Introduzione
L’Australia ha da sempre considerato il Sud-Est asiatico una regione chiave dal punto di vista strategico per la sua storia e la sua geografia. L’opinione è che qualsiasi focolaio di instabilità nella regione avrà prima o poi ripercussioni anche in Australia. Un primo esempio è la questione del traffico di esseri umani. Il punto di partenza delle rotte della tratta è quasi sempre l’Indonesia. L’attuale competizione tra gli Stati Uniti e la Cina nel Mar Cinese Meridionale rappresenta un’altra area di autentico interesse dell’Australia.
In questo breve articolo, esaminerò solo brevemente le relazioni attuali tra l’Australia e il Sud-Est asiatico dalla prospettiva dei due più importanti Paesi a maggioranza musulmana della regione, ovvero l’Indonesia e la Malaysia. La riflessione di fondo è che mentre l’Australia fa di tutto per essere un buon vicino, le dinamiche politiche interne in Indonesia e Malaysia creeranno tensioni permanenti nelle loro relazioni con Canberra.
In generale, la considerazione che l’Indonesia e la Malaysia – e gran parte dei Paesi dell’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) – hanno dell’Australia è valutata sulla base di due elementi storici. Il primo riguarda la tristemente famosa politica della White Australia, mentre il secondo è l’adesione dell’Australia all’alleanza occidentale. Entrambi non sono valutati né positivamente né negativamente, ma buona parte dei decisori politici li reputa come eventi storici attraverso cui comprendere il rapporto dell’Australia con la regione del Sud-Est asiatico.
Per Indonesia e Malaysia, i cinquant’anni precedenti si sono contraddistinti per le centinaia di studenti riversatesi nelle scuole e nelle università australiane da entrambi i Paesi. Molti laureati che hanno partecipato ai programmi di studio messi in palio dal “Piano di Colombo” hanno assunto posizioni di rilievo, in politica e non solo, una volta fatto ritorno a casa. Lungo tutto questo lungo lasso temporale, l’Australia rimase la destinazione preferita dalla classe media indonesiana e malaysiana che manda i propri figli a studiare nelle università australiane, andando a creare una cerchia permanente di professionisti che guardava all’Australia con benevolenza. Negli anni recenti, la relazione è stata caratterizzata dalla cooperazione nell’ambito della sicurezza.
L’Indonesia e il “ricco vicino” meridionale
Non è semplice, in un breve articolo, occuparsi della complessa relazione tra l’Indonesia e l’Australia. Ad ogni modo, ci sono alcuni fattori determinanti che mi piacerebbe evidenziare. In Australia, la comunità accademica e la cerchia di esperti di questioni militari e di sicurezza si sono da sempre mostrate interessate all’Indonesia[1]. Molti indonesiani vedono l’Australia come un “vicino ricco” e la mettono in relazione agli attentati di Bali e all’indipendenza di Timor Est. Nel 2002 a Kuta, una località turistica nei pressi della città di Bali, una serie di attentati costò la vita a 202 persone, tra cui 88 cittadini australiani. Bali è vista da sempre come il paese dei balocchi per gli australiani che vogliono visitare l’Indonesia, perciò non è un caso che gli islamisti intendessero deliberatamente colpire proprio l’Australia. Due anni fa, un’autobomba esplose fuori dall’edificio che ospita l’Ambasciata australiana a Giacarta. Questi attacchi portarono alla firma del “Trattato di Lombok” tra i due Paesi, che prevede sostanzialmente la cooperazione di intelligence e diversi ambiti di sicurezza.
Nel 1999, l’ex colonia portoghese di Timor Est si separò dall’Indonesia e dichiarò la propria indipendenza. Parecchi indonesiani accusarono l’Australia di appoggiarne la causa quando assunse il comando dell’operazione International Force East Timor (INTERFET), nata con l’obiettivo di organizzare il referendum sull’indipendenza della parte orientale dell’isola di Timor, che si tenne il 30 agosto 1999. L’ironia fu che l’Australia, almeno all’inizio, fu la nazione più contraria all’indipendenza, temendo che avrebbe generato instabilità, ed era soltanto propensa a promuovere una più larga autonomia. Furono le pressioni dell’opinione pubblica australiana all’indomani del massacro di Dili[2] che portarono il governo a cambiare opinione[3]. Ancora oggi esiste un nutrito gruppo di opinion leader indonesiani che ritiene che l’Australia si stia immischiando invano negli affari interni dell’Indonesia. C’è qualcuno che teme che l’Australia potrebbe interferire anche in Papua occidentale (già Irian Jaya occidentale), sulla scia di quanto fatto con Timor Est, se il movimento secessionista locale dovesse sfuggire di mano. È risaputo che alcuni dei suoi leader vivono e operano in Australia (e nello Stato sovrano della Papua Nuova Guinea).
