L’Unione europea non riconosce politicamente la Repubblica di Cina con capitale a Taipei, altrimenti nota come Taiwan, in ossequio al principio di “una sola Cina” (one China policy) che prevede che solo il governo della Repubblica popolare cinese (Rpc) con sede a Pechino rappresenti la Cina. Questo principio guida le relazioni di Bruxelles con questa parte del mondo dal maggio 1975, data del riconoscimento ufficiale della Rpc da parte della Comunità europea. Nonostante siano svuotate della dimensione diplomatico-politica, le relazioni Ue-Taiwan sono solide e spaziano in tutti i maggiori campi. Consultazioni ufficiali tra Bruxelles e Taipei si tengono ogni anno su questioni che vanno dalla ricerca e tecnologia, all’educazione, la cultura, l’ambiente e altri settori di interesse comune. Particolare attenzione è data alla dimensione economico-commerciale: l’ufficio di rappresentanza della Ue a Taipei si chiama, infatti, Ufficio economico e commerciale europeo (European economic and trade office: Eeto).
Solide relazioni economiche
Taiwan è oggi il quarto partner commerciale della Ue in Asia, dopo Cina, Giappone e Corea del Sud. Con un interscambio che ammontava a fine 2014 a 40,2 miliardi di euro, Taipei conta per circa l’1,2% del commercio globale della Ue, piazzandosi al diciannovesimo posto, in ascesa di due posizioni dal 2013. L’Europa rappresenta per Taipei il quarto mercato di sbocco – dopo Cina, Giappone e Stati Uniti – e una fonte importante di investimenti esteri. Questi ultimi sono cresciuti del 115% tra il 2013 e il 2014, portando lo stock totale a 1,36 miliardi di euro.
Taiwan e la Ue collaborano attivamente in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), una delle poche organizzazioni intergovernative delle quali Taipei fa parte dal 2002 con il nome di Territorio doganale separato di Taiwan, Penghu, Kinmen e Matsu (Separate customs territory of Taiwan, Penghu, Kinmen and Matsu). La Commissione europea ha incluso Taiwan nella sua recente comunicazione “Commercio per tutti”, adottata il 14 ottobre 2015. Nel documento si dice che “la Ue esplorerà la possibilità di avviare negoziati” sugli investimenti con Taiwan. Non va sottovalutata la portata simbolico-politica di una tale decisione, se si pensa che Bruxelles sta attualmente negoziando un accordo bilaterale sugli investimenti (Bilateral investment agreement: Bit) con Pechino. È pertanto probabile che una volta concluso il Bit tra Ue e Cina tocchi poi a Taiwan – seguendo quello che successe con l’entrata di Taiwan nell’Omc, avvenuta un anno dopo l’ingresso della Prc, per ragioni prettamente politiche e di immagine.
Un contesto politico in evoluzione
La schiacciante vittoria di Tsai Ying-Wen e del Partito democratico progressista di Taiwan (Democratic progressive party: Dpp) alle elezioni presidenziali e legislative tenutesi a inizio gennaio 2016 ha messo fine a otto anni di potere del presidente Ma e del suo partito, il Kuomintang (Kmt), che aveva fatto del riavvicinamento con la madrepatria cinese il tratto distintivo della sua amministrazione. Con l’elezione di Tsai – prima donna nella storia dell’isola ad accedere alla carica di vertice – l’elettorato taiwanese ha voluto mettere fine a un riavvicinamento alla Repubblica popolare che molti – soprattutto i giovani e quanti si considerano più taiwanesi che cinesi – considerano deleterio per l’isola. La Cina non fa mistero di voler riportare Taiwan sotto la propria sovranità, al limite anche con la forza (ad esempio in caso di dichiarazione di indipendenza da parte di Taipei e sconfessione del principio dell’unica Cina), e mantiene circa 1.500 missili puntati sull’isola. Nonostante il miglioramento delle relazioni economiche, la vittoria di Tsai Ying-Wen dimostra che la maggioranza dei taiwanesi vuole mantenere una certa distanza con Pechino. È pertanto probabile che nei prossimi mesi assisteremo al riemergere della questione taiwanese sullo scenario internazionale, soprattutto dopo che Tsai Ying-Wen accederà ufficialmente alla carica di presidente, cosa che secondo la Costituzione dell’isola avverrà solo a maggio 2016.
