Myanmar on the move: migranti birmani alla ricerca di migliori prospettive oltre confine

Nel corso degli ultimi decenni, caratterizzati da cattiva gestione politica e da stagnazione economica, circa 5 milioni di Birmani si sono lasciati alle spalle la propria terra, il Myanmar. La meta principale di questi battaglioni di giovani lavoratori è al di là della frontiera con la Thailandia. Il settore industriale, quello agricolo e quello edile della Thailandia sono stati messi in piedi e sostenuti dalla manodopera a basso costo dei migranti birmani. Ciò ha permesso all’economia thailandese di sfuggire alla cosiddetta “trappola del medio reddito” – ossia un rallentamento dei tassi di crescita e la stagnazione dei livelli di reddito medio – senza però dover adottare le riforme strutturali prescritte dagli analisti come essenziali per farlo. L’economia thailandese è invece cresciuta “pigramente”, supportata dal lavoro di una classe povera birmana disposta a svolgere le mansioni più sporche, pericolose e difficili che i Thailandesi hanno perlopiù abbandonato. In Thailandia, le classi medie e alte si sono abituate ai comfort offerti dalle tate, dalle domestiche, dagli autisti e dai giardinieri birmani. Anche i Thailandesi più poveri sono riluttanti ad accettare lavori mal retribuiti di norma svolti dai Birmani.

Lavoratori impegnati nella costruzione di una strada fra Myanmar e Thailandia. Fonte: Nicholas Farrelly

I lavoratori birmani sono stati a lungo – e sono tutt’ora – vittime del comportamento predatorio di padroni sfruttatori e funzionari avidi. Il loro status giuridico è spesso dubbio e ogni nuovo governo thailandese introduce nuove disposizioni per contrastare l’immigrazione illegale. Lo scorso giugno, ad esempio, il governo del generale Prayuth Chan-ocha aveva proposto una riforma del lavoro che avrebbe causato l’arresto di un numero enorme di lavoratori migranti e gravi sanzioni nei loro confronti. Decine di migliaia di lavoratori provenienti dal Myanmar si sono affrettati al confine per sfuggire alla possibile ondata di azioni penali.

Questa non è certamente la prima volta che lavoratori birmani devono sopportare le condizioni gravose che incontrano nel tentativo di avere una vita migliore altrove nel Sud-est asiatico. Gli ultimi anni hanno visto i Rohingya – una minoranza musulmana apolide presente nello Stato Rakhine (Myanmar sud-occidentale) – subire le più oltraggiose violazioni dei diritti umani. Molti di loro si sono spinti in mare con barche pericolanti, alla volta delle coste meridionali della Thailandia o settentrionali della Malesia. Questo viaggio pericoloso è costato la vita a un numero indefinito di persone, una situazione ulteriormente aggravata dalle pratiche di respingimento (o di pushback) attuate dalla Royal Thai Navy, la marina thailandese. Oggi più di 100.000 Rohingya vivono in Malesia e lottano per la sopravvivenza economica e politica. Nel 2015, voci circolanti sull’esistenza di “campi di sterminio” nel sud della Thailandia hanno incendiato una crisi regionale: i racconti delle indicibili sofferenze patite dai Rohingya, tenuti in ostaggio da bande criminali, hanno iniziato a trapelare e, per alcuni di loro – incapaci di raccogliere dalle loro famiglie i soldi necessari al riscatto – queste storie terminarono con morti particolarmente dolorose in aree remote della giungla. Il governo thailandese ha avviato un’indagine che ha portato qualche settimana fa alla condanna di diversi funzionari – inclusi ufficiali militari, membri della polizia e loro co-cospiratori – a lunghe pene detentive. Questo rappresenta un raro esempio di impegno per porre rimedio a questo traffico illegale e tragico.

Segnaletica del governo birmano nella città di confine di Myawaddy, uno dei maggiori centri di traffico di droga. Fonte: Nicholas Farrelly

Nonostante la maggior parte dei migranti riesca a evitare queste situazioni drammatiche, non c’è nessun dubbio che essi debbano valutare e gestire i rischi associati all’attraversamento delle frontiere, il problema della ricerca di un impiego e far fronte a condizioni locali spesso avverse. Anche quando le circostanze appaiono relativamente favorevoli, come a Singapore, la vita di molti lavoratori birmani è tutt’altro che facile. Individui altamente qualificati – come infermieri, tecnici informatici a ingegneri – si trovano spesso a occupare i livelli più bassi della scala gerarchica del mondo del lavoro.

