Questo articolo colloca l’ascesa e la persistente popolarità del presidente Rodrigo Duterte all’interno di una storia intellettuale del liberalismo filippino. Per prima cosa, si procede ad analizzare la storia della tradizione liberale filippina dagli inizi del XIX secolo, ovvero ancor prima che diventasse il pensiero dominante dell’élite politica nel secolo successivo. L’articolo riconosce, poi, che il “Dutertismo”, l’ideologia e la pratica dominanti nell’attuale contesto politico filippino, è sia una reazione sia un attacco a questa tradizione. La conclusione è che la crisi generata dall’elezione di Duterte rappresenta per il liberalismo nelle Filippine l’occasione di un generale ripensamento per affrontare le sfide poste davanti a un Paese di quasi centodieci milioni di abitanti.
Introduzione
L’elezione nel 2016 del presidente Duterte colse di sorpresa molti commentatori politici di allora. Durante le elezioni, l’opinione comunemente accettata era che uno dei tre principali candidati avrebbe vinto le consultazioni. Inizialmente, il candidato favorito era l’allora vicepresidente Jejomar Binay, un populista a favore dei poveri dello stesso stampo dell’ex presidente della Repubblica Joseph Estrada (1998-2001). Da ex sindaco di Makati City, il ricco centro d’affari della Regione Capitale Nazionale (o Metro Manila), Binay aveva messo in piedi una formidabile macchina elettorale che riuscì a capitalizzare i legami di Makati con altre città del Paese. Tuttavia, quando il nome di Binay emerse nel corso delle audizioni del Senato delle Filippine relative agli scandali di corruzione, le percentuali di gradimento si abbassarono notevolmente. Questa situazione controversa spianò la strada a Grace Poe, senatrice al primo mandato e figlia di una delle più famose star televisive del Paese, candidatasi alle elezioni presidenziali e da quel momento considerata la principale favorita. Sebbene fosse stato sempre indietro nei sondaggi, pochi commentatori allontanarono le possibilità di una vittoria finale del candidato designato dal presidente Benigno Aquino III (2010-2016), l’allora segretario agli Interni Manuel “Mar” Roxas. Il sostegno da parte di un presidente in carica e popolare, nonché la macchina elettorale del candidato, hanno sempre contato nella politica filippina.
La vittoria di Duterte fu il prodotto di una strategia strategicamente sofisticata. È entrato nella corsa tardi, defilandosi così dal radar dell’opinione pubblica e isolandosi dalle calunnie del primo periodo di campagna elettorale. Gli avversari di Binay si concentrarono sulle accuse di corruzione, i detrattori di Poe contestarono il suo status di cittadina delle Filippine (che aveva acquisito rinunciando alla cittadinanza statunitense), e infine a Roxas fu invece addossata la colpa degli errori commessi durante l’amministrazione di Aquino III. Mentre tutto questo stava attirando l’attenzione dei media, Duterte ne approfittò per costruire una solida base di sostegno attraverso un’indefessa campagna elettorale a livello locale e l’utilizzo di una comunicazione pungente sui social media che demonizzava l’amministrazione uscente.
Tuttavia, vista da una prospettiva più ampia che va oltre la semplice strategia, la vittoria di Duterte alle presidenziali del 2016 deve essere interpretata come una profonda delusione verso la tradizione liberaldemocratica dominante rappresentata dall’amministrazione di Aquino III. Questo policy brief intende tracciare la storia del liberalismo filippino al fine di contestualizzare la sistematica sfida di Duterte a questa tradizione. Mentre un manipolo di commentatori concorda con l’ideologia/le ideologie delle quali Duterte si è fatto promotore, la restante parte mette in dubbio che l’attuale presidente si sia posto in alternativa alla democrazia liberale.
