Lo spettro del collasso ambientale

Il consumo energetico della Cina ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti negli ultimi dieci anni, seguendo di pari passo lo sviluppo economico del paese: il tasso di crescita medio dell’utilizzo di energia che era stato del 3,3% durante il periodo 1978-2001, è schizzato all’8,9% nel decennio successivo malgrado tassi di crescita del Pil simili in entrambi i periodi (Figura 1). Tale aumento è il risultato della rapida industrializzazione, catalizzata dalla trasformazione della Cina nel centro manifatturiero globale dopo l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e dalla spesa per investimenti in infrastrutture decisa in risposta alla crisi economica globale del 2008. La Cina è oggi il maggiore consumatore di energia al mondo, il principale importatore di petrolio, nonché il primo emettitore di gas serra. Circa il 70% dell’economia cinese è alimentato dal carbone.

Le conseguenze ambientali e sulla salute di questa impressionante crescita si sono manifestate con chiarezza negli ultimi anni: le cosiddette “apocalissi dell’aria” in molte città, gli scandali sui raccolti e le falde acquifere contaminati, l’abbassamento delle aspettative di vita e le morti premature tra la popolazione evidenziati da recenti studi sono gli esempi più lampanti. Preoccupata da questi problemi, e dalla potenziale instabilità sociale, la leadership cinese ha adottato misure eccezionali per combattere il degrado ambientale.

Nel 2009, al vertice sul clima di Copenaghen, la Cina si è impegnata a ridurre del 40-45% l’intensità di carbonio e a raggiungere l’obiettivo del 15% del consumo totale di energia ottenuta da combustibili non-fossili entro il 2020: un cambiamento sostanziale di mentalità dei policy-makers cinesi rispetto al passato. Il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) ha confermato questa nuova direzione enunciando una strategia generale di sviluppo low-carbon: oltre a stabilire riduzioni dell’intensità di energia del 16%, dell’intensità di carbonio del 17% e un aumento dall’8,3% all’11,4% dell’energia ottenuta da fonti non fossili sull’uso energetico totale, il piano abbozza i contorni dei primi mercati per i crediti di emissione, colloca le nuove energie, la conservazione dell’energia, la protezione ambientale e i veicoli a energia pulita tra le sette “industrie strategiche” sostenute dal governo, e – soprattutto – si pone come obiettivo un tasso di crescita del Pil più basso (7%), con un minore utilizzo di energia. Il piano inoltre intende rafforzare la capacità istituzionale, migliorando l’architettura legale, aggiornando metodi statistici e contabili, investendo in ricerca e sviluppo, e sostenendo la cooperazione internazionale.

Quali risultati sono stati finora ottenuti? Dal momento che la maggior parte dei miglioramenti dell’efficienza energetica è avvenuta durante l’undicesimo piano quinquennale, raggiungere i risultati prefissati dal dodicesimo sarà più difficile. La società di consulenza americana Rhodium Group ha analizzato la performance del Paese a due anni dall’entrata in vigore del piano: a causa della più moderata crescita economica, la domanda di energia della Cina è cresciuta solo del 3,9% nel 2012 – il tasso di crescita più basso del decennio –, diminuendo così l’intensità energetica del 3,6%. Questa diminuzione, sebbene più alta del 3,4% annuo necessario a realizzare l’obiettivo di riduzione finale del 16%, è insufficiente a compensare la scarsa performance del 2011 (1,9% di riduzione). L’emissione di CO2 è aumentata del 3,2% nel 2012 rispetto ad un aumento del 9,3% nel 2011, riducendo l’intensità di carbonio del 4,3%. Inoltre, l’offerta di energia da combustibili non fossili è aumentata di circa il 9%, grazie alla crescita del volume di elettricità generata da centrali eoliche e idroelettriche. In aggiunta, dal giugno 2013, la Cina ha lanciato esperimenti-pilota di mercati delle emissioni a Shenzhen, Shanghai e Pechino. Benché si tratti di sviluppi positivi, per ottenere i risultati voluti la Cina deve continuare sulla strada dei cambiamenti strutturali, aumentando la produzione di energia dalle fonti rinnovabili, e riducendo l’intensità di carbonio al ritmo del 4,6% all’anno fino al 2015.

