L’avvocato dei lavoratori migranti

Anche se i più non ne avranno mai sentito parlare, Zhou Litai non è un avvocato qualunque. È stato uno dei primi a fornire assistenza legale ai lavoratori migranti nella Shenzhen della metà degli anni Novanta, uno dei pochi che all’epoca ha deciso di non voltarsi dall’altra parte di fronte a quei lavoratori dagli abiti dimessi che cercavano disperatamente aiuto per recuperare mesi di salari arretrati, paghe dovute per infinite ore di straordinari, risarcimenti per la perdita di un arto o della salute. Allora come oggi, la grande maggioranza degli avvocati evitava casi del genere: i tempi lunghi, gli elevati costi delle trasferte, la difficoltà di trovare prove e le basse prospettive di guadagno scoraggiano anche le persone più volenterose e idealiste.

Zhou Litai era un’eccezione. Nato in una famiglia di contadini poveri nei pressi di Chongqing, Zhou aveva frequentato solamente il secondo anno di scuola media. Nel 1980, in una Cina che muoveva i primi incerti passi sul cammino delle riforme, aveva deciso di migrare nello Hunan, dove aveva trovato lavoro in una fabbrica di tegole. Dopo tre anni, convintosi della necessità di aiutare i lavoratori a combattere per i loro diritti, aveva trovato un lavoro umile nell’ufficio di un procuratore e si era dedicato da autodidatta allo studio del diritto, finché nel 1986 non era finalmente coronato il suo sogno di ottenere la licenza da avvocato.

Se non fosse stato per Peng Gangzhong, un lavoratore migrante incontrato a Shenzhen nel 1996 che aveva recentemente perso un braccio in un incidente sul lavoro, Zhou sarebbe diventato probabilmente un avvocato come tanti altri. Invece, accettando il caso, egli non solo riuscì a garantire al suo assistito un risarcimento di 178 mila yuan, una cifra astronomica per l’epoca, ma stabilì anche un precedente fondamentale per l’innalzamento dei compensi in casi di questo tipo, fatto ampiamente riportato sulla stampa locale e nazionale. Per Zhou è stato l’inizio di una brillante carriera come “avvocato dei migranti” (nongmingong lüshi, 农民工律师).

Grazie ad una serie di casi d’alto profilo, Zhou Litai si è ben presto trasformato in un simbolo della lotta per i diritti dei lavoratori, e come tale è stato osannato dai media cinesi ed internazionali. Dal 1996, i clienti si sono susseguiti senza sosta, e Zhou va tuttora orgoglioso di aver gestito oltre dodicimila casi nell’arco di sedici anni. Tutto questo gli ha giovato non poco: tra il 2001 e il 2007 ha aperto tre uffici legali tra Chongqing e Shenzhen. Come ha recentemente affermato al Nanfang Dushibao (sito in cinese): “Non sono certo un Lei Feng redivivo, se aiuto qualcuno a fare causa, devo essere pagato ed è giusto che sia così” (Lei Feng, giovane soldato dell’Esercito popolare venne eretto a icona in fatto di altruismo in epoca maoista, dopo essere morto accidentalmente nel 1962).

Proprio questa contraddizione tra beneficenza e imprenditorialità hanno finito per danneggiare la reputazione di Zhou Litai. Nel 2004 egli ha avviato una serie di cause contro i propri ex-clienti, lavoratori che una volta ottenuto il risarcimento dovuto si erano dati alla macchia senza saldare la parcella. Il primo era stato proprio Peng Gangzhong: una volta ottenuto il risarcimento, era scomparso dalla circolazione senza pagare quanto dovuto. Anche se il mancato pagamento delle parcelle aveva causato a Zhou Litai perdite per diversi milioni di yuan, la scelta di portare in tribunale dei lavoratori mutilati, così come gli insulti (sito in cinese) ai migranti “che non rispettano le regole” da lui pubblicati sul suo blog nel 2007, hanno finito per gettare un’ombra sul suo operato.

Ora, sedici anni dopo quell’inizio così promettente, Zhou ha deciso di lasciare definitivamente Shenzhen e dedicarsi a casi commerciali a Chongqing. Forse aprirà un centro di ricerca sui diritti dei lavoratori, ma non è certo. Come ha spiegato al Nanfang Dushibao, sono troppe le cose che gli hanno lasciato l’amaro in bocca. Secondo Zhou, anche se la situazione dei lavoratori cinesi è cambiata molto in questi anni, oggi come in passato i migranti rimangono delle “formiche impegnate in una lotta contro elefanti”, tanto che molti non hanno altra scelta che ricorrere a misure estreme. Inoltre, dopo il 2008 il tasso di vittorie a favore dei lavoratori in casi sul lavoro sarebbe sceso in maniera drammatica: se prima del 2008, Zhou poteva aspettarsi di vincere nel novanta per cento dei casi, dopo il 2008 aveva difficoltà ad arrivare persino al cinquanta per cento. Colpa della crisi finanziaria, che – a dire suo e di molti altri osservatori – avrebbe indotto i governi locali (e di conseguenza gli organi giudiziari che da questi dipendono) a favorire ancora una volta il capitale sui lavoratori.

L’addio di Zhou Litai è quindi ben più di una storia di disillusione personale. Al pari della conversione dei flussi migratori a favore delle aree dell’interno della Cina, della rinnovata repressione nei confronti delle organizzazioni della società civile impegnate nella tutela dei diritti dei lavoratori migranti a Shenzhen e della riorganizzazione in chiave corporativa della società civile del Guangdong, l’abbandono di Zhou è l’ennesima prova che un cambiamento epocale è in atto nella fabbrica del mondo. Se fare previsioni è azzardato, le premesse sono tutt’altro che rassicuranti.

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