La Malaysia è un Paese multietnico che a partire dai redditi generati dalle proprie abbondanti risorse naturali è riuscito a diversificare l’economia migliorando le condizioni di vita di tutti i gruppi etnici che ne costituiscono il variegato tessuto sociale. In passato l’economia dipendeva quasi esclusivamente dall’agricoltura e dall’esportazione di materie prime, in particolare la gomma naturale e lo stagno, mentre oggi si basa sulla produzione di componenti elettronici ad alto valore aggiunto, prodotti industriali e macchinari, oltre a servizi come turismo, istruzione universitaria e telemedicina. Questo Focus Economia si propone di analizzare la situazione economica attuale della Malaysia, i fattori di successo che ne hanno segnato l’evoluzione dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1957 e le principali sfide per il futuro.
Congiuntura economica e situazione strutturale
La crescita reale del Prodotto Interno Lordo (PIL) nel 2017 è stimata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) intorno al 5,5% trainata da forti esportazioni e da una robusta domanda interna. L’inflazione dovrebbe attestarsi al 4%, in rialzo rispetto al 2016 a causa del più elevato prezzo del greggio, ma con una previsione al ribasso nel 2018, intorno al 3%, per effetto di più bassi prezzi petroliferi attesi. Il saldo della bilancia commerciale rimane positivo e passa da 24.4 miliardi di dollari nel 2016 a 25,3 miliardi nel 2017 grazie alla forte domanda internazionale di componenti elettronici. La flessibilità del tasso di cambio permette all’economia di assorbire bene gli shock esterni. Le riserve valutarie superano i cento miliardi di dollari e corrispondono a più di 6 mesi di importazioni, ben al di sopra del valore di guardia solitamente fissato a tre mesi. Il settore finanziario è considerato solido e mette a disposizione di imprese e famiglie una vasta gamma di strumenti di finanziamento, mentre la liquidità e la redditività delle banche sono ritenute adeguate. Il disavanzo pubblico prosegue il trend virtuoso in atto da alcuni anni scendendo dal 5,1% del PIL nel 2012 al 3% nel 2017 come risultato di accorte iniziative di consolidamento fiscale. L’alto livello di indebitamento delle famiglie, intorno al 90% del PIL, desta qualche preoccupazione, anche se i rischi sono mitigati dai beni e dalle attività finanziarie possedute dalle famiglie stesse per valori superiori al 180% del PIL. Nel quadro di forte crescita e riduzione del disavanzo delineato più sopra, il livello d’indebitamento pubblico al 56% del PIL non è invece ragione di particolare attenzione. Analogamente, il debito estero al 66,8% del PIL, in presenza di forti esportazioni, è considerato sostenibile. Nel complesso dunque il quadro congiunturale risulta positivo.
A livello strutturale la Malaysia è molto cambiata negli ultimi decenni, con un progressivo incremento del peso dell’industria e il fisiologico arretramento dell’agricoltura nella generazione del PIL. Il Paese ha inoltre potenziato il settore dei servizi, migliorato il sistema stradale, ferroviario, portuale e aeroportuale adeguandolo alle esigenze imprenditoriali e turistiche; sono stati inoltre sviluppati moderni e sofisticati sistemi di comunicazione, satellitari e via internet. Il clima degli investimenti è progressivamente migliorato anche grazie alle riforme per lo sviluppo del settore privato. A conferma delle buone condizioni strutturali, il Paese è classificato alla ventiquattresima posizione mondiale per la facilità nel condurre le attività d’impresa dell’indice Doing Business della Banca Mondiale per il 2018, risultando al quarto posto in Asia. La Malaysia risulta inoltre il ventesimo esportatore al mondo soprattutto grazie alle esportazioni di circuiti integrati, derivati dal petrolio raffinato, olio di palma, semiconduttori e computer (apparati elettrici ed elettronici).
