Il 24-25 maggio si è svolto a Pechino il secondo round del dialogo strategico ed economico sino-americano, un processo avviato a Washington nel 2009. La delegazione americana, composta da più di 200 funzionari, era guidata dal Segretario di Stato Hillary Clinton, e dal Segretario al Tesoro Timothy Geithner. Si è trattato del più ampio vertice sino-americano di sempre, sia in termini di burocrazie coinvolte, sia di varietà di temi trattati, tanto da far riaffiorare i discorsi sul condominio mondiale tra i due paesi (G2).
Come ha ricordato il Dipartimento di Stato la cooperazione economica tra Cina e Stati Uniti ha quattro obiettivi cruciali: il superamento delle barriere al commercio e agli investimenti, una ripresa economica sostenuta e più bilanciata, sistemi finanziari più aperti e orientati al mercato, e il rafforzamento dell‟architettura economica e finanziaria internazionale.
Per quanto riguarda le barriere agli investimenti, l‟attenzione si è soffermata sulla necessità per la Cina di sottoscrivere il Wto Agreement on Government Procurement, che aprirebbe alle aziende straniere il vasto mercato delle commesse pubbliche, in linea con il principio di non discriminazione, uno dei cardini dell‟Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Il governo cinese, seguendo una logica mercantilista già sperimentata in altri paesi dell‟Asia industrializzata, giustifica la protezione del settore degli acquisti pubblici con la necessità di facilitare l‟innovazione del sistema di produzione nazionale, prima di esporlo alla concorrenza internazionale. Il governo americano, da parte sua, comprende lo sforzo cinese di promuovere lo sviluppo tecnologico, ma ritiene che ciò non debba andare a detrimento dell‟apertura dei mercati e degli interessi delle aziende straniere presenti in Cina. Nel corso del round di dialogo i negoziatori cinesi si sono impegnati a presentare all’Omc entro il prossimo luglio una proposta di adesione al suddetto accordo.
Sempre secondo il Dipartimento di Stato, una crescita dei consumi interni cinesi, in linea con il necessario ribilanciamento dell‟economia, moltiplica gli spazi di mercato per le aziende americane e aiuta la ripresa; il rafforzamento della cooperazione in materia di regolamentazione e supervisione finanziaria riduce il rischio di bolle speculative, assicura l‟integrità dei mercati e protegge gli investitori dalla frode e dalla corruzione; infine, Cina e Stati Uniti possono cooperare affinché organismi internazionali quali il G-20, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario godano di legittimità e di efficacia e siano dotati delle risorse sufficienti per svolgere il proprio ruolo. Sullo sfondo delle giornate di dialogo è rimasta la questione della rivalutazione dello yuan, tanto caldeggiata dall’amministrazione Obama (v. OrizzonteCina vol. 1 n. 1). Sembra ormai che gli Stati Uniti abbiano scelto la strada della paziente diplomazia e dell‟attesa: dopo il rinvio di aprile, infatti, la pubblicazione del rapporto che dovrebbe stabilire se la Cina è un manipolatore di valuta è stata rinviata sine die. Dal canto suo, il governo cinese sembra ormai riconoscere la necessità di una riforma del meccanismo di cambio del renminbi, sulla base di una decisione autonoma e indipendente, che assicuri il controllo graduale della transizione, senza danni per l‟economia cinese. Non è però chiaro quando questa decisione verrà presa, e in quali termini.
Nonostante il clima di reiterata amicizia tra i due popoli (ad esempio, si è deciso di aumentare significativamente gli scambi tra studenti) e di rinnovata collaborazione, permangono tra Washington e Pechino tensioni commerciali significative in sede Wto. Ad aprile, per esempio, gli Stati Uniti hanno imposto alla Cina dazi antidumping dal 30 al 99 per cento sui tubi d‟acciaio utilizzati nei pozzi di petrolio e di gas, cui Pechino ha immediatamente replicato applicando dazi anti-dumping e anti-sussidio su certi particolari tipi di acciaio importati dagli Stati Uniti.
In sintesi, in materia economica il dialogo si è concluso con reciproca soddisfazione delle parti, poiché in fondo si è rivelato abbastanza interlocutorio (eccetto la firma di un importante accordo di cooperazione per lo sviluppo dell‟industria cinese del gas), e non ha portato a decisioni finali sui dossier più significativi, registrando invece una convergenza di intenti peraltro necessitata dalla stretta relazione economico-finanziaria esistente tra i due paesi e dalla crisi mondiale non ancora conclusa. Secondo il Wall Street Journal, peraltro, il round avrebbe registrato uno spostamento della dinamica delle relazioni sino-americane in favore di una più assertiva Cina, di fronte agli Stati Uniti costretti ad accontentarsi di promesse, e ad aspettare con speranza l‟evolversi della situazione politico-economica interna del gigante asiatico.
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