È il 3 marzo 2021. Dal colpo di stato con il quale i militari il 1° febbraio hanno preso con la forza il potere in Myanmar (l’ex Birmania) è passato esattamente un mese. Quel giorno, nelle strade della capitale Yangon, incendiate dalle proteste dei manifestanti pro-democrazia represse brutalmente dal nuovo regime, avviene un sistematico pestaggio di oppositori. I militari birmani saliti al potere, quel giorno sparano persino contro un’ambulanza trascinando fuori le persone che ci sono dentro. Le immagini di quella barbarie fanno rapidamente il giro dei social media. Compresa una, pubblicata poi dal magazine locale Irrawaddy, che al termine di quella brutale repressione immortala un proiettile sparato contro quel veicolo di soccorso. La foto mostra ciò che resta di una cartuccia da caccia. Questo dettaglio di cronaca apparentemente insignificante assumerà invece un valore rilevante in questa vicenda, travalicando i confini nazionali. In quell’immagine si vede un bossolo calibro 12 con ancora ben visibile sul fondello in pregiato ottone il marchio del produttore: Cheddite.
Quel nome ci riporta alla fine dell’ottocento, “quando nell’alta Savoia, al confine tra la Svizzera e la Francia, in un paesino dal nome Chedde, due amici, in maniera assolutamente pioneristica per l’epoca, prepararono per la prima volta un esplosivo per cava e miniera a cui diedero il nome di ‘cheddite’, in omaggio alla località natìa”, si legge sul sito internet dell’azienda. Una ditta italiana, quindi. Che fin dal lontano 1901, “anno che vede la nascita dell’impresa Cheddite Italia” nella città operaia e portuale di Livorno, è sinonimo di esplosivo e di “prodotto finito di alta qualità”. Ma come ci è finito quel pregiato bossolo d’ottone in Myanmar, nazione del sud-est asiatico, distante oltre 7.000 chilometri dall’Italia, e sottoposta fin dal luglio 1991 a diverse forme di divieto ed embargo su armi e munizioni da parte dell’Unione Europea?
L’Italia ha da tempo rapporti con l’ex Birmania. Oltre a un hub del tessile, il Myanmar è ritenuto un mercato interessante per le aziende nostrane del settore delle costruzioni e della telefonia. Tanto che l’Italia pensava di farne la sede per la cooperazione bilaterale dell’intera area, quindi anche per i limitrofi Vietnam, Laos e Cambogia. Sul posto, anche diverse ONG italiane: ICEI, Asia, Terres des Hommes Italia, Cesvi, Oikos. Tutte preoccupate, visti gli eventi, per il prosieguo del loro lavoro (spesso in campo agricolo-ambientale) in appoggio alla popolazione locale, e per la società civile ora brutalmente repressa. A Roma, il bossolo italiano trovato nell’ambulanza dopo le proteste, a quanto pare, rimescola ancor più le carte in tavola. Cinque giorni dopo il ritrovamento, ovvero l’8 marzo 2021, il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, convoca alla Farnesina l’ambasciatrice birmana in Italia. Il nuovo ministro della giunta militare birmana appena salita al potere cerca di salvare il salvabile, inviando una lettera a tutte le associazioni italiane per invitarle a restare nel paese. Vuole l’elenco dei progetti e i nomi degli impiegati. Da Roma le associazioni prendono tempo, anche su consiglio della Farnesina. Poi, nella rassegna stampa, sul tavolo del Ministero degli Esteri arriva la fotografia della cartuccia italiana sparata sull’ambulanza, pubblicata online dall’Irrawaddy e subito ripresa in Italia dal quotidiano il manifesto.
L’imbarazzo deve essere stato grande, ancor più quando pochi giorni dopo, in parlamento, è stato chiesto conto al governo di come quelle (e altre dotazioni) fossero finite nelle mani dei golpisti. L’azienda livornese, interpellata da il manifesto, dal canto suo, smentiva fermamente di aver venduto armi ai birmani. Ed effettivamente, anche andando indietro di trent’anni, nei rapporti sull’esportazione di armi del governo italiano (richiesti annualmente dall’ONU in base ai trattati in vigore), non è presente alcuna vendita diretta di armi o munizioni da parte di una società italiana in Myanmar. Nasce così rapidamente un gruppo di lavoro formato da Italia-Birmania, Rete Italiana Pace e Disarmo, Amnesty International Italia, OPAL e Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo. Inizia ad analizzare le prove fotografiche e documentali disponibili. Perché, nel frattempo, le foto dei bossoli a marchio Cheddite si moltiplicano, continuando ad arrivare da diversi teatri di scontro tra manifestanti e militari birmani (come rivela la ricostruzione grafica seguente).