Fattori di successo nello sviluppo economico Malaysiano
Per approfondire le ragioni del successo dell’economia malaysiana è interessante esaminarne la traiettoria di crescita. Si colloca infatti tra i pochi Paesi al mondo che dopo la Seconda guerra mondiale sono cresciuti più del 7% all’anno per un periodo superiore a venticinque anni. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel suo percorso di sviluppo la Malaysia è riuscita a ridurre la percentuale della popolazione povera (coloro che vivono con meno di un dollaro al giorno) da circa il 50 % nel 1970 a meno del 1% nel 2014, mentre il reddito pro capite è passato da 240 dollari nel 1962 a 9.860 dollari nel 2016.
Quali fattori hanno permesso alla Malaysia di raggiungere questi risultati? Per rispondere è utile cominciare con un breve esame del percorso economico del Paese dal dopoguerra ad oggi. La storia della crescita malaysiana, come quella di altri Paesi in via di sviluppo, può essere vista come la narrazione della trasformazione strutturale di un’economia prevalentemente agricola in un’economia più industrializzata e, successivamente, del tentativo di trasformarla ulteriormente in un’economia della conoscenza. La crescita postbellica può essere divisa in quattro periodi principali.
La prima fase (1957-70) copre gli anni immediatamente successivi all’indipendenza dal dominio britannico, durante i quali la spinta strategica fondamentale si è rivolta a diversificare l’economia riducendo la dipendenza da stagno e gomma, vista l’elevata volatilità dei loro prezzi e il loro prevedibile calo nel lungo termine. Nei successivi vent’anni (1971-90), oltre a proseguire la ristrutturazione dell’economia, particolare attenzione è stata rivolta ai problemi redistributivi. Le rivolte razziali del maggio 1969 hanno, infatti, rappresentato un punto di svolta portando all’introduzione della Nuova Politica Economica (NEP) nel 1971 con un chiaro obiettivo di crescita accompagnato dalla riduzione della diseguaglianza. Nel periodo 1991-2000 il Paese ha proseguito la sua crescita subendo un’importante, ma temporanea, battuta d’arresto nei difficili anni della crisi finanziaria asiatica (1997-1998) e dei controlli sui cambi. Infine, la fase più recente (2001-2017) ha visto ridursi la crescita a seguito degli attacchi terroristici negli Stati Uniti dell’11 settembre 2001, e successivamente l’emergere di condizioni economiche esterne più competitive che hanno accentuato alcune delle vulnerabilità della Malaysia, soprattutto in termini di produttività, creando un forte incentivo a proseguire la diversificazione dell’economia per far fronte alla crescente concorrenza delle economie emergenti, in particolare quella della Cina. In effetti un elemento caratteristico delle politiche di sviluppo economico in Malaysia è la preoccupazione di fondo per la diversificazione economica, con flussi e riflussi di interesse da parte dei governi che risultano fortemente determinati dalla fase del ciclo economico nel quale si trova il Paese. È molto evidente che nel caso malaysiano rallentamenti e recessioni hanno dato un forte impulso alle politiche ufficiali per la crescita dell’economia attraverso la diversificazione.
Una prima risposta alla domanda formulata nel paragrafo precedente può dunque essere individuata nella trasformazione strutturale e nella diversificazione dell’economia. Dal 1970 ad oggi il peso dell’agricoltura nella generazione del Pil è infatti sceso dal 30% a meno del 10% mentre l’industria è salita dal 27% a più del 50%. L’economia si è diversificata ed è divenuta più complessa con il passaggio dall’esportazione di poche materie prime, gomma e stagno, a una molteplicità di prodotti a più alto valore aggiunto, prima nel settore agroalimentare, poi nelle manifatture industriali fino ad arrivare, come osservato più sopra, a computer, semiconduttori e derivati del petrolio. La complessità economica aumenta con la diversificazione dei beni che possono essere prodotti ed esportati da un certo Paese e, a sua volta, dipende dall’insieme delle conoscenze produttive disponibili. Salvo poche eccezioni, i Paesi più sviluppati e più ricchi sono quelli con le economie più complesse. L’Osservatorio della Complessità Economica dell’Università di Harvard e del MIT illustra chiaramente come l’indice calcolato per la Malaysia sia fortemente cresciuto: nel 1975 il Paese era alla sessantacinquesima posizione, mentre nel 2015 la Malaysia è risultata essere la ventesima economia più complessa al mondo.
