Molte erano le aspettative sul rapporto pronunciato durante la cerimonia di apertura del XVIII Congresso nazionale del Partito comunista cinese (Pcc) da Hu Jintao, Segretario generale uscente del Pcc e Presidente della Repubblica popolare cinese (Rpc). Ora che il Congresso si è concluso, ancor di più sono le aspettative rispetto al nuovo leader Xi Jinping, divenuto Segretario generale del Partito e Presidente della Commissione militare centrale, e in attesa di essere elevato a Presidente della Rpc durante la prima seduta plenaria della 12a Assemblea nazionale del popolo, convocata per il 5 marzo prossimo.
In entrambi i casi le aspettative riguardano in particolare la prospettiva di significative “riforme” – incluse le riforme politiche – nel futuro prossimo, tanto più se si considera che molti commentatori hanno definito i dieci anni di governo Hu-Wen come “il decennio perduto” per la mancanza di rilevanti riforme politiche ed economiche.
La parola “riforma” (gaige, 改革), parte integrante della terra promessa del post-maoismo nella formulazione ufficiale di “riforma e apertura” (gaige kaifang, 改革开放), è stata effettivamente citata 77 volte nel lungo rapporto di Hu Jintao. Il Segretario generale uscente si è assicurato un posto nel pantheon politico del Pcc sottolineando l’importanza cruciale del XVIII Congresso, che segnerebbe l’ingresso della Cina “nella fase decisiva per il completamento della costruzione di una società moderatamente prospera (xiaokang shehui, 小康社会) sotto ogni profilo”. Hu si è anche vantato dei successi del Partito, che “attraverso oltre 90 anni di dure battaglie” sarebbe riuscito a “trasformare la povera, arretrata e vecchia Cina in una sempre più prospera, potente e nuova Cina”. Il contrasto tra queste due serie di aggettivi non potrebbe essere più netto, ma viene in realtà contraddetto poche righe sotto, laddove Hu riconosce che “sviluppi squilibrati, mal coordinati e non sostenibili restano un grande problema”.
Ad aver attratto l’attenzione di blogger e commentatori cinesi è in particolare una sezione del rapporto di Hu – in contrasto con l’enfasi posta invece dai media occidentali sulle sezioni dedicate alla lotta alla corruzione e alla riduzione del divario tra ricchi e poveri. Le righe che hanno ispirato e preoccupato i blogger cinesi – al punto da spingere molti di loro ad affermare che questa sia la sola parte significativa del lungo e ripetitivo rapporto – sono le seguenti:
“Nei 30 anni di esplorazione della politica di riforma e apertura abbiamo risolutamente sorretto la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi. Non seguiremo né la rigida vecchia strada della chiusura né la strada nefasta di cambiare stendardi e bandiere”.
Su internet sono apparsi innumerevoli commenti e battute sulla “vecchia strada” e sulla “strada nefasta”. Secondo uno dei tanti commenti, il governo cinese avrebbe in realtà già scelto la strada nefasta in buona compagnia con altri “cattivi”, come la Corea del Nord, Cuba, l’Iran e la Siria. Un altro commentatore ha pubblicato il video di un’auto che cerca disperatamente di sfondare uno sbarramento, con i passeggeri sbalzati fuori dalla vettura e feriti. Il commento di accompagnamento riporta: “non seguire la vecchia strada, non seguire la strada nefasta, segui semplicemente la tua strada!”. Il sarcasmo e la satira politica si mescolano alla preoccupazione, con il riferimento sibillino alla “strada sbagliata” interpretato come una chiusura a modelli politici alternativi.
Come di consueto, la censura è riuscita a limitare lo spettro delle reazioni a questo cruciale paragrafo del rapporto di Hu. Tuttavia, ciò che è particolarmente significativo è che, solo tre giorni dopo il discorso di Hu, il vice-presidente dell’Accademia centrale del socialismo, Zhang Feng, è intervenuto in una discussione online sul sito del Quotidiano del Popolo. L’intervento di Zhang rivela la necessità di chiarire il significato delle dichiarazioni allusive di Hu sulla via per il progresso, al fine di “costruire con decisione una bella Cina (meili Zhongguo, 美丽中国) e raggiungere un durevole e sostenibile sviluppo della nazione cinese”. Zhang spiegava che la “vecchia strada” è la strada intrapresa prima della politica di riforma e apertura, incluso il modello mutuato dall’ex Unione Sovietica. Zhang Feng non faceva riferimento esplicito a Mao Zedong, ma è chiaro che il concetto di “vecchia strada” allude anche alla chiusura della Cina durante l’epoca maoista. Zhang chiariva poi che la “strada nefasta di cambiare stendardi e bandiere” fa riferimento a due distinti modelli politici, entrambi non adatti alle “condizioni nazionali” (guoqing, 国情) della Cina: la rinuncia al “socialismo con caratteristiche cinesi” per seguire la strada capitalista; e l’approdo al socialismo democratico praticato in alcuni paesi dell’Europa occidentale.
Nessuna nuova via verso il futuro è indicata come alternativa. Nelle parole di Hu Jintao, “il percorso del socialismo con caratteristiche cinesi, il sistema teorico del socialismo con caratteristiche cinesi, e l’assetto istituzionale del socialismo con caratteristiche cinesi sono i risultati fondamentali conseguiti dal partito e dal popolo attraverso la strenua battaglia condotta nel corso degli ultimi 90 anni. Dobbiamo apprezzare questi risultati, sostenerli ininterrottamente e continuare a svilupparli.”
Il futuro Primo ministro Li Keqiang, un protetto di Hu Jintao, ha ripetuto: “Dobbiamo andare avanti, non c’è alcuna via di ritorno. Per migliorare la vita delle persone non possiamo che fare affidamento su più riforma e più apertura”. Li ha inoltre sottolineato l’importanza dell’emancipazione intellettuale (sixiang jiefang, 思想解放), un vecchio slogan coniato da Deng Xiaoping.
Tuttavia, un intellettuale del calibro di Ren Jiantao, professore di teoria politica all’Università del Popolo, ha messo in chiaro [sito in cinese] che, se in passato gli intellettuali cinesi ritenevano di aver “il diritto ad attendere nella speranza” (qidai quanli, 期待权利), oggi la situazione è cambiata. “Attendere nella speranza” è ciò che gli intellettuali hanno fatto già dieci anni fa, all’inizio dell’era Hu-Wen. Non importa se la Cina prospera sia una distopia o una chimera: ora l’epoca del wishful thinking è finita. Oggi gli intellettuali cinesi sono preoccupati per il loro paese e vorrebbero vedere una vera trasformazione della struttura politica (zhengzhi tizhi, 政治体制), che proceda di pari passo con quella della struttura economica (jing ji tizhi, 经济体制).
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