Evidenza e analisi
Il nazionalismo filippino trova origine nel liberalismo. Alla fine del XIX secolo, la prima generazione di nazionalisti filippini – la cosiddetta generazione degli ilustrados (“gli illuminati”) che ispirò la rivoluzione antispagnola del 1896 – articolò la critica al colonialismo spagnolo ricorrendo al linguaggio del liberalismo. Il primus inter pares degli ilustrados fu lo scrittore José Rizal, oggi considerato l’eroe nazionale delle Filippine. Nell’allora colonia spagnola Rizal invocava riforme liberali quali la libertà di stampa e di associazione, la protezione dall’arresto e dalla detenzione arbitrari e il rispetto dei diritti di proprietà individuale. I suoi scritti e i suoi instancabili sforzi ebbero un impatto profondo. La Katipunan, la società segreta che diede iniziò alla rivoluzione filippina, attinse largamente dal pensiero di Rizal e degli ilustrados, i quali si facevano promotori di una Repubblica libera e liberale in Asia. Era in questo senso che la nazione filippina poteva essere vista come fondata sul liberalismo. Tuttavia, il progetto rivoluzionario degli anni Novanta del XIX secolo era ancora lontano dal realizzarsi, interrotto presto dalla violenta occupazione del Paese da parte degli Stati Uniti. Alcuni politici e decisori statunitensi coltivarono e supportarono gli intellettuali liberali filippini per ricevere il loro sostegno durante il regime coloniale.
Le Filippine ottennero l’indipendenza dagli Stati Uniti nel 1946 ma, anche prima di questo evento, gli intellettuali liberali filippini avevano già occupato posizioni prominenti nella burocrazia coloniale. Il liberalismo divenne quindi l’ideologia chiave di costruzione dello Stato nelle Filippine del XX secolo. Tuttavia, malgrado ricoprisse un ruolo prevalente nella politica filippina, questo liberalismo non si diffuse mai ai margini della società. In altre parole, sebbene i leader del Paese e la sua classe colta si ritenessero liberali, il resto del Paese non si considerava tale.
Le ragioni sono due. Per prima cosa, i movimenti di massa del XX secolo erano largamente socialisti. Inoltre, coloro che non erano socialisti furono largamente influenzati dalla Chiesa Cattolica che, di regola, decise di non sposare i principi liberali (con qualche notevole eccezione). In secondo luogo, il liberalismo delle Filippine, nella pratica, non si occupò in maniera adeguata di questioni come l’ineguaglianza economica, non riuscendo così mai ad attrarre un sostegno di massa o un’approvazione.
La prima principale sfida al liberalismo filippino fu il Governo autoritario del presidente Ferdinand E. Marcos (1965-1986). Nel 1972, Marcos dichiarò la legge marziale per prolungare il proprio mandato e centralizzare il proprio potere strumentalizzando i militari, con i quali aveva attentamente coltivato i rapporti. Marcos riteneva che la sua mossa costituisse una “rivoluzione democratica dal centro” che cercava di affrontare i due estremismi presenti nella società filippina: allora, dichiarò di combattere, a sinistra, il Partito Comunista Maoista delle Filippine (PCMF), a destra, invece, il suo regime intendeva opporsi alle famiglie oligarchiche che dominavano l’economia[2].
Gli obiettivi di Marcos erano apparentemente lodevoli e formulati anche seguendo il linguaggio della democrazia liberale, tanto da indurre un commentatore a osservare come il dittatore fosse un “cripto-democratico” che faceva ricorso a tattiche autoritarie. La realtà era comunque che il “centrismo” di Marcos fosse uno stratagemma. Il suo anticomunismo, che enfatizzava la minaccia maoista, si rivelò una tattica per legittimare il proprio regime agli occhi degli Stati Uniti. Inoltre, l’obiettivo dell’“oligarchia” fu il tentativo ipocrita di demolire i suoi oppositori e sostenere i sodali che gli erano leali.
Durante il regime di Marcos, il Partito Liberale – allora tradizionale e radicato – decise di rifondarsi come un movimento di coscienza e di autentica opposizione. Fu uno dei molti gruppi politici che organizzò l’opposizione a Marcos, anche se la forza che guidò quel processo fu il PCMF e le sue organizzazioni legali di copertura. Nel 1986, il regime di Marcos crollò a seguito di una rivolta pacifica conosciuta ora con il nome di EDSA Power People Revolution (EDSA-PPR), dal nome della Epifanio de los Santos Avenue (da qui l’acronimo EDSA), il raccordo autostradale principale della capitale dove si è sviluppata la protesta. L’EDSA-PPR votò in massa Corazon Aquino, la vedova del senatore all’opposizione Benigno Aquino Jr, alla presidenza della Repubblica, sconfiggendo Marcos che le aveva sottratto in maniera fraudolenta la vittoria alle elezioni presidenziali anticipate tenute proprio in quell’anno.
