Traduzione dall’inglese di Simone Dossi
Questo articolo è basato su di una relazione presentata a Torino il 4 luglio 2015 durante l’OrizzonteCina Summer Symposium 2015. Gli autori ringraziano David Gates, Nurlan Kussainov e Ann Holder, research associate nello sviluppo di una nuova cornice teorica sulla competitività sostenibile.
Senza il commercio internazionale, cioè senza scambio di capitali, beni e servizi attraverso confini internazionali, che è esistito durante buona parte della storia umana, si avrebbe accesso solo ai beni e ai servizi prodotti all’interno dei confini del proprio paese. Nei mercati emergenti, il commercio internazionale rappresenta una quota significativa e crescente del prodotto interno lordo. Il commercio internazionale ha aiutato a ridurre la povertà estrema nel mondo e, allo stesso tempo, è diventato centrale nel dibattito sulle politiche per contrastare i cambiamenti climatici. Obiettivo di questo articolo è esplorare il rapporto tra sviluppo sostenibile e “Nuova via della seta”.
La via della seta tradizionale
La via della seta tradizionale, un vettore di trasmissione commerciale e culturale lungo 6.500 chilometri, giocò un ruolo determinante nell’interazione culturale tra la Cina e il Mar Mediterraneo. Veniva percorsa da commercianti, mercanti, pellegrini, monaci, militari e nomadi ed ebbe un’importanza fondamentale nello sviluppo delle civiltà della Cina, del subcontinente indiano, della Persia, della penisola arabica e dell’Europa. Oltre al commercio di seta, porcellana e tè, la via della seta permetteva infatti anche un “commercio” di matrice culturale. Marco Polo (1254-1324), il famoso mercante di Venezia, divenne uomo di fiducia dello statista mongolo Kublai Khan, nipote di Gengis Khan. Ciò gli consentì di compiere un epico viaggio via terra verso la Cina, ritornando poi al Mediterraneo via mare, attraverso gli stretti di Malacca e Hormuz. Un viaggio che durò in totale 24 anni.
L’emergere di una “Nuova via della seta”
Storicamente, le regioni costiere della Cina – come Shanghai e Shenzhen – sono state la destinazione ideale per industrie manifatturiere a basso costo. Queste regioni costiere hanno infatti offerto facile accesso alla manodopera e notevoli opportunità per l’importazione e l’esportazione di materie prime e prodotti finiti. Per la Cina (e per il Kazakistan), il capitalismo di Stato ha giocato un ruolo determinante nel rapido processo di crescita economica, ma entrambi i paesi riconoscono oggi che esso ha ormai fatto il suo tempo. Si è preso atto che i governi, efficaci negli investimenti in infrastrutture, non lo sono altrettanto nell’innovazione. In realtà, già nel 2012 il settore privato cinese ha superato il settore pubblico, contribuendo per oltre il 60% al Pil. La Cina si è sviluppata – e continua a farlo – grazie ai 22 cluster “hub and spoke” attualmente esistenti, ora impegnati in una rapida transizione da settori ad alta intensità di lavoro a settori ad alta intensità di capitale e di tecnologia, come la farmaceutica (attorno a Shijiazhuang) e il settore dell’aerospaziale civile (attorno a Xi’an). Ciascuno di questi cluster è un ecosistema a sé, trainato dall’innovazione e dall’imprenditoria privata.
È sempre più evidente che la Cina sta oggi spingendo il settore manifatturiero verso le proprie regioni occidentali, per le seguenti cinque ragioni:
1. miglioramento delle infrastrutture: gli impressionanti miglioramenti nelle infrastrutture conseguiti negli ultimi venti anni garantiscono facile accesso alla maggior parte delle città e delle province della Cina;
2. accesso alla forza lavoro: nelle province della Cina occidentale è disponibile un vasto – e poco sfruttato – bacino di forza lavoro;
3. bassi costi: il costo di forza lavoro, terra, costruzione e management e i costi generali di gestione sono tutti significativamente più bassi che nelle regioni costiere;
4. forte sostegno da parte dei governi locali: i governi municipali delle città più piccole sono maggiormente disposti a offrire sostegno alle imprese manifatturiere intenzionate a investire, per esempio riducendo le incombenze burocratiche;
5. vicinanza ai mercati: l’Europa può essere raggiunta più velocemente e a costi più contenuti via terra dalla Cina occidentale.
