Le elezioni del 2014 hanno segnato una svolta nella politica indiana contemporanea. Il Bharatiya Janata Party (BJP), un partito della destra nazionalista indù, ot tenne la maggioranza assoluta dei seggi alla camera bassa (Lok Sabha), ponendo fine a 30 anni di governi di coalizione. Narendra Modi divenne primo ministro, conducendo il partito verso una ancora più spettacolare vittoria elettorale nel 2019, quando il BJP incrementò ulteriormente il proprio dominio della politica nazionale. Le elezioni della primavera del 2024 hanno invece costituito una brusca battuta d’arresto per Modi e il suo partito, che non ha ottenuto la mag gioranza dei seggi, aprendo quindi nuovamente la strada a governi di coalizione.
Il decennio di Modi alla guida dell’India è stato contraddistinto da due processi fondamentali, entrambi in linea con le aspettative di molti analisti all’indomani delle elezioni del 2014 (Maiorano, 2015). Primo, i governi Modi hanno promosso una notevole opera di modernizzazione economica, che ha però prodotto risultati contrastanti. Secondo, la democrazia indiana è stata fortemente indebolita, al punto che è oggi più corretto classificare il paese come un regime “ibrido”, a metà strada tra democrazia e autoritarismo. Ciascun aspetto verrà illustrato nelle due sezioni che seguono.
Nel decennio 2014-2024, il PIL pro capite indiano è cresciuto a una media del 4,3 per cento. Pur considerando che l’economia era cresciuta più velocemente nel decennio precedente (6,2 per cento), il tasso di crescita durante i governi Modi è stato molto positivo. Non solo, infatti, il governo Modi ereditò un enorme problema finanziario legato a un’ingente quantità di prestiti in sofferenza (non-performing asset) – un problema non del tutto risolto –, ma l’economia mondiale ha rallentato significativamente negli ultimi dieci anni essendo stata investita da ripetute crisi economiche (su tutte la pandemia da COVID-19, il rallentamento dell’economia cinese, la guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente). L’India è emersa come uno dei pochi Paesi in continua crescita all’interno di uno scenario economico mondiale molto incerto, pur considerando i dubbi sull’affidabilità dei dati economici indiani (Subramanian, 2019).
Uno dei maggiori motori della crescita indiana durante i governi Modi è stato un ambizioso piano di investimenti pubblici in infrastrutture, volte a migliorare la competitività del sistema economico indiano e incentivare investimenti privati domestici e internazionali. Gli investimenti pubblici in ferrovie e strade sono più che raddoppiati, mentre gli investimenti in capitale fisico sono aumentati di quasi cinque volte (in valore assoluto). La costruzione di strade e autostrade e di linee ferroviarie moderne ha accelerato notevolmente, contribuendo a rendere il paese una destinazione economica più appetibile. Tuttavia, l’ingente iniezione di capitale pubblico non è stata seguita da investimenti privati. Gli investimenti fissi lordi (Gross Fixed Capital Formation) hanno infatti ristagnato attorno al 30 per cento del PIL. Anche gli investimenti stranieri sono lievemente scesi a 1,5 per cento del PIL (da 1,7 nel 2014)[1].
Un approccio simile – ingenti iniezioni di risorse pubbliche – è stato adottato per incentivare la crescita del settore manifatturiero, da sempre uno dei punti dolenti dell’economia indiana. L’iniziativa lanciata nel 2014 Make in India aveva l’obiettivo, attraverso sussidi e corsie preferenziali, di far crescere il settore manifatturiero al 25 per cento del PIL entro il 2022 (traguardo poi rivisto al 2025). Tuttavia, il peso del settore è sceso dal 18 al 16 per cento durante il governo Modi. Nel 2020 lo stesso governo Modi ha annunciato ulteriori sussidi per il settore manifatturiero pari a circa l’1% del PIL, oltre ad annunciare aiuti specifici per alcune industrie a tecnologia avanzata. Per esempio, il governo fornirà un sussidio di circa 2 miliardi dollari per la costruzione di una fabbrica di chip in Gujarat (circa il 70 per cento del totale dell’investimento previsto). Un’altra chiara priorità del governo Modi sono gli investimenti in fonti rinnovabili di energia. La produzione domestica di energia verde è aumentata dal 13 al 23 per cento del totale durante i governi Modi e punta a raggiungere il 50 per cento entro il 2030. Entrambi gli esempi dimostrano che il governo Modi punta molto su settori strategici dal punto di vista politico-internazionale, in linea con la politica estera (di grande successo) volta a rendere l’India un attore cruciale (The Economist, 2024).