In anni recenti, molti indonesiani ritengono che l’Australia dovrebbe trattare l’Indonesia con maggiore rispetto e come un Paese alla pari, essendo entrambi membri del G20. Inoltre, essi ricordano sempre che la popolazione dell’Indonesia è quasi dieci volte più grande di quella dell’Australia e che, prima o poi, i dati economici dell’arcipelago supereranno quelli della grande isola dell’Oceania. L’Indonesia è attualmente la più grande economia dell’ASEAN.
In linea di massima, larga parte della popolazione indonesiana vede l’Australia come un “ricco vicino”, una destinazione ideale per gli operatori economici, per coloro che intendono studiare e per i migranti. Così, mentre l’Australia considera il traffico di esseri umani dall’Indonesia un problema serio, per gli indonesiani invece la questione riguarda semplicemente la condizione di alcuni rifugiati che cercano disperatamente di raggiungere una vita migliore in un Paese occidentale. Molti indonesiani non credono che tutto questo possa minacciare la sicurezza nazionale dell’Australia, anzi è in realtà vero il contrario. I rigidi controlli alle frontiere sono visti come il tentativo razzista di bloccare l’accesso al territorio australiano di persone non bianche.
I cittadini comuni indonesiani sono probabilmente anche irritati dalla percepita arroganza australiana che emerge ogni volta che tirano fuori i discorsi sui diritti umani e sulla buona governance. In particolare, si mostrarono contrariati quando hanno appreso che l’intelligence australiana stava spiando i telefoni cellulari dei funzionari indonesiani di alto rango, incluso quello dell’ex presidente della Repubblica Susilo Bambang Yudhiyono. Il rifiuto del governo australiano di porgere le scuse ufficiali infiammò la situazione.
Tra i decisori politici, la più importante relazione ufficiale tra i due Paesi è l’Indonesia-Australia Comprehensive Economic Partnership Agreement (IA-CEPA). I funzionari di entrambe le parti scommettono che questo accordo si rivelerà un segnale di svolta per le relazioni bilaterali. I volumi dell’interscambio commerciale tra i due Paesi sono tra i più bassi rispetto a quelli registrati con altri Paesi del G20. Nel 2018, meno dell’1% degli investimenti esteri dell’Australia è diretto in Indonesia. Il commercio tra Australia e Indonesia ristagna e, in entrambi i casi, i due Paesi non si trovano nelle rispettive liste dei primi dieci partner commerciali. Il pensiero comune è che il modo più semplice per portare avanti la relazione sia quello di incrementare l’interscambio, dove ci sono parecchie opportunità da sfruttare.
La Malaysia: le ragioni storiche e strategiche di una relazione in costante crescita
Il punto in comune tra l’Australia e la Malaysia è che entrambe sono state ex colonie britanniche. Per quanto riguarda la fondazione istituzionale, dunque, si conoscono molto bene a vicenda. L’Australia ha da sempre avuto un ruolo diretto negli affari malaysiani: ne è esempio per tutti l’invio di truppe australiane nell’allora Malaya per stanare la ribellione comunista[4]. I soldati australiani sono stati determinanti nel garantire la sicurezza nel Borneo malaysiano (o Malaysia orientale). Un giudice australiano ha perfino aiutato a stendere la Costituzione nel periodo post-conflitto. La cooperazione in ambito della sicurezza è salda e affonda le radici nei Five Power Defence Arrangements (FPDA), un patto militare congiunto firmato nel 1971 da Malaysia, Australia, Nuova Zelanda, Singapore e Regno Unito. L’Aeronautica militare reale australiana ha un presidio permanente nell’isola di Penang.
Ma l’autentico punto di forza della relazione sta nei legami a livello di istruzione. Oltre trecentomila studenti malaysiani hanno studiato in Australia e tutte le migliori istituzioni della Malaysia possono contare sui servigi di connazionali laureatisi nelle università australiane. Oggi più di ventimila cittadini malaysiani studiano in Australia e, attualmente, quattro università australiane hanno istituito dei propri campus in Malaysia.
Formalmente, le relazioni dipendono largamente dall’intesa personale tra i leader politici. Forse gli anni Ottanta sono stati il periodo peggiore delle relazioni bilaterali, quando l’allora primo ministro australiano Paul Keating insultò l’allora collega malaysiano, Mahathir Mohamad, chiamandolo “il recalcitrante Mahathir”.
