Due eventi degni di nota negli ultimi mesi sembrano indicare che il governo cinese sta assecondando una deriva di tipo repressivo che mette a rischio i diritti fondamentali dei cinesi.
Il 30 agosto scorso, l’Assemblea nazionale del popolo, ossia il Parlamento della Repubblica popolare cinese (Rpc), pubblicava sul suo sito web una bozza di emendamento alla legge di procedura penale, sollevando le critiche di numerosi osservatori. Questa bozza, se approvata, espanderebbe fortemente e pericolosamente il potere discrezionale della polizia e delle autorità di sicurezza nazionale. Per esempio, secondo gli emendamenti proposti, la polizia acquisirebbe il potere di detenere chiunque senza informare i relativi famigliari, purché la detenzione sia in qualche modo legata a questioni di sicurezza nazionale (categoria quanto mai vasta e indefinita). Un’altra espansione dei poteri di polizia riguarda la libertà di ricorrere in maniera quasi illimitata alle intercettazioni ambientali e ad altre misure di sorveglianza tecnologica.
Le proposte hanno suscitato pubblico clamore perché di fatto legalizzano la “detenzione segreta” e comportano una grave intrusione nella privacy del cittadino. Un eminente professore di diritto ha apertamente definito questi emendamenti “clausole Gestapo” e un importante giurista si è chiesto se in realtà non siano stati inseriti nella bozza direttamente dalle autorità della sicurezza nazionale.
Mentre la bozza degli emendamenti deve ancora essere trasmessa all’organo legislativo per l’approvazione formale, è già stata messa in pratica – nella disattenzione generale – una misura studiata per schermare le forze armate dall’influenza della pubblica opinione. Sempre il 30 agosto, un rapporto pubblicato sul quotidiano dell’Armata popolare di liberazione, voce ufficiale delle forze armate cinesi, illustrava nei dettagli una decisione presa a marzo dalla Commissione militare centrale cinese (presieduta dal presidente della Rpc, Hu Jintao) che permette a circa centomila sottufficiali professionisti di portare le rispettive consorti nelle caserme. Il governo ha, infatti, offerto a ciascuno un’abitazione gratuita all’interno delle basi militari.
Con la professionalizzazione dell’esercito cinese, acceleratasi negli ultimi vent’anni, mantenere l’assoluta lealtà di questo essenziale strumento di potere al servizio del monopolio politico del Partito comunista cinese è diventato sempre più complicato. La tensione tra la professionalità militare e l’obbedienza ai quadri politici è ben nota ai leader autoritari in giro per il mondo. E i vertici cinesi non ne sono inconsapevoli: dopo tutto, nel 1989, fu proprio nella 38a Armata dell’Esercito – tra le élite delle forze armate cinesi – che si registrarono le principali resistenze a reprimere il movimento civile pro-democrazia in piazza Tienanmen. Negli ultimi dieci anni la frequenza delle manifestazioni di protesta su larga scala (alcune molto violente come a Weng’an nel 2008, a Shishou nel 2009 e a Zengcheng nel 2011) è divenuta estremamente preoccupante per le autorità cinesi. Cresce, in parallelo, la probabilità di usare le truppe per reprimere il dissenso. Offrire a ufficiali e sottufficiali un’abitazione gratuita e farli vivere con le proprie famiglie dentro le caserme è senza dubbio un modo efficace per guadagnare sostegno e allo stesso tempo isolare il più possibile le forze armate dagli strati sociali dove più serpeggia il malcontento e la sfiducia nei confronti del governo. È una misura abbastanza orwelliana, che ricorda “La fattoria degli animali”: il maiale Napoleone allevava lontano dagli altri animali sei enormi cani per sguinzagliarli quando il suo controllo sulla fattoria veniva messo in discussione.
Le centomila nuove unità abitative sono fatte, dunque, per assicurarsi il sostegno dei militari nel momento in cui i leader comunisti cinesi dovessero affrontare il rischio di proteste sociali su larga scala, mentre gli emendamenti proposti al codice di procedura penale metterebbero in grado le autorità di conculcare i diritti degli attivisti che potrebbero guidare tali proteste. Combinate tra loro, queste due misure rischiano di aprire la strada a un lungo inverno repressivo.
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