In aggiunta agli ingenti investimenti pubblici, il governo Modi ha attuato due importanti riforme. Primo, una riforma della tassa sul valore aggiunto che ha di fatto creato un mercato nazionale per la prima volta dall’indipendenza. Anche se i costi, in una prima fase e soprattutto per le piccole imprese, sono stati enormi, il sistema è in via di stabilizzazione. Una delle conseguenze è probabilmente stata una formalizzazione dell’economia (anche se l’economia informale continua a rappresentare circa la metà del PIL e almeno l’80 per cento della forza lavoro), oltre a un notevole miglioramento dell’efficienza del commercio interno al paese (Nagaraj & Kapoor, 2022).
Secondo, il governo Modi ha accelerato la costruzione di un’infrastruttura digitale pubblica capillare. Quasi tutti i cittadini indiani hanno un’identità digitale (aadhar) e un conto corrente, attraverso i quali ricevono una serie di sussidi in modo rapido e senza intermediari. Inoltre, la Unified Payment Interface (UPI, un sistema unificato di pagamenti digitali) è cresciuta esponenzialmente – oggi ha circa 300 milioni di utenti e 50 milioni di commercianti – contribuendo ulteriormente alla formalizzazione dell’economia.
Tuttavia, i governi Modi si sono anche contraddistinti per una politica economica ondivaga, che ha contribuito a creare incertezza tra gli operatori economici.
Tre esempi sono la “demonetizzazione” del Novembre 2016; l’imposizione del lockdown del 2020; e la fallita riforma dell’economia agraria del 2020. Tutte e tre le decisioni furono contraddistinte dalla completa segretezza nella quale vennero prese – un tratto distintivo della formulazione delle politiche pubbliche durante i governi Modi.
La “demonetizzazione”, annunciata con un preavviso di quattro ore in un messaggio televisivo, tolse valore a tutte le banconote da 500 e 1000 rupie, pari a circa l’86% della valuta circolante. Il risultato fu un arresto cardiaco dell’economia indiana, allora quasi esclusivamente basata sul contante (anche per operazioni immobiliari o di acquisto di input da parte di grandi industrie). Alcuni studi hanno stimato un impatto sulla creazione di lavoro e sulla produzione di circa due punti percentuali (Chodorow-Reich et al., 2018). Il lockdown del 2020 fu anche tenuto segreto e comunicato con un preavviso di quattro ore. Il risultato fu che decine di milioni di lavoratori precari delle grandi città si ritrovarono senza lavoro, senza dimora e senza mezzi di trasporto per raggiungere i loro villaggi d’origine. Senza alternative, decine di milioni si misero in marcia a piedi, causando la più grande migrazione interna dai tempi della spartizione del subcontinente nel 1947. Molti morirono di stenti sulla via. Alla riapertura delle fabbriche, molti lavoratori, temendo nuovi lockdown improvvisi, non si ripresentarono nelle città, causando carenze di personale per mesi (Adhikari et al., 2020).
Le leggi di riforma agraria furono anche introdotte all’improvviso, tramite un’ordinanza[2] e senza consultare le organizzazioni di categoria. Il risultato fu l’esplodere di proteste di massa, a tratti violente – circa 600 persone morirono – che durarono oltre un anno, fino a quando il governo decise di ritirare le leggi.