L’EDSA-PPR fu, in realtà, una restaurazione democratica e liberale guidata dalla classe media urbana, da alcuni esponenti militari e dalla Chiesa Cattolica filippina, benché le forze che sostennero la protesta furono molte di più. Il risultato a cui si arrivò fu la creazione di un ordine legale costituzionale che formalmente è in piedi fino ad oggi. Oltre al cambio di regime, la rivolta si fece inoltre portatrice di una potente narrativa che entrò a far parte della politica filippina, che enfatizzava il riformismo della classe media, l’importanza della Chiesa Cattolica e il contributo fondamentale della famiglia Aquino, i cui membri erano visti come coloro che avevano salvato la democrazia dalla tirannia di Marcos. Il figlio di Corazon, Benigno “Noynoy” Aquino III fu eletto presidente nel 2010 soprattutto grazie alla rievocazione dei fatti del 1986 e puntando sul ricordo nostalgico che buona parte dei cittadini filippini aveva mostrato nei confronti della madre deceduta un anno prima.
Il Dutertismo deve essere visto come una forma di reazione al sistema che l’EDSA-PPR aveva approntato. A più di trent’anni di distanza dallo scoppio della rivoluzione, le sue promesse di rinascita sociale devono ancora essere esaudite e ciò ha deluso le aspettative degli elettori. La campagna presidenziale di Duterte è stata in grado, da una parte, di approfittare dell’inerzia del sistema postrivoluzionario per ottenere riforme significative che criticassero più ampiamente i valori della democrazia liberale come i diritti umani. Dall’altra, di sfruttare questa disillusione verso il “sistema dell’EDSA” puntando sulla nostalgia verso l’epoca autoritaria che, negli ultimi anni, si è manifestata con il crescente sostegno per la famiglia Marcos. Criticando il sistema dell’EDSA, Duterte è stato capace di sfidare precedentemente sia gruppi di fiducia sia individui, quali la Chiesa Cattolica, i membri della famiglia Aquino e i loro alleati del Partito Liberale, i riformisti della classe media, i media tradizionali, e così via.
Paradossalmente, nonostante le sue critiche alla politica tradizionale della classe media filippina, la base elettorale di Duterte affonda le proprie radici proprio qui. Durante il periodo successivo alla rivoluzione della EDSA, tale classe si è espansa ed è diventata meno omogenea. È proprio questa nuova e meno affermata classe media che Duterte ha lusingato con successo. Da allora, il sostegno a Duterte è cresciuto andando a includere la maggioranza dei filippini appartenenti a gruppi demografici variegati. Alla luce della sua popolarità, l’ex sindaco di Davao City ha dato inizio a una brutale “guerra alla droga” che ha registrato centinaia di esecuzioni extragiudiziali di sospetti trafficanti o spacciatori di droga, principalmente nelle aree urbane. Un sondaggio mostra che, mentre il 69% degli intervistati crede che le uccisioni extragiudiziali siano tuttora in corso, il 92% esprime ancora il proprio sostegno per la cruenta campagna di Duterte.
Dunque, si può dire che i filippini stiano appoggiando un omicidio di massa. La crisi della democrazia liberale delle Filippine di Duterte è quindi non solo una crisi delle istituzioni politiche, bensì anche una crisi morale. Una volta Albert Camus sostenne che una “crisi dell’umanità” affligge quelle società che caldeggiano gli assassinii di massa. Per affrontare questa crisi è necessario reintrodurre norme di democrazia liberale nel Paese. Ad ogni modo, i politici non dovrebbero dare per assodato che la democrazia sia il fine ultimo, ma dovrebbero anzi immaginare nuove forme di democrazia liberale che possano conquistare l’interesse di coloro che si sentono spodestati o che si trovano emarginati dalla classe media e dalle élite.
Implicazioni di policy e raccomandazioni
Traduzione dall’inglese a cura di Raimondo Neironi
Note bibliografiche
[1] Questa ricerca è stata finanziata con i contributi europei “Horizon2020” ottenuti dal consorzio interuniversitario europeo “CRISEA – Competing Regional Integrations in Southeast Asia”. Questo policy brief è stato pubblicato nel marzo 2019 con il titolo “The Erosion of Liberalism and the Rise of Duterte in the Philippines” ed è disponibile online al sito http://crisea.eu/wp-content/uploads/2019/11/CRISEA_Policy_Brief_EU_2.pdf.
[2] Per un approfondimento di questo tema, si faccia riferimento all’articolo di Raimondo Neironi contenuto in questo numero [N.d.R.].
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