Le nuove “Vie della Seta” e il Medio Oriente: ambizioni strategiche e divisioni regionali

Sono passati poco più di quattro anni da quando il Presidente cinese Xi Jinping ha presentato la Belt and Road Initiative (BRI) come nuova cornice per l’azione diplomatica cinese. Prodotto delle logiche antiche e moderne che determinano la visione del mondo delle autorità cinesi, la BRI nelle sue due componenti – la 21st Century Maritime Silk Road via mare e la Silk Road Economic Belt via terra – mira ad integrare il continente eurasiatico e riordinarne gli equilibri geo-economici in senso congeniale allo sviluppo cinese.[1] Il capitale politico investito ai massimi livelli a Pechino non può essere sottostimato: come sottolineato da Nie Wenjuan, accademico della China Foreign Affairs University – una delle fucine del personale diplomatico cinese – il successo della BRI non è soltanto una questione nazionale, ma è anche strettamente legato al prestigio personale del Presidente Xi Jinping, anche più della risoluzione di questioni spinose come le dispute nel Mar Cinese Meridionale.[2]

La regione euro-mediterranea, costrutto geopolitico composto da Europa meridionale, Nord Africa e Medio Oriente, è per questa ragione sempre più saliente per la diplomazia cinese, sia come snodo commerciale per le merci che viaggiano sulla tratta Asia orientale – Europa, sia come regione di provenienza del petrolio e del gas naturale tuttora imprescindibili per mantenere acceso il motore dell’economia cinese. Non a caso, figure vicine al mondo industriale e politico cinese sono arrivate a sostenere che il reale obiettivo della BRI[3] sia garantire alla Cina la possibilità di continuare stabilmente ad attingere alle risorse naturali della regione, piuttosto che incrementare l’accesso ai mercati europei che si trovano al termine delle nuove “Vie della Seta”.

Alessandro Panaro e Olimpia Ferrara in questo numero di OrizzonteCina hanno descritto come la BRI stia contribuendo in maniera significativa a riportare il Mediterraneo al centro dei flussi commerciali mondiali; questo articolo analizza come la Cina e i paesi del Medio Oriente concepiscano la trasformazione delle relazioni bilaterali alla luce della presenza cinese in continua espansione nella regione.

La tesi sostenuta in questo contributo, fondata sulla ricerca condotta nel 2017 nell’ambito del programma ChinaMed, è che la relazione fra Cina e Medio Oriente sia in realtà pericolosamente viziata da profonde incomprensioni. Tuttavia, mentre le élite cinesi stanno lavorando per affinare la propria comprensione della regione, delle sue dinamiche idiosincratiche e del suo ruolo all’interno dei cambiamenti che interessano il sistema internazionale nel suo complesso, manca ancora fra i paesi del Medio Oriente una visione coerente e condivisa della natura della presenza cinese nella regione. L’articolo è diviso in quattro parti. La prima offre una panoramica sulla presenza cinese in Medio Oriente e sul suo sviluppo. L’analisi delle fonti accademiche e giornalistiche cinesi e dei paesi della regione euro-mediterranea è al centro rispettivamente della seconda e della terza parte. La quarta ed ultima parte discute i problemi determinati dalle differenze di approccio tra i soggetti coinvolti che l’analisi mette in luce.

La presenza cinese in Medio Oriente: una panoramica

Fra i cinque fattori – energia, commercio, vendita di armi, relazioni politiche e relazioni culturali – solitamente impiegati per analizzare le relazioni fra Cina e Medio Oriente,[4] energia e commercio sono i due che più contribuiscono all’attuale espansione della presenza cinese. Non a caso, proprio questi due elementi[5] sono stati riconosciuti dal governo cinese come pilastri della relazione fra Cina e Medio Oriente.