Questi esempi sono stati riportati per veicolare due punti: primo, il processo di policy-making in un governo fortemente centralizzato come quello di Modi può assumere carattere di imprevedibilità e rivelare bruschi cambi di direzione, che ovviamente costituiscono un fattore di rischio per chi desidera investire. Secondo, il governo Modi – come avviene per i governi fortemente accentrati – è capace di prendere decisioni in maniera molto repentina e senza consultarsi con altri attori coinvolti. Questo rende il processo di policy-making suscettibile di inversioni di rotta (come nel caso delle riforme agricole) o di risultati disastrosi (come nel caso della demonetizzazione o del lockdown del 2020).
Infine, l’economia indiana durante il decennio 2014-24, pur a fronte, come si è detto, di una crescita economica sostenuta, non ha generato sufficienti posti di lavoro per una popolazione in età lavorativa in forte crescita. L’India si trova nel mezzo del proprio dividendo demografico – una fase, unica nel corso della storia di un paese, durante la quale c’è un’espansione della popolazione in età lavorativa, che genera un’accelerazione della crescita economica. Tuttavia, perché il paese sfrutti appieno il proprio dividendo demografico, è imperativo che i giovani che entrano nella forza lavoro trovino un’occupazione. Gli indicatori sull’occupazione indiana non sono però molto positivi.
Secondo gli ultimi dati del Centro per il Monitoraggio dell’Economia Indiana (CMIE), la disoccupazione rimane stabile attorno al 10% – un valore molto alto per il contesto indiano dove una larghissima fascia della popolazione è “sottoccupata” in attività di sussistenza. La disoccupazione giovanile, al 45,4% nel 2022/23, rimane molto alta. Inoltre, ed è questo un indicatore molto preoccupante per un’economia nel bel mezzo di un “dividendo demografico”, il Tasso di Partecipazione alla Forza Lavoro è sceso dal picco del 57% nel 2000 al 49% nel 2022, indicando sia una crescente riluttanza e incapacità soprattutto delle donne (incluse in particolare quelle istruite) a entrare nel mercato del lavoro, sia un numero crescente di giovani (spesso formati) che smettono di cercare un lavoro.
I dati governativi, tuttavia, mostrano un quadro molto diverso di aumento della partecipazione alla forza lavoro dal 2018/19 e di diminuzione della disoccupazione. Anche considerando i dati ufficiali credibili (e ci sono valide ragioni per dubitarne – Bradsher, 2019), il miglioramento sarebbe dovuto principalmente a una crescente forza lavoro rurale, che rappresenterebbe una trasformazione strutturale inversa – lavoratori che si spostano verso il settore rurale a bassa produttività, invece che il contrario. Inoltre, i dati governativi mostrano un enorme aumento del lavoro autonomo, dal 52% nel 2017/18 al 58% nel 2022/23. Que sto è, molto probabilmente, un profondo segno di disagio dovuto al fatto che chi non trova lavoro si impegna in attività di sussistenza.
Il paradosso di una crescita economica molto robusta che non riesce a creare abbastanza posti di lavoro ha da tempo afflitto l’economia indiana. Secondo un rapporto dell’Università Azim Premji (Bangalore), l’India aggiunge molti meno posti di lavoro per unità di crescita economica rispetto ad altri paesi in via di sviluppo. Infatti, non sembra esserci alcuna relazione tra crescita economica e creazione di posti di lavoro, poiché “anni di rapida crescita del PIL tendono ad essere anni di lenta crescita dell’occupazione” (Azim Premji University, 2023, 65).
Una delle implicazioni è che gran parte dei frutti della crescita rimane concentrata nella parte alta della scala socio-economica, limitando così il miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione. È indicativo infatti che, dopo quarant’anni di crescita economica molto sostenuta, solo il 3% della popolazione guadagni abbastanza da pagare tasse sul reddito, mentre l’94% vive con meno di 10$ PPP al giorno. D’altra parte, secondo dati della Banca Mon diale, circa i due terzi della popolazione sono al di sotto della soglia di povertà, mentre circa un quinto è in condizione di povertà estrema. Il governo indiano infatti fornisce cibo gratuitamente a due terzi della popolazione (attraverso il National Food Security Act), implicitamente riconoscendo la precarietà economica di una larghissima fascia di popolazione.