In passato, ciò offriva comunque benefici maggiori rispetto alle condizioni di vita e di lavoro in Myanmar. Sotto il regime militare birmano, infatti, esistevano pochissimi lavori ben retribuiti per chi aveva acquisito abilità spendibili sul mercato. La situazione era particolarmente difficile per le minoranze etniche che avevano tutte le ragioni per voler evadere dal sistema birmano. Storicamente, la maggioranza dei migranti del Myanmar arriva dalle regioni di frontiera dove lunghe operazioni di controinsurrezione hanno strangolato l’economia. Molti di questi migranti finirono naturalmente in Thailandia, ma altrettanti si trasferirono in Bangladesh, Malesia, India e Cina. In particolare, le migliori prospettive economiche resero la Cina una destinazione allettante per chi possedeva abilità tali da poter contribuire al boom economico dello stato comunista. In molte aree di confine della provincia cinese dello Yunnan, le decine di migliaia di migranti birmani si sono rivelati un enorme contributo alla crescita economica.

La situazione di questa forza-lavoro migrante dispersa in Asia sta però cambiando rapidamente. Da quando la dittatura militare ha iniziato a rinunciare a parte del suo controllo nel 2011, la realtà birmana è migliorata sotto diversi punti di vista, complice anche la maggiore accessibilità a nuove tecnologie di comunicazione che ha in parte liberato la popolazione dalla forte censura dei media statali. Nelle aree urbane si sono rese disponibili migliori posizioni lavorative, specialmente nel settore terziario e nelle industrie manifatturiere ed edili. I lavoratori qualificati hanno oggi maggiore scelta in termini di occupazione e stile di vita e hanno maggiori opportunità di studio. I lavoratori birmani condannati finora a occupare i livelli più bassi della scala gerarchica regionale stanno ora considerando se ritornare in Myanmar possa rappresentare un’opzione migliore rispetto al dover continuamente fronteggiare le difficoltà causate dalla loro condizione di migranti. Il loro ritorno in patria ha però importanti implicazioni politiche, economiche e culturali che richiedono particolare attenzione.

In primo luogo, molti migranti birmani tornerebbero in aree del paese dove le forze armate (o loro associati) hanno rilevato terre e beni. Alcuni dovrebbero lottare per riconquistare la loro posizione nell’economia locale a meno che non riescano a ottenere i diritti sulle loro vecchie proprietà. In secondo luogo, molti lavoratori migranti hanno visto cos’è possibile nel resto del Sud-est asiatico e sono quindi entusiasti all’idea di portare il cambiamento a casa loro. All’estero, hanno visto i loro orizzonti espandersi e ciò influenzerà il modo in cui si interfacceranno con la situazione locale in caso di rimpatrio. Alcuni considereranno restrizioni ancora vigenti in Myanmar intollerabili, ma dovrà passare parecchio tempo affinché si stabilisca un nuovo equilibrio. Inoltre, i migranti economici di ritorno in Myanmar avranno opinioni diverse su come la società dovrebbe essere strutturata, specialmente nelle regioni abitate dalle minoranze etniche. Dopo aver vissuto, talvolta per anni, in condizioni difficili in tutta la regione, il ritorno di giovani lavoratori migranti rappresenterà un’iniezione di ambizione nella scena economica e politica birmana: ci sono buone probabilità che essi non siano disposti a accettare l’attuale distribuzione di potere e ricchezza. Altri ancora vorranno rinvigorire le lotte per l’indipendenza dei gruppi etnici.

È importante ricordare però anche se alcuni Birmani ritorneranno al loro paese, la popolazione del Myanmar continuerà a migrare perché le motivazioni che stanno alla base di questi incredibili flussi migratori non sono scomparse del tutto e i conflitti in corso nel paese – dal quelli nello Stato Rakhine, a ovest, a quelli nello Stato Kachin, a nord – stanno generando nuove ondate di migranti. Il Myanmar rimane tutt’ora tristemente incapace di offrire una vita prospera e pacifica a parte della sua popolazione. Per molti, migrare rimane l’unica opzione per conquistare prospettive di vita migliori che si trovano ancora oltre confine.

Per saperne di più:

Drennan, J. (2015) “Southeast Asia’s Migrant Crisis Explained, in Maps”, Foreign Policy, 18 May. Disponibile su: http://www.foreignpolicy.com/2015/05/18/southeast-asias-migrant-crisis-explained-in-maps-rohingya-boats/

Farrelly, N. (2012) “Exploitation and escape: Journeys across the Burma-Thailand frontier”, in: Forde, M., Lyons, L. e van Schendel, W. (a cura di) Labour Migration and Human Trafficking in Southeast Asia: Critical Perspectives, Routledge, 2012, pp. 130-148.

Jolliffe, P. (2015) “Night-Time and Refugees: Evidence from the Thai-Myanmar Border”, Journal of Refugee Studies 29(1), pp. 1-18.

Ma, A. (2017) Labor Migration from Myanmar: Remittances, Reforms, and Challenges, Migration Policy Institute. Disponibile su: http://www.migrationpolicy.org/article/labor-migration-myanmar-remittances-reforms-and-challenges

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