Dopo il crollo del sistema bancario durante la crisi asiatica del 1996-1997 che ha provocato perdite per almeno il 55% del PIL, il sistema bancario indonesiano presenta oggi grandi promesse. Con la maggioranza della popolazione priva di accesso ai servizi bancari, una classe media in crescita e una forte domanda, l’Indonesia costituisce un’opportunità enorme per gli investitori stranieri interessati a intercettare le occasioni di nuovi mercati emergenti. Attualmente ci sono oltre 118 banche commerciali operative nel paese e le prime cinque – Bank Mandiri, Bank Rakyat Indonesia, Bank Central Asia (BCA), BNI, e Bank Danamon Indonesia – rappresentano il 50% del settore. Tuttavia, il settore finanziario indonesiano sta attraversando trasformazioni significative. Mentre un quadro macroeconomico positivo per il 2017 e bassi tassi di interesse continueranno a favorire le banche indonesiane, l’orizzonte non è sgombro da sfide. Innanzitutto, l’inclusione finanziaria è bassa e le banche sono costrette ad ampliare la base dei propri depositi per raggiungere più clienti, inclusa la fascia più povera della popolazione. In secondo luogo, il connected lending (finanziamenti a favore di parti correlate) potrebbe portare all’aumento di crediti deteriorati e a maggiori rischi di liquidità con ricadute anche sulla redditività. La terza sfida deriva dalla policy del governo indonesiano di promozione delle piccole imprese, che potrebbe indurre gli istituiti di credito di piccole dimensioni a concedere prestiti a più alto rischio alle micro, piccole e medie imprese (MPMI). Inoltre, con la creazione dell’ASEAN Economic Community (AEC), le piccole banche subiranno forti ristrutturazioni a cui solo le più efficienti sopravvivranno.
Generalmente collegata alla riduzione della povertà e alla stabilità finanziaria, l’inclusione finanziaria è tra le questioni più urgenti per il sistema bancario indonesiano. Nel 2013, dei 35 milioni di indonesiani sotto la soglia di povertà, 28 milioni non avevano accesso al sistema bancario e, stando ai dati di un sondaggio della Banca Mondiale condotto a fine 2016, ad oggi solo il 36% della popolazione adulta ha accesso ai servizi finanziari, ma l’accesso è molto più basso nelle comunità rurali (29%) e per il 40% più povero della popolazione (21,9%). Inoltre solo il 13% degli indonesiani ha fatto ricorso a prestiti bancari, dato ben al di sotto della media regionale dell’Asia Orientale (69%). Permane anche il problema dell’accesso ai mercati finanziari sia per la mancanza di criteri che determinino l’idoneità ad aprire un conto, sia per scelta. Una procedura semplificata per l’apertura di conti correnti e per l’esecuzione di transazioni a basso rischio e valore potrebbe facilitare i residenti in aree isolate. Per far fronte a tale problema, a fine 2016 il governo indonesiano ha introdotto una strategia nazionale per portare l’inclusione finanziaria al 75% entro il 2019, risultato che garantirà anche all’amministrazione pubblica la possibilità di distribuire le risorse finanziarie dedicate all’assistenza sociale a favore dei più poveri attraverso il canale bancario e non in contanti.
In Indonesia, le banche forniscono prestiti a lungo termine, stimolati dalla classe media in ascesa e dalle imprese, e si finanziano con depositi a breve termine che hanno un’esplicita garanzia del governo pari a 2 milioni di rupie (circa 154 mila dollari per deposito). Nel 2014 il rapporto depositi-PIL era pari al 33%, mentre nel 2013 il rapporto prestiti-PIL non superava il 31%, il dato più basso tra le economie asiatiche, grazie a maggiori flussi in entrata, abbondante liquidità e una politica di bassi tassi d’interesse. Il tasso di interesse sui prestiti, come mostra il grafico a lato, è diminuito dagli anni della crisi attestandosi al di sotto del 13% dal 2011, ma resta il più elevato se confrontato con altre economie ASEAN come Thailandia, Singapore, Malaysia e Filippine.
Una delle barriere più serie per la crescita delle MPMI consiste nel limitato accesso ai servizi finanziari. Nel 2013 nel Paese c’erano oltre 58 milioni di MPMI, ovvero oltre il 99% del numero totale di imprese attive nei diversi settori. Le MPMI garantiscono un posto di lavoro a oltre il 90% della forza lavoro indonesiana, ma le difficoltà di accesso al credito costringono queste aziende ad accettare tassi di interesse maggiori. Per favorire la crescita delle piccole imprese nel 2008 il governo indonesiano ha lanciato un programma di microcredito, denominato Kredit Usaha Rakyat (KUR), che assicura il 70% dei prestiti a favore delle MPMI, lasciando quindi alle banche solo il 30% del rischio. L’effetto è stato una forte crescita dell’incidenza dei crediti verso le piccole imprese sul totale: la quota di prestiti detenuta dalle MPMI, che non superava il 30% dei prestiti totali del sistema bancario negli anni Novanta, con la modifica del quadro regolamentare ha raggiunto il 50% nel 2012.
Tuttavia, tale policy ha comportato anche l’aumento del rischio di liquidità derivante dai prestiti a più alto rischio concessi alle MPMI grazie alle facilitazioni decise dal governo, un rischio che potrebbe essere esacerbato dal concomitante problema di prestiti non garantiti nei confronti di grandi mutuatari collegati (il c.d. connected lending). Questi prestiti a favore di parti collegate vengono anche effettuati all’interno del sistema bancario ombra, ma, nonostante la Banca Mondiale stimi che quest’ultimo sia in crescita, nel 2015 non ha superato il 10% del PIL e a breve termine non dovrebbe rappresentare un rischio significativo.
*Le opinioni espresse e gli argomenti utilizzati in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le posizioni ufficiali dell’OCSE o dei governi dei Paesi membri.
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