In assenza di dati recenti sui consumi – il governo Modi ha soppresso la pubblicazione dei dati ufficiali quando un rapporto, filtrato alla stampa, mostrava un aumento della povertà – ci si può basare su indicatori indiretti. Ad esempio, le vendite di motociclette – usate da una larghissima fascia di popolazione – dal 2018/19 sono crollate. D’altra parte, le vendite di automobili (utilizzate da una piccola élite: attualmente solo il 7% della popolazione possiede un’auto) sono aumentate rapidamente, quasi esclusivamente trainate dalla crescente domanda di grandi SUV, che ora costituiscono il 50% del mercato. In maniera analoga, mentre il mercato degli smartphones è in calo, iPhone e altri modelli di fascia alta hanno aumentato la loro quota di mercato. Ancora, mentre negli ultimi anni c’è stata una forte contrazione dei viaggi in treno, i viaggi aerei sono tornati ai livelli pre-pandemia. Infine, i dati mostrano una domanda in calo (e vendite in calo) per i beni di consumo di massa (dentifrici, sapone, ecc.) nelle aree rurali e una domanda di lavoro sotto il National Rural Employment Guarantee Act (MGN- REGA, un programma di contrasto alla povertà) che rimane a livelli molto più alti rispetto a prima della pandemia (Kaul, 2023).
In sintesi, l’economia indiana cresce in modo sostenuto e la maggior parte degli analisti prevedono che la crescita rimarrà tale negli anni a venire. Molti si aspettano inoltre un’accelerazione degli investimenti privati, in risposta al piano di investimenti pubblici e sussidi messo in piedi dal governo Modi. Inoltre, il rapido miglioramento delle infrastrutture promosso dal governo aiuterà a superare alcuni degli ostacoli che hanno finora tarpato le ali all’economia indiana. Tuttavia, il sistema economico non riesce a generare posti di lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, il cui contributo al PIL è stagnante dall’indipendenza intorno al 15%. Questa situazione si traduce in un aumento delle diseguaglianze che se da un lato minaccia la stabilità sociale, dall’altro rappresenta un freno allo sviluppo economico.
Secondo tutti i principali indici che misurano la qualità della democrazia nel mondo, l’India non può più essere considerata una democrazia liberale a tutti gli effetti. L’indice V-dem definisce l’India una “autocrazia elettorale”; l’Economist Intelligence Unit una “democrazia fallace” (flawed democracy), e Freedom House un sistema “parzialmente libero”. In sostanza, l’India ha recentemente ingrossato le fila dei regimi “ibridi” e cioè sistemi politici dove garanzie costituzionali e libere elezioni coesistono con un sistema di coercizione e controllo che mette in discussione il futuro della democrazia indiana.
Durante i governi Modi, l’erosione della democrazia è stata particolarmente evidente in tre aree: primo, l’indipendenza delle istituzioni; secondo, le libertà civili; e, terzo, il processo elettorale.
