La politica malaysiana contemporanea assomiglia a una gara tra due leader del partito dominante, lo United Malays National Organization (UMNO). L’attuale Primo Ministro Najib Razak, in carica dal 2009, fronteggia un’opposizione multiforme capeggiata dall’ex Primo Ministro Mahathir Mohamad, l’uomo che guidò il Paese dal 1981 al 2003 e che ironicamente fu artefice di gran parte delle caratteristiche istituzionali e di governance non democratiche oggetto di proposte riformatrici a partire dalla crisi finanziaria asiatica del 1997. Il novantaduenne Mahathir si è unito all’opposizione l’anno scorso dopo aver fallito nel tentativo di convincere l’attuale leadership UMNO a disarcionare Najib in seguito a rivelazioni circa livelli di corruzione senza precedenti. Ne deriva la tentazione di guardare alle prossime elezioni – che dovranno tenersi entro l’agosto di quest’anno, ma che verosimilmente saranno indette prima – come a una sfida tra i diversi punti di vista rispetto ai risultati e all’eredità dei due leader.
Ad oggi la campagna elettorale si è infatti focalizzata su questi ultimi, demonizzati e lodati dai rispettivi sostenitori. Tuttavia, queste elezioni riguardano meno il passato rispetto alle attuali sfide di governance, alle crescenti pressioni antidemocratiche, e al rafforzamento della destra. Dalla vittoria per il rotto della cuffia del 2013, dovuta principalmente a un contesto elettorale poco equo, l’amministrazione Najib è divenuta progressivamente più autoritaria. Rapporti sui diritti umani hanno mostrato nel dettaglio come abbia inasprito la repressione contro gli avversari politici, come nel caso dell’ex leader dell’opposizione Anwar Ibrahim che è rimasto in carcere per oltre tre anni dopo un processo irregolare di carattere politico. Parimenti, le voci critiche interne allo UMNO sono state epurate e hanno dovuto affrontare intimidazioni e indagini, e persino cittadini comuni sono stati accusati in seguito a commenti sui social media o sono diventati bersaglio di un apparato burocratico anti-corruzione e pro-Najib sempre più politicizzato. Inoltre, Najib ha utilizzato la propria carica non solo per limitare il dissenso e perpetuare la paura, ma anche per rafforzare l’esecutivo: nel 2016 ha istituito il National Security Council che garantisce un più ampio spazio di manovra al Primo Ministro per mantenere il potere; rivestendo anche il ruolo di Ministro delle Finanze, ha centralizzato il processo decisionale in ambito finanziario e sfruttato le reti clientelari a proprio vantaggio, segnatamente per escludere i suoi oppositori all’interno del sistema[1]; ha vieppiù minato l’integrità del processo elettorale aumentando con l’avvicinarsi del voto l’attribuzione ai singoli Stati di un numero di collegi eccessivi rispetto alla loro popolazione (c.d. malapportionment), brogli, e distorsione delle circoscrizioni.[2] Il prezzo è stato un sistema più chiuso.
L’accresciuto autoritarismo è stato esacerbato da serie questioni di governance con il Primo Ministro che ha dovuto affrontare gravi accuse di cleptocrazia inerenti al trasferimento di 700 milioni di dollari da un’azienda collegata al governo (1Malaysia Development Berhad, 1MDB) sul suo conto corrente e più in generale la cattiva gestione di 4,5 miliardi di dollari della stessa azienda. Lo scandalo 1MDB è sfociato in molteplici indagini internazionali per riciclaggio e corruzione[3], ma Najib ha evitato di essere processato sfruttando la propria posizione per impedire che fossero avanzate denunce a suo carico in Malaysia, ha stretto alleanze con Arabia Saudita e Cina al fine di avere accesso ai fondi necessari a ripagare il debito dell’azienda, e ha esercitato pressioni sull’amministrazione Trump affinché sospendesse l’indagine.