L’analisi può essere ulteriormente approfondita cercando di risalire ai fattori più a monte che hanno favorito la trasformazione strutturale, la diversificazione dell’economia e l’esportazione di merci ad alto valore aggiunto dei quali si è appena discusso.
Indice di complessità economica della Malaysia (1980-2015)
A questo riguardo la Commission on Growth and Development della Banca Mondiale, oltre la sostanziale stabilità macroeconomica, sottolinea il ruolo chiave della leadership, della formulazione delle politiche e della stabilità di governo. In un contesto caratterizzato da forte frammentazione etnica e religiosa, al di là della diversa personalità dei leader che hanno guidato i processi di riforma, i primi ministri malaysiani hanno dimostrato capacità di negoziazione inter-etnica, capacità di ascolto verso tutti gli strati sociali e gli attori coinvolti dal cambiamento. Hanno inoltre dato prova di cortesia e correttezza formale nella comunicazione coi propri interlocutori ed evitato un confronto violento con gli oppositori, un insieme di qualità ritenute fondamentali per poter governare nella cultura malaysiana e che di fatto hanno garantito una notevole stabilità di governo.
La formulazione delle politiche economiche malaysiane, oltre ad aver beneficiato di una leadership efficace e un quadro macroeconomico e politico stabile, ha avuto maggior successo che in altri Paesi anche perché ha affrontato allo stesso tempo problemi legati a singoli provvedimenti, distinti tra loro, ma collegati all’interno di una specifica area di riforma, secondo una logica di cluster guardando al coordinamento delle diverse istituzioni coinvolte, ai passaggi legislativi e all’accettazione sociale necessari per la loro realizzazione come un tutt’uno. Nel caso della politica per le privatizzazioni proposta dal Primo Ministro Mahathir Mohamad nel 1983 che ha permesso la cessione di 238 imprese di proprietà dello stato, il pacchetto di provvedimenti adottato ha preso in considerazione in modo integrato sia i metodi di valutazione e di vendita delle imprese pubbliche, sia il trattamento del personale prevedendo di offrire la possibilità di scegliere tra gli originari schemi retributivi pubblici o i più dinamici modelli privati (con una parte di remunerazione in forma di opzioni sul capitale dell’impresa). Sono state approvate le modifiche legislative necessarie per il passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata e un quadro regolamentare orientato a evitare abusi da parte dei monopoli privati. Inoltre, per garantire l’accettabilità sociale della riforma ed evitare conflitti etnici è stata prevista una quota significativa delle imprese pubbliche da privatizzare a favore dell’etnia maggioritaria malese ‘Bumiputera’ (circa il 60% della popolazione) che ha visto salire la propria quota di capitale nelle ex-aziende pubbliche dal 21% a più del 51% nel periodo 1983-2005. Si è poi regolamentata la partecipazione straniera e creato un fondo per la privatizzazione. Infine va ricordato che questa politica è stata anche un’occasione per sperimentare nuove modalità di coinvolgimento e sviluppo del settore privato invitandolo a farsi promotore di progetti di privatizzazione ribaltando la logica tradizionale secondo la quale è lo stato a fare il primo passo.