L’indipendenza di istituzioni chiave come la Corte Suprema e la Commissione Elettorale dell’India (ECI)[3], che hanno a lungo goduto di reputazione come efficaci garanti della democrazia indiana, è stata profondamente compromessa. Attraverso nomine selettive, intimidazioni, riforme legislative e pressioni di vario genere, il governo indiano è stato in grado di plasmare profondamente il funzionamento dei più importanti organi di controllo del paese. La Corte Suprema ha ripetutamente deciso a favore del governo in casi altamente controversi, come quelli riguardanti il braccio destro di Modi e Ministro degli Interni, Amit Shah, o la presunta corruzione legata all’acquisto dei jet Rafale dalla Francia o ancora la legalità della revoca dell’autonomia dello stato del Jammu e Kashmir (l’unico a maggioranza musulmana). Lo stesso Primo Ministro ha pubblicamente ringraziato la Corte Suprema per aver permesso la costruzione del tempio dedicato a Ram sulle rovine della moschea di Ayodhya, distrutta dai nazionalisti indù nel 1992 – chiudendo una vicenda giudiziaria decennale e sancendo una vittoria epocale per le forze del nazionalismo indù. Nel febbraio del 2024, tuttavia, la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale una riforma della legge sul finanziamento ai partiti che aveva enormemente avvantaggiato il governo, dimostrando come le istituzioni in diane, sebbene molto indebolite, conservino spazi di indipendenza. D’altra parte, la ECI è stata accusata spesso di chiudere entrambi gli occhi di fronte a violazioni piuttosto evidenti delle norme elettorali da parte del BJP. Inoltre, nel 2023 il governo ha modificato le norme per la nomina dei commissari elettorali, mettendola interamente nelle mani dell’esecutivo (Jaffrelot, 2021).
L’erosione delle libertà civili è stata evidente in due aree: da un lato, la libertà di espressione e, dall’altro, la violazione dei diritti delle minoranze. Il principale strumento per reprimere il dissenso è rappresentato dalle numerose agenzie investigative del governo centrale. Per esempio, il numero di casi aperti contro esponenti politici dall’Enforcement Directorate[4] è quadruplicato dal 2014 e il 95% di questi casi riguarda politici dell’opposizione (tra il 2004 e il 2014, la percentuale era al 55%). Almeno cinque leader politici dell’opposizione sono stati accusati di frodi fiscali o finanziarie tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, a pochi mesi dalle elezioni generali (The Economist, 2024a). Due chief ministers in carica dell’opposizione sono stati arrestati poco prima dell’inizio della campagna elettorale.
Tra le organizzazioni della società civile che sono sotto indagine da parte di agenzie governative figurano Oxfam, Greenpeace, Amnesty International, la BBC, il Centre for Policy Research (il più prestigioso think tank del paese) e il quotidiano digitale Newsclick. Inoltre, numerosi attivisti, giornalisti, accademici e studenti sono stati incarcerati utilizzando la legislazione anti-terrorismo, che ne rende quasi impossibile la liberazione su cauzione, di fatto condannandoli a lunghi periodi di detenzione in attesa di processo. Umar Khalid, per esempio, uno dei leader del movimento studentesco nazionale, è in carcere da oltre tre anni in attesa di processo, accusato di aver orchestrato gli scontri di Delhi del 2020. Ad alcuni attivisti critici del governo è stato proibito di lasciare il paese, mentre ad altri, di origine indiana, ma residenti all’estero, è stato impedito di rientrarvi. Persino il leader dell’opposizione, Rahul Gandhi, è stato condannato a due anni di carcere per una dichiarazione rilasciata in campagna elettorale ed espulso dal Parlamento (Gandhi è stato in seguito riammesso, in attesa del processo di appello).
Parallelamente, i diritti delle minoranze, in particolare quelli dei musulmani (circa il 15 per cento della popolazione) sono stati profondamente erosi. La lunga lista di abusi include quello che tre Relatori Speciali delle Nazioni Unite[5] hanno definito “punizioni collettive” sotto forma di demolizioni di proprietà musulmane; la tacita (e talvolta esplicita) approvazione degli omicidi religiosi da parte delle autorità; le partnership informali e formali tra la polizia e gruppi di vigilantes indù violenti; e l’introduzione di regole formali di discriminazione religiosa, come una nuova legge che esclude i rifugiati musulmani dall’ottenere la cittadinanza. Secondo Article 14, un sito web investigativo, la proporzione di musulmani accusati di sedizione è aumentata dal 15 per cento in media (2010– 14) al 30 per cento (2014–20) (Maiorano, 2022). Infine, diversi stati dove il BJP è al potere hanno inasprito la legislazione contro la macellazione della vacca – un’attività economica principalmente nelle mani dei musulmani – o approvato leggi che rendono più difficili i matrimoni interreligiosi.