In un’epoca di crescente competizione globale, Najib ha fatto anche appello agli investitori internazionali grazie al suo appoggio a politiche economiche neoliberali, apparendo pronto ad aprire l’economia del Paese per attrarre investimenti e rafforzare le entrate tramite liberalizzazioni commerciali e l’introduzione di una tassa su beni e servizi (GST). I principali beneficiari di queste liberalizzazioni sono state le élite politiche in Cina e Malaysia che hanno negoziato accordi di investimento, in particolare nel settore delle infrastrutture. I capitali esteri sono serviti a stimolare la crescita interna che nel 2017 si è attestata al 5,9% del Prodotto Interno Lordo (PIL), oltre che a rafforzare l’opinione che Najib abbia guidato l’economia del Paese fuori dalla crisi finanziaria del 2008-2009. Cionondimeno, i tagli alla spesa destinata ai servizi hanno avuto un impatto negativo sui cittadini comuni, specialmente quelli in ristrettezze economiche. Coerentemente con la tendenza globale, in Malaysia le disuguaglianze sono cresciute e la mobilità sociale si è contratta; i livelli salariali sono rimasti stagnanti – si stima che il 40% dei malaysiani guadagni meno di 1.000 dollari al mese – e il livello di precarietà elevato. Il debito delle famiglie a fine 2017 era pari all’85% del loro reddito, uno dei più alti livelli al mondo, e il debito pubblico eguagliava il 50,1% del PIL, ovvero oltre 172 miliardi a cui vanno però aggiunti 57 miliardi (16,9% del PIL) legati a garanzie statali anche a favore della 1MDB. Il debito è cresciuto notevolmente sotto Najib e il servizio sul debito attualmente supera i 7 miliardi, ovvero il 12% delle entrate stimate. Si può quindi concludere che la crescita economica sia stata accompagnata da maggiori rischi al contempo senza riuscire a raggiungere i più bisognosi.
Condizioni sociali problematiche delineano dunque il contesto dell’imminente competizione politica. Nonostante la priorità sia l’economia del Paese, opinioni contrastanti sui risultati economici e i relativi effetti hanno minato una vera discussione sulle prospettive future. L’opposizione guidata da Mahathir non offre un’alternativa economica chiara e praticabile e, per contro, il principale tema di sottofondo riguarda la politica identitaria, in linea con una più ampia tendenza globale. Le maggiori preoccupazioni non riguardano l’immigrazione, bensì razza e religione, a partire dalla posizione dominante della comunità malese e da un Islam più escludente e conservatore utilizzato dal governo Najib per rafforzare la propria legittimità politica, allineandosi l’alleato saudita. Identità etnica e competizione sono stati a lungo elementi politici dominanti in Malaysia, ma in tempi recenti la convivenza multietnica aveva presentato nuove forme di cittadinanza. Il governo Najib ha però capitalizzato il risentimento verso tale tendenza più inclusiva: dal momento in cui inquadrò le elezioni del 2013 come un gioco a somma zero in termini etnici[4], le tensioni sono cresciute e le minoranze non musulmane sono state utilizzate come capro espiatorio e accusate di minacciare la posizione dell’Islam e il gruppo etnico dominante musulmano. L’opposizione multietnica non è stata in grado di rispondere efficacemente a tale politica identitaria divisiva, e non è riuscita ad articolare una visione inclusiva antitetica. Pertanto, la narrativa della campagna elettorale è dominata da discorsi sull’identità di tipo negativo, avvantaggiando Najib.
Crescente autoritarismo, precarietà macroeconomica, disuguaglianze durevoli e una politica identitaria escludente e razziale sono tutti elementi che rendono difficile rafforzare una politica democratica. La destra ha preso piede in Malaysia, coerentemente con una tendenza globale, e la prossima contesa determinerà se tali trend proseguiranno. L’opposizione ha di fronte a sé una strada in salita, in parte a causa dei propri limiti, e il novantaduenne Mahathir Mohamad, la persona che per prima ha spinto la Malaysia verso una direzione meno democratica negli anni ’80, sarà ironicamente la persona che determinerà se il Paese potrà ritornare verso un centro più inclusivo.
Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini
[1] Edmund Terence Gomez (a cura di), Ministry of Finance Incorporated. (Petaling Jaya: SIRD, 2017)
[2] Kai Ostwald. “Malaysia’s Electoral Process: The Methods and Costs of Perpetuating UMNO Rule,” Trends in Southeast Asia. No. 19. 2017. Singapore. ISEAS.
[3] Kerstin Steiner, “Economics, Politics and the Law in Malaysia: A Case Study of the 1MDB Scandal,” in Sophie Lemiere, Illusions of Democracy: Malaysian Politics and the People Volume II. (Petaling Jaya: SIRD, 2017), pp. 245-270.
[4] Come emerge da un articolo intitolato “What more do Chinese want?” pubblicato da una testata affiliata al governo (link in malese): http://ww1.utusan.com.my/utusan/Pilihan_Raya/20130507/px_03/Apa-lagi-orang-Cina-mahu
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