Malgrado una lunga storia, la relazione tra i due Paesi si è elevata al livello di “partnership strategica”, che l’establishment politico malaysiano posiziona ampiamente su un gradino più basso rispetto all’IA-CEPA che l’Australia ha contratto con l’Indonesia. E ciò nonostante la Malaysia sia uno dei dieci principali partner commerciali dell’Australia.
I cittadini comuni della Malaysia esprimono un giudizio positivo sull’Australia, corroborato dal grande numero di malaysiani che hanno studiato in Australia o visitato il Paese da turisti. Quasi duecentomila malaysiani hanno una residenza permanente in Australia, più del doppio rispetto ai cittadini di nazionalità indonesiana. È possibile trovare professionisti di origine malaysiana in ogni settore produttivo dell’economia australiana
Tuttavia, la percezione dell’Australia tra i malaysiani è alterata dal fattore razziale. Il 90% e oltre dei migranti provenienti dalla Malaysia appartengono alle comunità non malay, l’etnia dominante della Federazione. Più dell’80% degli studenti malaysiani che sono finanziati con fondi privati nelle istituzioni australiane sono di etnia non malay. Molti sono scappati in Australia per fuggire dalle politiche economiche e sociali pro-Bumiputera[5].
L’ascesa dell’Islam conservatore
Negli anni recenti, la percezione che Indonesia e Malaysia hanno dell’Australia è stata influenzata dall’ascesa dei movimenti dell’Islam conservatore in entrambi i Paesi. Sebbene l’influenza sia più forte in Malaysia che in Indonesia, questi gruppi hanno qualche convinzione che li unisce. Tra di loro c’è chi pensa che l’Australia sia troppo vicina a Israele a causa dei suoi legami con gli Stati Uniti. In questo senso non ha certamente aiutato la possibilità che il governo australiano trasferisse la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. L’Australia ha fatto marcia indietro a seguito delle proteste ufficiali avanzate dai governi di Giacarta e Putrajaya[6]. Gran parte dei musulmani indonesiani e malaysiani hanno interpretato la ventilata decisione come il tentativo di emulare gli Stati Uniti.
Vi è poi la questione dei gruppi del terrorismo di matrice islamista. Molti movimenti conservatori in Indonesia e in Malaysia non li considerano come gruppi “terroristici”, anzi alcuni di essi ritengono che stiano portando avanti il “jihad” contro l’Occidente cristiano. Dai molti sondaggi effettuati nei due Paesi emerge chiaramente il sostegno allo Stato Islamico (Islamic State – IS) e ad altri gruppi dell’Islam radicale, perlomeno quando la campagna da essi perseguita abbia come bersaglio i cristiani. Infatti, i miliziani indonesiani e malaysiani unitisi all’IS hanno raggiunto un numero sufficiente da poter formare una propria brigata[7]. Molti di questi movimenti vedono l’Australia come un Paese “cristiano”, malgrado le statistiche ufficiali confermino che il numero degli australiani che si professa cristiano sta lentamente diminuendo[8].
È qui doveroso precisare che questi gruppi sono ancora una minoranza in entrambi i Paesi, ma ci sono pochi dubbi sulla loro crescente influenza sulla società. Se il sostegno diretto alle loro azioni radicali è limitato, i loro proclami contro l’Occidente e i cristiani ottengono un più ampio sostegno tra la comunità islamica. Finché l’Australia continuerà a essere vista come un fedele alleato degli Stati Uniti, quel sentimento di rancore rivolto agli americani si estenderà anche all’Australia.
Quo vadis? I vicini che vivono all’ombra del Dragone
In sintesi, il riemergere dell’Islam conservatore in Indonesia e in Malaysia avrà un impatto negativo nei rapporti con l’Australia. Tuttavia, ciò può essere mitigato dall’incremento dell’interscambio commerciale e degli scambi culturali e i numeri saranno decisivi. Una delle ragioni per cui i malaysiani hanno oggi una immagine positiva dell’Australia è semplicemente dovuta al fatto che, rispetto al passato, ci sono più cittadini della Malaysia che hanno visitato il Paese. Quando l’Indonesia diverrà più ricca, non c’è nessuna ragione di dubitare che il numero di indonesiani che si recherà in Australia aumenterà in maniera considerevole.
Per l’Australia la buona notizia è che, malgrado sia vista con una certa diffidenza, i governi di Giacarta e di Putrajaya guardano con maggior scetticismo un altro Paese in particolare: la Cina. La postura aggressiva di Pechino nel Mare Cinese Meridionale ha significato che, indirettamente, qualcuno crede che l’Australia possa giocare un ruolo importante sia in Indonesia sia in Malaysia, ma non solo. Gran parte dei Paesi ASEAN ritiene ormai che l’ascesa della Cina sia inevitabile, ma le medie Potenze vicine come l’Australia, la quale aderisce al sistema di alleanze occidentale, hanno un ruolo nel temperare le azioni negative cinesi, specialmente nell’arena diplomatica.