Alcuni autori hanno infatti cominciato a descrivere l’India come una “democrazia etnica” per evidenziare il carattere sempre più marcatamente indù dello stato indiano (Adeney, 2021; Jaffrelot, 2021). Il Primo Ministro stesso, all’inaugurazione del tempio dedicato a Ram ad Ayhodhya – la cui consacrazione è stata condotta personalmente da Modi – ha dichiarato che il tempio rappresenta la “coscienza nazionale in forma di Ram” che è “il fondamento dell’India”.
Terzo, il processo elettorale stesso è stato incrinato, al punto che è ormai discutibile se l’India soddisfi ancora il requisito minimo per una democrazia, cioè elezioni libere ed eque. Per essere chiari, le elezioni rimangono libere, ma è la loro equità a essere in discussione. Non solo il partito al potere è in grado di plasmare la narrazione dei media attraverso una combinazione di incentivi e repressione, ma il sistema di finanziamento elettorale in vigore dal 2017 (e recentemente dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema) ha permesso al BJP di ottenere finanziamen ti superiori a quelli di tutti gli altri partiti messi insieme. Il BJP infatti ha ottenuto il 67 per cento dei fondi totali donati dal 2018 (il secondo partito più finanziato, il Congresso Nazionale Indiano, ha ottenuto solo l’11 per cento). Una delle ragioni è che i bond elettorali consentivano al donatore di rimanere anonimo, ma essendo l’unica banca autorizzata ad emetterli una banca di proprietà pubblica, molti sospettavano che il governo fosse in grado di risalire all’identità dei donatori. L’indice “elezioni pulite” di V-Dem è calato negli ultimi anni, particolarmente dal momento dell’introduzione dei bond elettorali nel 2017 (Khosla & Vaishnav, 2021)
A dispetto della performance economica soddisfacente, ma segnata da un probabile aggravarsi delle diseguaglianze – e l’incapacità di risolvere il nodo strutturale fondamentale dell’economia indiana, quello della mancanza di posti di lavoro – Modi rimane un leader molto popolare. Ciò è dovuto solo in parte all’erosione della democrazia indiana, che ha ristretto gli spazi di critica e plasmato i principali media a favore del governo.
Modi e il BJP hanno infatti tre vantaggi fondamentali, rispetto ai partiti d’opposizione. Primo, il BJP vanta un’organizzazione partitica capillare, all’avanguardia e gestita in modo estremamente efficace. Secondo, Narendra Modi è genuinamente popolare. Nel 2019, circa un terzo degli elettori del BJP dichiararono che non avrebbero votato per il partito se Modi non fosse stato candidato. Terzo, sebbene le elezioni rimangano libere, l’intero processo elettorale è viziato da notevoli storture che favoriscono il governo.
Nonostante questi vantaggi – che hanno portato praticamente tutti gli analisti a prevedere una facile vittoria per il BJP alle elezioni del 2024 – il partito di Modi ha subito un vero e proprio tracollo, perdendo 63 seggi rispetto al 2019 e con essi la maggioranza assoluta in Parlamento. Ora Modi dovrà trovare un nuovo modo di esercitare la propria leadership come capo di una coalizione – una situazione nella quale non si è mai trovato nella sua lunga carriera politica. Uno scenario plausibile è che gli eccessi che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni si scontreranno con l’esigenza di tenere insieme una coalizione variegata e che non sposa l’ideologia ultranazionalista di Modi. La democrazia indiana potrebbe rigenerarsi.
[1] Tutti i dati sono presi dal database World Development Indicators, disponibile online all’indirizzo: https://databank.worldbank.org/source/world-development-indicators.
[2] L’equivalente di un decreto legge italiano.
[3] La ECI è un organo indipendente che vigila sul regolare svolgimento del processo elettorale.
[4] L’equivalente della Guardia di Finanza italiana.
[5] Il testo è disponibile qui:
https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=27
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The Economist (2024). “How strong is India’s economy under Narendra Modi?”, 15 gennaio.
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