Le fragilità strutturali della Cina “prima” economia mondiale

Come era lecito attendersi, i dati del primo trimestre del 2014 hanno evidenziato un parziale rallentamento dell’economia cinese, che ha registrato uno dei livelli di crescita più bassi dal 2009. Il comunicato ufficiale dell’Ufficio nazionale di statistica ha tenuto a precisare tuttavia come il percorso di aggiustamento strutturale dell’economia proceda nella direzione sperata, alimentando gli usuali dibatti sui cambiamenti in corso nel modello di crescita. Tutto questo mentre un articolo del Financial Times illustra come già per la fine di quest’anno sia atteso il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti come prima economia al mondo.

Ma procediamo con ordine. I dati relativi al primo trimestre del 2014 mostrano una crescita del Pil del 7,4%, tra i valori più bassi degli ultimi anni, e inferiore di 0,3 punti percentuali rispetto all’ultimo trimestre (e alla media) del 2013 (Fig. 1). Si tratta indubbiamente di un segnale di rallentamento, che molti commentatori hanno attribuito ai trend non troppo positivi della produzione industriale, delle vendite e delle esportazioni e, soprattutto, del mercato immobiliare nei primi mesi dell’anno.

Tra i dati più preoccupanti vi è anche quello degli investimenti fissi lordi (ad esempio in macchinari o costruzioni), che in questo primo trimestre hanno fatto registrare una crescita del 17,6%, il valore più basso dal 2002. Si tratta di un peggioramento rilevante, inferiore al 17,9% dei primi due mesi dell’anno e ben al di sotto del 20,9% registrato nel periodo corrispondente del 2013 (Fig. 2).

I nuovi dati hanno ravvivato il dibattito sul processo di trasformazione dell’economia cinese. Secondo dati dell’Ufficio nazionale di statistica, la domanda interna ha contribuito per il 64,9% al volume totale del Pil nel primo trimestre, un valore più alto di 1,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Alcuni commentatori, d’altra parte, hanno presentato dati ripresi dalla stessa fonte ufficiale che mostrerebbero come i consumi abbiano contribuito con il 5,7% alla crescita nel primo trimestre, mentre gli investimenti si fermano al 3,1% (il valore finale di 7,4% si ottiene sottraendo il contributo negativo delle esportazioni nette, che in questo primo trimestre ammonta a -1,4%).

Secondo David Dollar, della Brookings Institution, si tratta indubbiamente di un segnale incoraggiante nella direzione della sostenibilità dell’economia. D’altra parte, non è una storia inedita. Secondo Dollar, la medesima situazione si è già verificata negli anni 2010-2013, e il motivo è che il primo trimestre è un periodo favorevole per i consumi, per via delle festività, che incidono negativamente anche sugli investimenti (Fig. 3). Negli anni precedenti, i trimestri successivi hanno però regolarmente visto una decelerazione dei consumi, la cui crescita si stabilizza intorno al 4,5%, mentre i valori medi degli investimenti crescono anche alla luce degli interventi di stimolo del governo per raggiungere tassi di crescita sostenuti. Alla luce di una possibile ripresa delle esportazioni, grazie alla ripresa del mercato statunitense, un vero ribilanciamento dell’economia dovrebbe richiedere un ridimensionamento degli obiettivi di crescita annuali (intorno al 7%), con un pacchetto di riforme atte a stimolare la crescita dei redditi (che c’è, e risulta meno iniqua dai dati del primo trimestre con il gap tra aree urbane e rurali ridottosi rispetto all’anno scorso) e la promozione di investimenti più efficienti.

L’articolo summenzionato del Financial Times mostra che – se le stime di crescita del Fondo monetario sono corrette – la Cina diventerebbe la prima economia mondiale già alla fine di quest’anno. La previsione si fonda sulla pubblicazione di nuove stime del programma di comparazione internazionale della Banca mondiale, che ha aggiornato i dati sul Pil delle diverse economie mondiali usando il sistema della parità del potere d’acquisto. In breve, le nuove stime indicano una forte redistribuzione della ricchezza mondiale verso i paesi a medio reddito, che nel 2011 ne detenevano circa la metà. Tra questi, la Cina, il cui Pil nel 2005 era pari al 43% di quello statunitense ed è arrivata nel 2011 all’87% (Fig. 4). Se è vero, come riporta l’articolo in questione, che tra il 2011 e il 2014 la Cina è cresciuta del 24% mentre gli Stati Uniti del 7,6%, il sorpasso avverrà già alla fine di quest’anno. Se ciò accadesse, si tratterebbe naturalmente di un primato più simbolico che reale, dato che in termini nominali e pro-capite le differenze tra i due paesi restano elevate (Fig. 4), senza contare la sfide strutturali che l’economia cinese è chiamata ad affrontare per ammissione dei suoi stessi vertici politici.

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