Nonostante la Cina sembri essere sulla buona strada per quanto riguarda la riduzione dell’intensità di carbonio, grandi sfide permangono all’orizzonte. Innanzitutto, sebbene il dodicesimo piano stia attuando le riforme dei prezzi (introducendo meccanismi di mercato) per ridurre l’uso d’energia e di emissioni, con misure quali l’abolizione (sito in cinese) del sistema a doppio binario di calcolo dei prezzi nel gennaio 2013 e la riduzione (sito in cinese) del periodo di assestamento del prezzo del petrolio nel marzo 2013, il vero problema, rappresentato dal ruolo delle imprese di stato (State-owned enterprises, Soe) non è affrontato di petto. Le Soe attive nel settore energetico rappresentano i monopoli di mercato più imponenti del paese e influenzano i processi del policy-making, dato il rango ministeriale ricoperto da molti presidenti delle stesse aziende. Gli alti prezzi dell’energia e delle risorse sono determinati dal potere monopolistico delle imprese di Stato, non dal mercato. Uno studio dell’Unirule Institute of Economics ha calcolato (sito in cinese) che i prezzi del petrolio soggetti a regime di monopolio tra il 2009 e il 2011 sono stati il 31% più alti degli altri grandi paesi, e che la perdita di benessere nello scorso decennio causata dalle Soe petrolifere è ammontata a 3.480 miliardi di yuan (408 miliardi di euro).

In secondo luogo, bisogna considerare che l’urbanizzazione della Cina è ancora in corso. Nel 2009 McKinsey ha stimato che la popolazione urbana raggiugerà un miliardo di persone entro il 2030, e che entro il 2025 ci saranno 221 città con almeno un milione di abitanti, e 23 con oltre cinque. Ciò inevitabilmente aumenterà il consumo di energia e le emissioni di carbonio. L’Agenzia internazionale dell’energia prevede che – se verranno attuate tutte le politiche annunciate – la domanda di energia della Cina aumenterà del 40% tra il 2011 e il 2035, arrivando a rappresentare il 40% della crescita di domanda mondiale, mentre le emissioni di CO2 cresceranno del 28% durante lo stesso periodo.

In terzo luogo, la Cina presenta un’enorme sovracapacità nelle industrie del cemento, del vetro, del trasporto marittimo e dell’acciaio, in seguito al calo della domanda estera determinato dalla crisi economica globale. Perciò, dato che più della metà del consumo energetico cinese è di natura industriale, bisognerebbe compiere i necessari passi per non aumentare le scorte. Il Consiglio di Stato nell’ottobre scorso ha emesso una direttiva per limitare il problema, ma per attuarla ci vorrà del tempo.

In quarto luogo, lo sviluppo delle nuove energie procede a singhiozzo. In seguito alla guerra commerciale dei pannelli fotovoltaici, la National Development Reform Commission (Ndrc) nel luglio 2013 ha emesso un documento per spostare il focus dell’industria sul mercato interno, e promuovere impianti diffusi di generazione di energia. Questo piano non sta però procedendo come sperato. Il vice presidente dell’Associazione cinese delle energie rinnovabili, Meng Xiangan 孟宪淦, individua (sito in cinese) nell’assenza di quote la causa del ritardo. Il settore eolico, d’altra parte, affronta problemi di disconnessione: a causa del rapido sviluppo dell’industria, molte centrali eoliche sono state costruite in aree con abbondanza di elettricità generata dal carbone e, quindi, sono state tagliate fuori dalla rete di distribuzione. La stessa associazione stima uno spreco in 20 miliardi di KW/ora nel 2012, con una perdita totale di 10 miliardi di yuan (1,2 miliardi di euro).