Cominciando dal settore energetico, la relazione fra la Cina e i produttori di petrolio e di gas naturale della regione è cambiata in modo rilevante. Nel corso degli anni, si è passati da una netta dipendenza cinese nei confronti del Medio Oriente ad una ben più marcata interdipendenza fra le due parti. Le Figure 1 e 2 mostrano chiaramente questa trasformazione. Vari fattori hanno contribuito a questo cambiamento, che ha avuto profonde ripercussioni su come le decisioni prese a Pechino possano influenzare la regione. Da un lato, la crisi economica globale, il drastico calo delle importazioni energetiche americane e la crescita portentosa delle economie asiatiche, Cina in particolare, hanno fatto sì che i grandi produttori del Golfo diventassero sempre di più dipendenti dal gigante asiatico. Dall’altro, Pechino ha portato avanti un’efficace strategia di diversificazione e, in maniera minore, ha promosso[6] la produzione nazionale di petrolio di scisto e gas da argille.

Figura 1

Fonte: elaborazione dell’autore su dati ITC TradeMap.

Figura 2

Fonte: elaborazione dell’autore su dati ITC TradeMap.

Produttori di idrocarburi a parte, si può dire che la dipendenza dell’intera regione dal mercato cinese sia in forte crescita (Figura 3). Una delle forze che giocano un ruolo importante in questo processo sono gli ingenti investimenti cinesi in infrastrutture portuali (da Abu Dhabi a Gibuti, da Porto Said al Pireo) e logistiche nell’intera regione del Mediterraneo allargato. L’Oman e la Turchia sono fra i principali riceventi e richiedenti di prestiti della Asian Investment Infrastructure Bank, la banca multilaterale di sviluppo creata da Pechino con lo scopo di finanziare la costruzione di grandi progetti infrastrutturali nel continente eurasiatico. Questi investimenti (Figura 5) e l’impegno crescente di imprese cinesi in importanti progetti ingegneristici hanno portato circa 80.000 lavoratori cinesi a insediarsi stabilmente nella regione.[7]

Figura 3

Fonte: elaborazione dell’autore su dati ITC TradeMap.

Figura 4

Fonte: China Trade and External Economic Statistical Yearbook (vari anni).

Figura 5

Fonte: PRC MOFCOM Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment (vari anni).[8]

A fronte di una presenza economica così forte, l’aspetto militare è estremamente contenuto e pressoché insignificante in confronto a quello americano e russo. Ad eccezione fatta per circa 400 caschi blu cinesi in Libano e alcune navi della marina militare facenti parte del dispositivo internazionale mobilitato contro i pirati del Golfo di Aden, la Cina ha costruito la sua unica base militare al di fuori dei propri confini nazionali a Gibuti. Anche se i soldati lì schierati sono stati impegnati in alcune esercitazioni ampiamente pubblicizzate dai media cinesi, è ancora presto per affermare con esattezza quale ruolo ricoprano nella strategia cinese rispetto alla regione. Il primo Libro Bianco pubblicato dal governo cinese sul Medio Oriente all’inizio del 2016[9] fa riferimento alla cooperazione militare con i paesi della regione e ad un maggiore impegno volto a garantire la stabilità regionale, la lotta al terrorismo e alla pirateria. Anche se la Cina ha usato i propri limitati asset militari durante le evacuazioni dei propri cittadini nel 2011 dalla Libia e nel 2015 dallo Yemen, il suo coinvolgimento nelle questioni di sicurezza regionale rimarrà con ogni probabilità basato sull’uso della diplomazia attraverso inviati speciali e, per ora solo nel caso della Siria,[10]  delegazioni militari per rafforzare la cooperazione e acquisire informazioni per favorire una maggiore comprensione della regione.