Un altro esempio interessante di ‘cluster policy’ ha portato alla creazione di Super Corridoi Multimediali, nel 1997, per la concettualizzazione, la sperimentazione, la produzione e la distribuzione di applicazioni tecnologiche informatiche e telematiche avanzate con l’obiettivo finale di rendere la Malaysia un leader del settore a livello regionale e globale. Al centro di questa visionaria proposta sono state presentate quattro leggi informatiche collegate tra loro per regolamentare la firma digitale, il copyright, i crimini informatici e la telemedicina. Essendo parte integrante di una nuova politica, la loro approvazione in Parlamento è risultata più semplice e rapida rispetto al caso in cui le quattro leggi fossero state presentate separatamente.
Il successo delle politiche economiche malaysiane è dipeso anche dall’abilità dei soggetti proponenti nel chiarirne ragioni e obiettivi attraverso seminari e interviste, e prestando grande attenzione alle critiche degli oppositori o di chi poteva essere potenzialmente danneggiato, dando così prova di flessibilità ed evitando scontri che avrebbero potuto arrestare il delicato processo di riforma. La politica per lo sviluppo dell’industria automobilistica nazionale, ad esempio, è stata più volte modificata nella regolamentazione relativa all’importazione di motori prodotti all’estero, rispondendo alla preoccupazione dei fornitori dell’industria nazionale di perdere il proprio mercato. Analogamente la politica per le privatizzazioni è stata emendata per tener conto delle critiche dei sindacati sulla normativa originariamente prevista in materia di lavoro.
Un altro elemento di successo delle politiche malaysiane può essere individuato nella grande attenzione dedicata non soltanto alla fase di formulazione, ma anche a quella di attuazione delle stesse. Sono state infatti create apposite istituzioni per rendere operative le politiche e verificarne i risultati. La promozione degli investimenti diretti esteri (IDE), ad esempio, è stata realizzata e monitorata dalla Malaysian Industrial Development Authority (MIDA), creata ad hoc per l’attuazione delle politiche industriali.
La risposta alla domanda sulle ragioni profonde del successo dell’economia malaysiana si è concentrata sulle modalità di formulazione e realizzazione delle politiche economiche e meno sui loro contenuti perché si ritiene che nel caso malaysiano il “segreto” del successo sia nel “come” più che nel “che cosa” è stato fatto. Ciò detto, la scelta delle aree di intervento è stata certamente efficace nel sostenere la crescita. Oltre agli esempi precedenti, si possono citare anche la sostituzione delle importazioni, le successive politiche di industrializzazione orientate all’esportazione e all’attrazione degli IDE, le politiche redistributive mirate a limitare la conflittualità sociale e inter-etnica, il sostegno allo sviluppo dell’industria dell’olio di palma e successivamente degli apparati elettrici e infine dell’economia della conoscenza.
Problemi da risolvere e relative riforme
Grazie ad efficaci modalità di formulazione e realizzazione delle politiche economiche, la Malaysia è riuscita nel difficile compito di passare dalla condizione di Paese in via di sviluppo a quella di Paese a reddito medio. Per poter raggiungere lo status di Paese ad alto reddito (15.000 dollari di reddito pro-capite annuo fissati dal governo come obiettivo per il 2020) deve però riuscire ad aumentare la propria produttività e ridurre la diseguaglianza attraverso ulteriori riforme strutturali.
La produttività totale dei fattori ha segnato una riduzione nel suo tasso di crescita passando da una media del 2,6% nel periodo 1990-1996 all’1% nel periodo 2010-2015. Inoltre, risulta al di sotto dell’obiettivo fissato dalle autorità malaysiane per il periodo 2016-2020 di più di un punto percentuale. Dalle analisi comparate del FMI emerge anche che la produttività totale dei fattori è più bassa di quella di altri Paesi allo stesso stadio di sviluppo.