Infine, permangono sostanziali ostacoli alla sostituzione del carbone con il gas nel consumo energetico. Il paese è un importatore netto di gas convenzionale (possiede infatti solamente l’1% delle riserve globali), e l’industria dello shale gas (gas di scisto) deve ancora decollare: malgrado siano abbondanti, le riserve di shale gas si trovano nelle regioni dell’interno, dove l’acqua – una componente fondamentale della fratturazione idraulica ( fracking) – è scarsa; gli strati di argilla sono fortemente crepati e più profondi di quelli negli Stati Uniti, complicando l’estrazione; e gli investimenti privati sono scarsi a causa degli alti costi di esplorazione – in effetti, nessuna delle sedici aziende private che hanno acquisito i diritti di esplorazione alla fine del 2012 ha ancora trivellato un pozzo. Perciò, per aumentare rapidamente la quota di gas nel suo mix energetico, la Cina deve assicurarsi una fornitura di gas stabile ed economica dall’estero. Il percorso di decarbonizzazione si presenta quindi come irto di ostacoli. Tuttavia, il recente Terzo Plenum ha adottato misure per ridurli, se non per eliminarli. Il documento finale del Plenum identifica nella “civilizzazione ecologica” una delle sei aree di riforma, laddove le risoluzioni dei precedenti terzi Plenum si concentravano solo sui cambiamenti economici. I punti più importanti del testo sono:

  • i prezzi delle risorse saranno determinati principalmente dal mercato, e verranno portate avanti le riforme dei prezzi dell’acqua, del petrolio, del gas naturale e dell’elettricità. Sono in cantiere anche inasprimenti fiscali sulle risorse stesse;
  • i monopoli naturali saranno separati dai mercati concorrenziali, e saranno rimosse le barriere amministrative per le imprese private. Tale manovra, supportata dall’intento di migliorare la governance, indebolirà le posizioni monopolistiche delle Soe nel mercato. Il governo sta anche riformando il sistema finanziario per facilitare l’accesso delle piccole aziende private ai finanziamenti, e sta progettando meccanismi per incoraggiare il flusso di capitali privati verso i progetti “verdi”;
  • la valutazione dei quadri sarà basata su un complesso di parametri economici, sociali e ambientali, non più solo sul contributo al Pil, ridimensionando l’ossessione per la crescita. A tale scopo, la creazione di un “bilancio patrimoniale delle risorse” permetterà di tenere traccia delle azioni dei quadri ben dopo la fine del loro mandato, creando un sistema di responsabilità che opererà anche dopo il termine degli incarichi.

Il documento menziona anche sistemi transregionali (diretti contro gli inquinatori) di compensazione e di ripristino, diritti di proprietà chiaramente definiti per le diverse risorse, istituzioni più efficaci di monitoraggio e di valutazione, e lo sviluppo di mercati per la protezione ambientale (come ad esempio, uno schema di negoziazione dei diritti per lo smaltimento dei rifiuti e dei diritti all’uso delle risorse idriche). In aggiunta, la creazione di un piccolo gruppo di coordinamento per il rafforzamento del processo di riforma (Leading Small Group for the Comprehensive Deepening of Reforms) al vertice del PartitoStato, e la formulazione della scadenza del 2020 per ottenere tutti questi risultati suggellano le misure appena elencate e segnalano l’impegno della leadership a realizzare profondi cambiamenti.

Nonostante questi cambiamenti siano per ora solo enunciati sulla carta, il livello di accordo politico evidenziato dal Plenum con un documento di tale portata è sicuramente degno di nota. Tuttavia, la sfida più complessa rimane quella della trasmissione delle politiche dal centro alle istituzioni locali, cui spetta garantirne l’attuazione. Molte cose potrebbero andare storte in questo processo. Su questo sarà giudicata negli anni avvenire la leadership guidata da Xi Jinping e Li Keqiang.

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