La Cina guarda al Medio Oriente: opportunità sistemiche e sfide regionali

Come già notato in passato,[11] Pechino valuta gli eventi in Medio Oriente a seconda di come questi rafforzino o indeboliscano la leadership globale americana e di come influiscano sulla sicurezza degli interessi cinesi nella regione. Un articolo pubblicato recentemente da due studiosi cinesi su Global Review, rivista dell’influente Shanghai Institute for International Studies (SIIS), offre un’analisi molto precisa di come la Cina si trovi ora a dover prendere decisioni molto difficili di fronte al peggioramento delle condizioni di sicurezza e all’ormai evidente frammentazione della regione.[12]

Il caos in Medio Oriente aiuta la Cina a ridurre il divario che la separa dagli USA. Secondo Daniel C. Lynch, la maggior parte degli studiosi cinesi di politica internazionale ritiene che la dinamica di sorpasso della Cina sugli USA sia ben avviata. Questo è particolarmente vero nel caso del Medio Oriente.[13] Infatti, mentre la Cina si rafforza in Asia e la Russia torna a esercitare pressioni sull’Europa, i lunghi anni di guerra nel Medio Oriente si ritiene abbiano ulteriormente indebolito gli USA e la loro presa sulla regione.

Come scrive il direttore dell’Istituto per gli studi sul Medio Oriente del China Institutes for Contemporary International Relations (CICIR), tuttavia, il ritorno della regione ad un’ “era di frammentazione” è fonte di problemi rilevanti anche per la Cina.[14] La ritirata e l’indebolimento della posizione statunitense sta creando ampi spazi di manovra per la Russia, le cui azioni, secondo gli analisti cinesi, spesso non contribuiscono alla stabilità regionale. La Siria in particolare è stata definita “orfana”[15] della Russia, poiché questa ha portato in Siria soldati e bombe senza avere i mezzi e piani precisi per la ricostruzione del paese. Questo rischia di creare terreno fertile per la radicalizzazione ed il terrorismo, fenomeni che non solo hanno già fatto vittime cinesi in Siria[16] e Mali,[17] ma che sono visti come potenziali minacce anche per la stabilità delle regioni occidentali della Cina, dove tradizionalmente vive una nutrita comunità musulmana.

Allo stesso tempo, la fragilità dei sistemi politici di Turchia e Iran è vista come un fattore che impedisce il concreto rafforzamento delle relazioni della Cina con questi potenziali partner. Le recenti proteste in Iran, ad esempio, sono lette dai cinesi[18] come sintomatiche di problemi sociali ed economici ancora troppo profondi. La politica estera della Turchia è invece vista come ostaggio di un processo di “mediorientalizzazione”[19], data la crescente influenza della religione sulle sue dinamiche interne, a discapito dello storico impianto secolare del paese. Gli esperti cinesi sono anche consapevoli[20] del fatto che l’avvicinamento di questi paesi alla Cina probabilmente durerà solo fino a quando le loro relazioni con l’Europa e gli USA non miglioreranno.

Mentre prosegue il dibattito su se e come intervenire per proteggere gli interessi e la vita dei cittadini cinesi all’estero, cresce anche il senso di frustrazione per la scarsa presa che il messaggio di Pechino sembra esercitare sulla regione. Il messaggio che i diplomatici cinesi solitamente comunicano alle loro controparti della regione è che lo sviluppo economico è la soluzione più efficace al malcontento sociale che, come la cosiddetta “Primavera Araba” ha dimostrato, rende instabile l’intera regione. La prosperità economica dei singoli paesi, ottenuta grazie ad una più stretta collaborazione con la Cina nel quadro delle nuove “Vie della Seta”,[21] dovrebbe creare incentivi per sotterrare le asce di guerra, e quindi porre fine ai conflitti e alle rivalità in corso.

Uno studio dedicato alle descrizioni che i media cinesi e statunitensi fanno dello stato di Israele fornisce un quadro eloquente della situazione attuale.[22] Nonostante Israele sia il principale alleato degli USA del Medio Oriente e sia l’acerrimo nemico politico dei principali partner da cui l’economia cinese dipende nella regione, i media cinesi tendono a non soffermarsi su questo aspetto, interessandosi invece ad Israele per via della sua capacità di innovazione tecnologica e per la complementarietà che esiste fra le economie dei due paesi. Raramente i media cinesi criticano le politiche di Gerusalemme verso i Palestinesi o la questione nucleare iraniana.

