte.
Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini
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