Coerentemente con il proprio undicesimo piano di sviluppo (11th Malaysia Plan), per accrescere la produttività il Paese deve cominciare col migliorare le infrastrutture e la qualità dell’istruzione. La fornitura di energia elettrica deve diventare più affidabile, mentre istruzione e formazione professionale devono ridurre il divario tra le competenze desiderate dalle imprese e quelle effettivamente in possesso dei lavoratori. Le industrie nelle quali investire per aumentare la produttività sono in particolare quella chimica, elettrica ed elettronica. Più in generale è necessario modernizzare i processi e le strutture per le manifatture e favorire l’automazione. L’imprenditoria, soprattutto quella giovanile e femminile dalle quali dipende il futuro del Paese, dovrebbe essere maggiormente sostenuta. Inoltre, nonostante negli ultimi dieci anni sia aumentato il numero di brevetti per applicazioni informatiche e telematiche, il rapporto di queste ultime con il numero dei ricercatori è ancora inferiore rispetto ad altri Paesi a reddito medio: dunque per proseguire sulla strada dell’economia della conoscenza e aumentare la produttività è necessario anche continuare a investire in ricerca e sviluppo.
Per favorire ulteriormente l’afflusso di IDE, con i relativi vantaggi in termini di capitali, know-how e nuovi mercati, il Paese deve riuscire a essere competitivo rispetto agli agguerriti concorrenti regionali, come ad esempio Thailandia e Vietnam, offrendo ai potenziali investitori non semplicemente incentivi fiscali e mano d’opera a basso costo, ma un intero ecosistema a favore degli investimenti attento ai temi ambientali. In questo senso la Malaysia, oltre alle osservazioni di cui sopra, deve porre particolare attenzione alla riforma della pubblica amministrazione, riducendo le inefficienze della burocrazia statale.
La diseguaglianza è un altro problema significativo per il Paese che a causa della sua frammentazione etnica, sovrapposta a forti disparità economiche, è passato attraverso scontri drammatici durante la sua storia, come quelli tra malesi e cinesi nel 1969 che hanno provocato centinaia di morti e distruzioni diffuse nella capitale Kuala Lumpur. Nel 1970 il reddito pro capite dei cinesi e degli indiani era più alto rispettivamente del 129% e 76% rispetto a quello dei malesi, il gruppo etnico maggioritario. Come già sottolineato, le autorità malaysiane hanno adottato una serie di politiche per affrontare il problema e combinare la crescita economica con la riduzione della diseguaglianza. Ciononostante, nel 2005 il reddito pro capite dei cinesi e degli indiani rimaneva più alto di quello dei malesi rispettivamente del 64% e del 27%. Confrontando il valore del coefficiente di Gini della Malaysia nel suo insieme (0,40) con altri Paesi del Sud-est asiatico, si può osservare come la diseguaglianza sia a livelli ancora alti: soltanto Singapore (0,46) e le Filippine (0,43) presentano valori più elevati nel 2014. Dunque, sebbene l’andamento del coefficiente di Gini nel tempo mostri una riduzione della diseguaglianza, dallo 0,51 nel 1970 allo 0,40 nel 2014, il suo livello rimane troppo alto.
Per proseguire le iniziative orientate alla riduzione della diseguaglianza sono due le aree prioritarie di riforma alle quali guardare. La prima è l’innalzamento del livello di istruzione e della formazione professionale per favorire la riduzione della diseguaglianza dei redditi da lavoro. La seconda è la redistribuzione della ricchezza attraverso la spesa in servizi sociali e l’aumento delle aliquote fiscali degli scaglioni di reddito più elevati, attualmente tassati al 25% in Malaysia, mentre in Corea del Sud sono al 38% e in Thailandia al 35%.
In conclusione, le prospettive di ulteriore crescita della Malaysia appaiono buone e l’ambizioso obiettivo di divenire un Paese ad alto reddito può essere considerato raggiungibile, magari con qualche anno di ritardo rispetto al 2020. Le sfide da vincere sono quelle dell’aumento della produttività e riduzione della diseguaglianza, proseguendo il virtuoso processo di riforma iniziato dopo l’indipendenza, con le modalità di successo nella formulazione e realizzazione delle politiche economiche che fanno della Malaysia uno dei Paesi che è riuscito a crescere più rapidamente nella seconda metà del XX secolo.
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