Il Medio Oriente guarda alla Cina: semplici partner commerciali?

Mentre in Cina il dibattito sul Medio Oriente sta diventando sempre più ampio e articolato su pubblicazioni sia giornalistiche che accademiche, in Medio Oriente sono soprattutto i giornalisti a scrivere di Cina. Non si può dire che esista un vero e proprio dibattito regionale:[23] esistono piuttosto tanti dibattiti quanti sono i paesi della regione, e ognuno di questi è incentrato sulle relazioni bilaterali che ciascun paese intrattiene con la Cina. I pochi studi[24] pubblicati dai centri di ricerca della regione sembrano dunque rifarsi a questo approccio nel loro voler decifrare la Cina: un approccio limitato e circoscritto, privo di un più ampio respiro “regionale”.

L’analisi di queste pubblicazioni conferma i timori degli analisti cinesi: la Cina è vista principalmente come fonte di capitali, merci e aiuti, anziché essere vista come un attore che si muove sullo scacchiere politico regionale. Il fatto che sia frequente leggere sui media regionali che la Cina è pronta ad investire miliardi di dollari nella ricostruzione della Siria[25] è un esempio lampante di questa visione superficiale del coinvolgimento della Cina in questo peculiare spazio politico. Che la Siria non sia ricca di petrolio come l’Iraq, e che la Cina abbia il timore di entrare nel mirino di gruppi terroristici attivi nel paese (oltre ad essere rimasta delusa dalle azioni d’ingerenza militare portate avanti dalla Russia) sono tutti fatti ampiamente ignorati dai principali commentatori mediorientali.

La Cina è quindi uno specchio sul quale si riflettono i desideri e le rivalità della regione. I media francofoni del Nord Africa, ad esempio, spesso riportano notizie di funzionari governativi algerini e marocchini,[26] i quali auspicano il miglioramento delle politiche di attrazione di investimenti cinesi nei loro paesi, purché questi miglioramenti avvengano ai danni dei paesi rivali. In modo analogo, l’ambasciatore iraniano a Pechino e il Vice ministro delle finanze di Teheran hanno più volte sottolineato[27] come la relazione fra Cina ed Iran sia da proteggere da interferenze esterne, individuando nell’Arabia Saudita il principale ostacolo sul cammino di una Cina che potrebbe potenzialmente giocare un ruolo più attivo nelle attività di mediazione per la risoluzione dei conflitti regionali. Israele e Turchia guardano invece alla Cina in maniera differente a seconda del ruolo che questa assume nei loro disegni strategici. I media turchi sottolineano l’entità dei benefici[28] che una cooperazione più stretta con Pechino potrebbe portare alla Turchia, specialmente nella cornice di una politica estera portata avanti da Ankara in maniera sempre più attiva e indipendente dai tradizionali alleati NATO. I media e una parte del mondo politico israeliano sono, invece, contrari al rafforzamento dei legami economici con Pechino per paura[29] che la presenza economica cinese nel paese possa un giorno trasformarsi in influenza politica. Inoltre, alcune iniziative cinesi – come il ricevimento di una delegazione palestinese a seguito della decisione statunitense di spostare l’ambasciata a Gerusalemme – sono state bollate come “destabilizzanti”,[30] e quindi chiaramente indesiderabili da parte israeliana. Mentre la Cina può fare ben poco per aiutare i palestinesi, azioni del genere rischiano solo di motivare l’esecuzione di attentati ai danni di soldati e civili israeliani.

Considerazioni conclusive

Sebbene si basi su articoli giornalistici e report accademici, l’analisi del dibattito cinese e mediorientale sul ruolo nella Cina nella regione mostra chiare differenze su come le due parti guardino l’una all’altra. Non solo le élites cinesi, ma anche quelle del Medio Oriente,[31] infatti, sembrano consapevoli dei rischi che esistono per il futuro delle relazioni fra Pechino e la regione. Gli analisti mediorientali, ad esempio, non faticano ad ammettere che i negoziati cominciati nel 2004 fra la Cina e i membri del Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo per un accordo di libero scambio siano essenzialmente ostaggio[32] delle divisioni interne al Consiglio.