La morale della favola per l’Indonesia e la Malaysia è la seguente: finché l’Australia sarà vincolata a entrambi i Paesi, l’Indonesia e la Malaysia saranno vincolate all’Australia. Esse non vedono l’Australia come “parte” della regione[9] né come un Paese “asiatico”, malgrado il governo di Canberra sostenga di rappresentare un Paese multiculturale dai legami profondi con l’Asia. Di fatto, agli occhi dei vicini settentrionali, il continente australiano rimane ancora un “Paese di bianchi” più in linea con il mondo occidentale. Indonesia e Malaysia vedono cioè l’Australia semplicemente come un vicino “bianco occidentale”, il portato storico del colonialismo europeo. Riconoscono che essa sia ben disposta a coinvolgerli negli affari regionali, mentre i due Paesi del Sud-Est asiatico vogliono allacciare rapporti migliori con Canberra, ma l’Australia non sarà mai pienamente accettata come parte del Nusantara[10]: alla luce di questo, non è nulla di più se non un buon vicino.
Traduzione dall’inglese a cura di Raimondo Neironi
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[1] Non v’è dubbio che è possibile trovare un gran numero di specialisti dell’Indonesia all’interno del sistema universitario australiano. A molti di questi studiosi che vivono e lavorano in Australia è stato infatti vietato di rientrare in Indonesia durante il periodo di Suharto (1967-98).
[2] Il 12 novembre 1991, a Dili, la capitale di Timor Est, i soldati dell’Esercito indonesiano aprirono il fuoco contro una folla di manifestanti, riunitisi per chiedere l’indipendenza, uccidendo tra le 75 e le 200 persone. Si tratta del peggior massacro perpetrato dalle forze indonesiane contro gli abitanti dell’isola e, agli inizi degli anni Novanta, salì alla ribalta delle cronache grazie alla presenza di numerosi giornalisti e cameramen australiani e occidentali che ripresero e commentarono il tragico evento [N.d.T.].
[3] McCarthy, J. (2020), “The myths of Australia’s role in East Timorese independence”, The Strategist, ASPI, 18 gennaio, disponibile online al link https://www.aspistrategist.org.au/the-myths-of-australias-role-in-east-timorese-independence/
[4] L’autore si riferisce alla cosiddetta “Malayan Emergency”, ovvero, allo stato di emergenza dichiarato il 18 luglio 1948 dalle autorità britanniche, che allora controllavano e amministravano il territorio della penisola, a seguito di due distinti attentati perpetrati due giorni prima dal Partito comunista malay. Lo stato di emergenza fu revocato nel 1960 [N.d.T.].
[5] Durante il periodo di attuazione delle politiche pro-Bumiputera, la Malaysia discriminava sistematicamente i suoi cittadini appartenenti alle minoranze etniche non malay, in particolar modo cinesi e indiani. Ciò ha causato una “fuga di cervelli” che ha visto privare il Paese di un vasto numero di figure professionali, in gran parte non malay, che hanno lasciato la Malaysia per perseguire le proprie carriere all’estero. Si stima che la cifra oscilli tra uno e due milioni. In merito, cfr. World Bank (2011), “Malaysia economic monitor: brain drain”, disponibile online al link http://documents.worldbank.org/curated/en/282391468050059744/Malaysia-economic-monitor-brain-drain
[6] È il nuovo centro amministrativo federale della Malaysia, situato a pochi chilometri da Kuala Lumpur [N.d.T].
[7] Singh, J. (2015). “Katibah Nusantara: Islamic State’s Malay Archipelago Combat Unit”, RSIS, Commentary No. 126, disponibile online al link https://www.rsis.edu.sg/wp-content/uploads/2015/05/CO15126.pdf
[8] Nel censimento più recente, risalente al 2016, solo il 52% degli australiani si identificava come cristiano, mentre il 30% dichiarava di non professare alcun credo religioso.
[9] Non è un caso che non ci sia un concreto supporto da parte dell’Indonesia e della Malaysia all’adesione dell’Australia all’ASEAN. C’è però qualcuno, all’interno della diplomazia australiana, che auspica che possa diventarne membro in futuro.
[10] Con questo termine si intendono gli Stati dell’arco marittimo della regione del Sud-Est asiatico: Indonesia, Malaysia, Singapore, Brunei, Filippine e Timor Est. Si contrappone al cosiddetto “Sud-Est asiatico continentale”, ovvero la penisola indocinese [N.d.T.].
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