Salta così fuori il nome di un’azienda turca, la Yavasçalar (YAF), ditta che da circa vent’anni produce proiettili e munizioni per armi leggere sussidiaria del colosso del settore difesa ZSR Patlayici Sanayi A.S.. Il suo nome appare anche in un dossier di Amnesty International nel quale veniva rivelato che questa società di Karesi (provincia anatolica di Balikesir tra Istanbul e Smirne) “utilizza cartucce dell’azienda italo-francese Cheddite”. Mentre altre foto e video analizzati sempre dal Crisis Evidence Lab di Amnesty International “mostrano che la polizia (birmana, ndr) ha accesso ad armi tradizionali tra cui pistole al peperoncino e fucili caricati con proiettili di gomma prodotti dall’azienda anatolica”. Nasce così la cosiddetta “pista turca”. Dai dati sul commercio internazionale dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) italiano risulta che nel 2014, da Livorno (sede della Cheddite), sono state esportate verso la Turchia armi e munizioni per un valore di 363.961 euro. Mentre stando al database Comtrade dell’ONU, sempre nel 2014, la Turchia ha esportato in Myanmar 7.177 fucili sportivi e/o da caccia per un valore di quasi 1,5 milioni di dollari e 46mila munizioni per 223mila dollari. “Numeri compatibili – secondo quanto riferito a il manifesto da Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) – con le esportazioni di munizioni da Livorno alla Turchia”. Basta del resto cercare in rete, per trovare venditori online del paese governato col pugno di ferro dal sultano Recep Tayyip Erdogan che propongono liberamente sul web ai propri clienti stock di cartucce Cheddite-Yavasçalar. Comprese quelle calibro 12 poi trovate in Myanmar. Sempre il quotidiano il manifesto, grazie alla visura della Cheddite depositata alla Camera di Commercio, scopre poi che i rapporti tra le due aziende, negli anni precedenti sono andati ben oltre la semplice fornitura di materiale. Fino a qualche anno fa, la franco-italiana Cheddite di Livorno deteneva infatti delle partecipazioni dirette nella turca Yavasçalar, che gli avrebbero così aperto le porte a degli impianti produttivi non soggetti all’embargo dell’Unione Europea.
Ma c’è di più. Sempre nel 2014, il Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID) di Ginevra, centro di ricerca indipendente (finanziato dai governi di Svizzera, Australia, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, oltre che dall’Unione Europea), diffonde un interessante rapporto che lega nuovamente queste due società, proiettandone il business addirittura nel teatro di guerra siriano. Al suo interno vengono catalogate 70 munizioni di piccolo calibro trovate in Siria: fotografie di bossoli, imballaggi e relativa documentazione di supporto. Oltre a quelle siriane, cinesi, iraniane, kirghise e dell’Europa dell’Est (russe, ceche, rumene, slovacche, ucraine) ci sono anche queste calibro 12 prodotte dalla Yavasçalar per conto della livornese Cheddite. L’IHEID riteneva allora “probabile che gran parte delle munizioni documentate, anche se certamente non tutte, siano originariamente state fornite alle forze governative siriane”. Quindi “materiale governativo”, probabilmente rimediato sul mercato internazionale delle armi dal regime siriano allora in grande difficoltà, prima della discesa in campo di Russia e Iran al fianco del dittatore Bashar al-Assad. Alleanza che poi, come sappiamo, ha cambiato le sorti del conflitto, spegnendo la rivoluzione scaturita anche in Siria dalle cosiddette Primavere Arabe.