L’aura di grand strategy che ammanta la BRI svanisce pertanto in Medio Oriente, dove spiace constatare come sia ancora il numero di soldati e bombardieri schierati a fare la differenza, e dove l’attuazione di politiche bipartisan non sempre è garanzia dell’affidabilità di un partner regionale. Mentre il basso profilo tenuto finora ha permesso a Pechino di comprare petrolio e vendere armi senza crearsi nemici nella regione, il non prendere posizioni nette a favore di alcuno le impedisce di essere vista come un’alternativa credibile a Washington e a Mosca, o di esercitare quel tipo di influenza che le servirebbe per proteggere meglio i suoi interessi.

Per quanto riguarda i paesi della regione, sono proprio questi a correre un rischio ancora maggiore. Non ci sono dubbi che seri squilibri socio-economici siano fra le cause principali dei problemi del Medio Oriente, indipendentemente dal fatto che la Cina usi anche questa motivazione per promuovere le BRI e portare avanti i propri interessi nella regione. Tuttavia, la superficialità con la quale vengono interpretate le mosse cinesi, come nel caso della Siria, è un ostacolo significativo alla comprensione della reale influenza che la Cina può esercitare attraverso i propri investimenti ed importazioni dalla regione. Ad esempio, Iran ed Arabia Saudita avrebbero non poche difficoltà a finanziare i propri conflitti e rivalità in assenza di investimenti e petrodollari cinesi.

In conclusione, appare chiaro come la Cina ed il Medio Oriente siano sempre più legati a doppio filo. Sebbene nessuna delle due parti veda l’altra come fondamentale per la propria sopravvivenza o decisiva nel proprio calcolo strategico, le profonde differenze nel modo in cui Pechino e le cancellerie della regione interpretano il ruolo della Cina in Medio Oriente sono motivo di crescente preoccupazione. Il successo della BRI e il futuro del Medio Oriente dipenderanno in buona parte dalla mitigazione di questo iato percettivo.

 

 

[1] Enrico Fardella, “La Belt and Road Initiative e il nuovo globalismo sinocentrico di Pechino”, OrizzonteCina 7 (2016) 6: 2-4.

[2] Nie Wenjuan, “Xi Jinping’s foreign policy dilemma: Belt and Road Initiative or the South China Sea”, Contemporary Southeast Asia 38 (2016) 3: 422-444.

[3] Wang Jian, “Guānyú ‘yīdài yīlù’ chàngyì de mùbiāo dìngwèi wèntí” [Sulla questione degli obiettivi di status della Belt and Road Initiative], disponibile all’Url http://www.aisixiang.com/data/105220.html (link in cinese).

[4] Muhamad S. Olivat, China and the Middle East: from Silk Road to Arab spring (Londra e New York: Routledge, 2015).

[5] Yang Chengxi, “China lays out ‘1+2+3’ strategy at CASCF ministerial meeting”, CCTV English, 6 giugno 2014, disponibile all’Url http://english.cntv.cn/2014/06/06/VIDE1402009324468536.shtml.

[6] Reuters Staff, “China to build new shale gas bases, offer more oil and gas block tenders”, Reuters, 15 agosto 2017, disponibile all’Url https://www.reuters.com/article/us-china-energy-shale-oil/china-to-build-new-shale-gas-bases-offer-more-oil-and-gas-block-tenders-idUSKCN1AV09G.

[7] Il numero totale dei cittadini cinesi nella regione è probabilmente molto più alto se si vuole tener conto anche dei turisti e degli impiegati di piccole e medie imprese non registratisi presso i consolati e le ambasciate cinesi di riferimento.

[8] I dati sugli investimenti esteri, in particolar modo quelli cinesi, tendono ad essere poco trasparenti. È quindi più importante prestare attenzione alla tendenza presentata dal grafico che non ai numeri registrati in ogni singolo anno.