L’Europa tra valori e realpolitik
Le nuove dinamiche impresse alle relazioni Prc-Taiwan in seguito alla vittoria di Tsai non chiamano solo in causa gli Stati Uniti e gli alleati asiatici, in primis il Giappone, ma anche la Ue. Nelle sue dichiarazioni ufficiali, Bruxelles continua ad appoggiare la risoluzione della questione taiwanese con mezzi pacifici, così come condanna l’uso – o la minaccia – della forza. L’Ue insiste inoltre che ogni accordo sullo status futuro dell’isola debba essere raggiunto tra Pechino e Taipei – ovvero senza interventi unilaterali (leggi: invasione dell’isola da parte dell’esercito cinese), tenendo in considerazione i desideri della popolazione taiwanese. All’indomani della vittoria di Tsai alle elezioni presidenziali, Federica Mogherini ha fatto una dichiarazione succinta di quattro righe richiamando l’attenzione sull’importanza del processo democratico a Taiwan (cosa che non può certo dirsi nel caso della Prc) e ribadendo il sostegno dell’Unione alla risoluzione pacifica delle relazioni tra Pechino e Taipei. Poche righe, per non indispettire troppo Pechino che considera Taiwan una provincia ribelle da riportare sotto l’egida della madrepatria.
Se le posizioni di Mogherini e del Servizio europeo di azione esterna (Seae) rimangono improntate alla massima cautela per non mettere a repentaglio gli importanti interessi economici con la Cina, il Parlamento europeo, d’altro canto, non esita a prendere posizione a favore di Taiwan. Il Gruppo degli amici di Taiwan nel Parlamento europeo (European parliament Taiwan friendship group), il cui chairman è il tedesco Werner Langen, si è congratulato per la vittoria di Tsai con una nota nella quale si rende esplicita la determinazione del gruppo a sostenere Taiwan nelle sfide future che dovrà affrontare (leggi: nel tentativo di crearsi un maggiore spazio di autonomia diplomatica) e a lavorare per lo sviluppo di relazioni sempre più strette tra Bruxelles e Taipei. Va ricordato che è stato il forte impegno del Gruppo degli amici di Taiwan nel Parlamento europeo a spingere per l’inclusione di Taipei nel citato documento della Commissione europea sul “Commercio per tutti”. Così come sono stati gli europarlamentari a promuovere l’inclusione di Taiwan nel programma “Schengen visa waiver” il quale permette ai cittadini taiwanesi di entrare nello spazio Schengen senza bisogno di visto.
Il Parlamento europeo non ha, invece, molta voce in capitolo riguardo la politica estera europea. Questo permette alla Ue, da una parte, di giocare la carta dei valori nei riguardi di Taiwan e, dall’altra, di salvaguardare gli ingenti interessi economici con la Cina grazie al ruolo più conciliante verso Pechino adottato dalla Commissione europea e, soprattutto, dal Seae, divenuto negli anni l’istituzione europea più in sintonia con le rivendicazioni cinesi. Tale connubio di valori e realpolitik ha funzionato fino ad ora. C’è da chiedersi, però, se di fronte all’evoluzione delle dinamiche tra Taiwan e Prc – e soprattutto l’acuirsi del divario tra una Taiwan dove la democrazia è oggigiorno ben impiantata e una Cina sempre più autoritaria – un tale equilibrismo da parte della Ue possa continuare, senza che ciò metta a repentaglio quei valori e principi su cui si basa la costruzione europea e la stessa proiezione internazionale dell’Unione.
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