La “Nuova via della seta”, un’espressione proposta per la prima volta da Alexander Van de Putte e Wai Chiew Chik nel rapporto China and the World: Scenarios to 2025 presentato al World Economic Forum del 2006, è un ambizioso progetto del valore di diversi miliardi di dollari che intende connettere la Cina con l’Europa occidentale lungo una linea ferroviaria di 2.500 chilometri attraverso il Kazakistan. Le antiche carovane trasformarono il mondo trasportando idee e cultura accanto a seta e spezie: come allora, anche oggi il Kazakistan è un partner fondamentale nell’equivalente moderno di questa via commerciale dell’Eurasia centrale, destinata a stimolare la crescita economica con potenziali ripercussioni su scala mondiale. Connettendo la Cina all’Europa, alla Turchia e al Medio Oriente, essa sarà ben più di una via di transito dal punto A al punto B: la Nuova via della seta, promuovendo il commercio tra le regioni attraversate, creerà un corridoio economico che favorirà la stabilità e la sicurezza energetica. La Cina e il Kazakistan saranno tra i maggiori beneficiari. La Nuova via della seta è per questi due paesi una porta di accesso all’economia mondiale. Essa infatti offre considerevoli vantaggi in termini di tempo e costi rispetto ai corridoi di trasporto alternativi. Per esempio, per trasportare beni dalla Cina occidentale all’Europa centrale attraverso la Transiberiana occorrono 14 giorni, via mare possono servirne fino a 45, mentre attraverso il Kazakistan ne bastano otto. Ciò rende la Nuova via della seta un’interessante alternativa per prodotti più deperibili o a medio-alta densità di valore (per esempio materie prime e grano), ma anche per la componentistica (per computer e stampanti, e i ricambi per automobili).
Lo sviluppo sostenibile e la Nuova via della seta
Come detto, la Nuova via della seta è pensata per portare benefici a tutti coloro che vi partecipano. Affinché il Kazakistan possa trarne il massimo vantaggio e possa rafforzare la propria competitività nel lungo periodo, è in fase di attuazione un’iniziativa in tre fasi.
Fase 1: investimenti nelle infrastrutture – strade, ferrovie e porti. Al fine di sviluppare il corridoio tra la Cina e l’Europa occidentale, il Kazakistan sta costruendo o potenziando tre grandi reti infrastrutturali: Khorgos, un “porto secco” che fungerà da hub logistico sul confine tra Kazakistan e Cina; un collegamento ferroviario di 2.500 chilometri da est a ovest; l’ampliamento del porto di Aktau sul Mar Caspio.
Fase 2: sviluppo dei servizi di trasporto e logistica. Infrastrutture che non siano accompagnate da efficienti servizi di logistica conducono a un’inefficiente allocazione delle risorse. Imprese kazake hanno collaborato con DP world, leader nel settore della movimentazione container, per utilizzare al meglio la rete infrastrutturale del paese.
Fase 3: attuare una strategia di diversificazione trainata da cluster e sviluppare le catene transnazionali del valore a ciò connesse. Durante un panel sulla competitività all’Astana Economic Forum 2012, la “competitività sostenibile” è stata definita come segue:
“La competitività sostenibile è misurata dal grado in cui una nazione è capace di far leva sulle proprie dotazioni naturali per creare un vantaggio competitivo nel mercato e dalla sua capacità di mantenere questo vantaggio nel tempo”. Questa definizione presenta alcune interessanti dimensioni. Anzitutto le dotazioni naturali: esse possono essere definite come “le capacità naturali o le qualità di un paese prima dell’intervento umano”. Il Kazakistan presenta due tipi di dotazioni naturali: quelle destinate a esaurirsi (risorse energetiche e minerarie) e quelle sostenibili nel tempo (localizzazione geografica nel cuore dell’Eurasia, estensione territoriale, biodiversità, una popolazione adattabile e sempre più istruita). In secondo luogo la capacità di “far leva”: una dotazione naturale non dovrebbe essere semplicemente sfruttata, ma i decisori politici e i manager dovrebbero puntare a capitalizzare sul suo valore intrinseco.
Il Kazakistan sta attualmente lavorando a quattro cluster economici, al fine di trarre il massimo beneficio dalle catene transnazionali del valore: un cluster integrato dell’energia e dell’economia nazionale; un cluster della metallurgia e dei macchinari; un cluster dell’agroalimentare; e infine un cluster integrato dei prodotti chimici.
Le sfide della sostenibilità
Il commercio e la diversificazione sono condizioni necessarie ma non sufficienti dello sviluppo sostenibile. Nello sviluppare le proprie economie, i mercati emergenti devono tener conto di numerose sfide alla sostenibilità che – se opportunamente affrontate – rappresentano altrettante leve per conseguire importanti progressi sulla strada dello sviluppo sostenibile. Di seguito alcuni esempi:
• John Elkington ha proposto una triplice dimensione dei risultati d’impresa – popolo, pianeta, profitti – a indicare che le imprese dovrebbero creare valore non solo per gli shareholders ma anche per la società nel suo complesso, se intendono sopravvivere.
La Nuova via della seta può rivelarsi uno strumento straordinario per promuovere la competitività sostenibile. Richiederà tuttavia un differente approccio mentale, che consideri le risorse come finite, gli scarti come una risorsa, e che dia importanza alla necessità di preservare e bilanciare i cinque capitali e di creare valore sia per gli shareholders che per la società.
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