[9] Xinhua News, “Full Text of China’s Arab Policy Paper”, 13 gennaio 2016, disponibile all’Url http://www.xinhuanet.com/english/china/2016-01/13/c_135006619.htm.

[10] Yang Sheng, “China boosts Syria support”, Global Times, 18 agosto 2016, disponibile all’Url http://www.globaltimes.cn/content/1001150.shtml.

[11] Enrico Fardella, “China’s debate on the Middle East and North Africa: a critical review”, Mediterranean Quarterly 26 (2015) 1: 5-25.

[12] Liu Shengxiang and Hu Xiaofen, “Guójì géjú de liǎngjí tàishì yǔ Zhōngguó zhōngdōng zhànlüè de xuǎnzé” [La bipolarità nel sistema internazionale e la politica cinese in Medio Oriente], Global Review 5 (2017): 104-125.

[13] Daniel C. Lynch, China’s futures (Stanford: Stanford University Press, 2015), 155-198.

[14] Niu Xinchun, “Yīdài yīlù xià de Zhōngguó zhōngdōng zhànlüè” [La strategia della Cina in Medio Oriente nel contesto della Belt and Road Initaitive], Foreign Affairs Review 4 (2017): 1-25.

[15] “‘Qì zi’ xùlìyǎ: Yòu yī xiàng làn wěi gōngchéng” [Siria “abbandonata”: un altro progetto non portato a termine], Quotidiano del Popolo, 18 marzo 2016, disponibile all’Url http://intl.ce.cn/qqss/201603/18/t20160318_9594041.shtml (link in cinese).

[16] Katie Hunt, Matt Rivers e Yuli Yang, “Beijing vows justice as ISIS kills Chinese, Norwegian hostages”, CNN, 20 novembre 2015, disponibile all’Url https://www.cnn.com/2015/11/18/asia/isis-hostages-china-norway/index.html.

[17] Reuters Staff, “China condemns Mali attack with three Chinese among dead”, Reuters, 21 novembre 2015, disponibile all’Url https://www.reuters.com/article/us-mali-attacks-china-xi/china-condemns-mali-attack-with-three-chinese-among-the-dead-idUSKCN0TA07P20151121.

[18] Shen Yi, “Yīlǎng sāoluàn, shèjiāo méitǐ gāi bèi duōdà de guō’” [Le proteste in Iran: fino a che punto possiamo dare la colpa ai social media?], Global Times, 5 gennaio 2018, disponibile all’Url http://opinion.huanqiu.com/hqpl/2018-01/11498911.html (link in cinese).

[19] Chen Jing, “Bào kǒng ‘chángtài huà’ tǔ’ěrqí zhújiàn ‘zhōngdōng huà’” [Con la normalizzazione del terrorismo, la Turchia conosce una progressiva ‘mediorientalizzazione’], Xinhua News, 4 gennaio 2017, disponibile all’Url http://mil.youth.cn/djbd/201701/t20170104_9010320.htm (link in cinese).

[20] Yang Rui, “Yīlǎng fāzhǎn ‘xiàng xī kàn’ yǔ Zhōngguó yīmiàn shēnhuà guānxì yòu lìqiú pínghéng yǐngxiǎng” [Mentre lo sviluppo iraniano ‘guarda verso Est’, la Cina approfondisce le relazioni con l’Iran per bilanciarne l’influenza], Caixin, 31 luglio 2017, disponibile all’Url http://international.caixin.com/2017-07-31/101124091.html (link in cinese).

[21] Xinhua News, “Zhōngdōng guójiā héyǐ pínpín yǎnyì ‘dōng yóujì’” [Perché i paesi del Medio Oriente effettuano spesso “Viaggi in Oriente”?], 23 marzo 2017, disponibile all’Url http://news.xhby.net/system/2017/03/23/030642662.shtml (link in cinese).