Arriviamo così al 9 luglio 2021, quando in seguito a un’interrogazione parlamentare a risposta scritta scaturita dall’imbarazzante vicenda, presentata dall’onorevole del Movimento 5 Stelle Erasmo Palazzotto, si scopre che la Questura di Livorno ha fatto visita alla Cheddite. La risposta del governo è affidata al sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (anche lui 5 Stelle), il quale precisa innanzitutto che non sono state rilevate irregolarità. I documenti acquisiti in azienda confermano però che “il Ministero dell’Interno ha verificato che risultano due istanze di esportazione della ditta Cheddite Italy srl, per forniture verso la ditta turca in questione, la prima in data 26 febbraio 2020 e la seconda del gennaio 2021”, con tanto di appositi nulla osta ministeriali. Ciò che l’esecutivo non è stato in grado di accertare è se quei prodotti dello stabilimento livornese, “esportati regolarmente, sarebbero poi stati riesportati dai Paesi destinatari verso il Myanmar”. Questa domanda andrebbe ovviamente rivolta ai turchi. La risposta del governo italiano rivela inoltre l’esistenza di pregressi contatti avuti direttamente con i birmani: “Il Viminale ha comunicato che da parte della Cheddite Italy srl, risulta una richiesta di esportazione verso il Myanmar, datata 18 settembre 2018, relativa a una fornitura di 600.000 cartucce per armi ad anima liscia calibro 12 per uso venatorio/sportivo, da destinare a Myanmar Shooting Sports Federation International Shooting Range”. Domanda poi annullata dallo stesso stabilimento livornese “per motivi commerciali, con una nota del 17 ottobre 2018”. Anche se, ci ha tenuto ugualmente a precisare l’esecutivo, “tale istanza non avrebbe potuto trovare accoglimento alla luce di valutazioni negative già espresse in precedenza”. Infine, ha chiarito ancora il sottosegretario agli Esteri Di Stefano, “non risultano essere mai state rilasciate autorizzazioni all’esportazione di armi per uso civile e/o di munizioni verso il Myanmar in favore di alcun utente”.
Insomma, il percorso seguito dalle munizioni della Cheddite per giungere nell’ex Birmania pare avere fatto ricorso alle solite triangolazioni con altri paesi che non devono sottostare all’embargo dell’Unione Europea, come per l’appunto la Turchia. Il governo italiano ha inoltre accertato l’esistenza di “due richieste di esportazione della Cheddite Italy srl verso la Thailandia […] l’11 maggio 2018” per ben “un milione” di cartucce dello stesso identico tipo e “il 16 aprile 2020” per altre “500.000”. Per questa esportazione, stranamente, non è indicato il destinatario. Il 6 agosto scorso, il Federal Bureau of Investigation (l’FBI statunitense) arresta nello stato di New York due cittadini birmani: avrebbero ordito un complotto per ferire gravemente, o addirittura assassinare, l’ambasciatore birmano all’ONU, Kyaw Moe Tun, che non si è arreso al regime militare in Myanmar. In quell’indagine figura anche un trafficante d’armi, a quanto pare birmano (i federali non ne hanno per ora rivelato l’identità), che farebbe affari proprio con i golpisti che hanno preso il potere in Myanmar a febbraio.
Le cartucce in questione, vale forse la pena di ricordare, rientrano nelle munizioni “comuni”, non di tipo militare, il cui commercio è più facile, meno trasparente e con maggiori possibilità di aggirare la legge con la scusa della caccia al cinghiale per poi impiegarle contro gli esseri umani.
Per saperne di più
De Pascale, A. e Giordana, E. (2021) “L’Iihl cade dalle nuvole: «Mai fatto corsi ai militari birmani»”, ilmanifesto. Disponibile su: https://ilmanifesto.it/liihl-cade-dalle-nuvole-mai-fatto-corsi-ai-militari-birmani/
De Pascale, A. e Giordana, E. (2021) “La finanza (anche italica) e il golpe in Myanmar”, Lettera22. Disponibile su: https://www.lettera22.it/la-finanza-anche-italica-e-il-golpe-in-myanmar/
EIA (2021) The Italian job. How Myanmar timber is trafficked through Italy to the rest of Europe despite EU laws. Disponibile su: https://eia-international.org/wp-content/uploads/EIA-The-Italian-Job-2021-FINAL.pdf
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