[22] Niu Xinchun, “Yǐsèliè zài Zhōng Měi méitǐ zhōng de xíngxiàng: chāyì yǔ gēnyuán” [Israele nei media cinesi ed americani: differenze e cause], Contemporary International Relations 9 (2017): 27-35.

[23] Il BESA Center in Israele, il Brookings Doha Center in Qatar e la Asian Studies Unit del King Faisal Center for Research and Islamic Studies in Arabia Saudita sono fra le poche istituzioni della regione che stanno cercando di costruire un’agenda di ricerca focalizzata su Cina e Asia.

[24] Ad esempio si veda: Thamer Badawi, “Bahituun iqtisadyyun: altaqarib aliqtisadyy al’amiraatyu alsinyu yatawase akthar min ayy waqt” [Ricerche: i rapporti commerciali tra Cina ed Emirati Arabi Uniti in continua espansione], 28 febbraio 2017, disponibile all’Url http://www.emasc-uae.com/news/view/7949 (link in arabo).

[25] Ali Shebab, “Tawaazun quwati bein Sini Amrikyyun fy Surya!” [Equilibri di potere tra Cina e Stati Uniti in Siria!], Al Mayadeen, 29 novembre 2017, disponibile all’Url http://www.almayadeen.net/news/politics/840585/توازن-قوة-صيني-أميركي-في-سوريا– (link in arabo).

[26] Sébastien Le Belzic, “Le Maroc et le Nouvelles Routes de la Soie: la troisième vie” [Il Marocco e le nuove Vie della Seta: la terza via], Le Monde, 4 dicembre 2017, disponibile all’Url http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/12/04/le-maroc-et-les-nouvelles-routes-de-la-soie-la-troisieme-voie_5224379_3212.html (link in francese).

[27] “Astqbal Aaran az Maanjagura Chean” [L’Iran accoglie con favore la mediazione Cinese], Iranian Diplomacy, disponibile all’Url http://www.irdiplomacy.ir/fa/page/1967752/استقبال+ایران+از+میانجیگری+چین.html (link in farsi).

[28] Kerem Alkim, “Çin’den bölgemiz ‘karışık’ gözüküyor” [Sembriamo esserci mischiati con la Cina], Sabah, 27 marzo 2017, disponibile all’Url https://www.sabah.com.tr/yazarlar/kerem-alkin/2017/03/27/cinden-bolgemiz-karisik-gozukuyor (link in turco).

[29] Nitzan Horowitz, “Sin meznaqet qadimah, aval eyn takhalip l’Eyropah” [La Cina avanza, ma nessuno può sostituire l’Europa], Haaretz, 21 gennaio 2018, disponibile all’Url https://www.haaretz.co.il/opinions/.premium-1.5747814 (link in ebraico).

[30] Roie Yellinek, “Mah b’emet koreh bikhasi Sin ve’ha’ashaf?” [Cosa sta succedendo tra Cina e l’OLP?], Mida, 6 gennaio 2018, disponibile all’Url https://mida.org.il/2018/01/06/מה-באמת-קורה-ביחסי-סין-והרשפ/ (link in ebraico).

[31] Chafic Choucair, “Tariq al-Hareer fy siaq al-‘Aleiaqat al-‘Arabyiat al-Sinyia” [La nuova Via della Seta nel contesto delle relazioni sino-arabe], Al Jazeera, 11 maggio 2017, disponibile all’Url http://studies.aljazeera.net/ar/reports/2017/05/170511090237591.html (link in arabo).

[32] Al Hayat, “Al-Sin tada’a ilaa tasryy mufawadaat al-tijarat al-huraat ma’ majlis at-ta’auan al-khaleejy” [La Cina chiede di accelerare gli accordi di libero scambio con il Consiglio di cooperazione del Golfo], 17 maggio 2017, disponibile all’Url http://www.alhayat.com/Articles/21905738/الصين-تدعو-إلى-تسريع-مفاوضات-التجارة-الحرة-مع-مجلس-التعاون-الخليجي (link in arabo).

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