La “Nuova India” nel sistema internazionale

Un ordine internazionale in trasformazione, come quello attuale, incoraggia i paesi emergenti a perseguire i propri obiettivi immediati di politica estera insieme a una più ampia visione dei principi, norme e istituzioni che costituiscono il miglior contesto e vettore della propria ascesa. Le ragioni che inducono a impegnarsi in un ambizioso e oneroso esercizio di order-shaping, volto a modellare le diverse componenti dell’ordine internazionale, sono varie. La prima è trasmettere, attraverso la portata della proposta, la propria aspirazione ad assumere un ruolo significativo nel sistema internazionale e al contempo la fiducia che si nutre nelle proprie capacità di dare seguito con successo a un disegno di grande portata. Questa motivazione ha una rilevante componente interna: il messaggio è rivolto tanto alla propria cittadinanza, affinché apprezzi l’azione internazionale del governo, quanto all’esterno. Avanzare, attraverso una visione dell’ordine, un’agenda utile a consolidare i rapporti con la propria platea di riferimento, così da ottenere sostegno per il progetto e legittimazione del proprio ruolo, è infatti la seconda ragione per dedicare risorse umane e materiali a un obiettivo che eventualmente porterà benefici nel lungo periodo. La terza ragione per investire nella definizione delle regole del gioco è rappresentare il proprio rapporto con l’ordine internazionale che ci si propone di cambiare e con chi lo sostiene, di fatto esplicitando l’ampiezza del cambiamento che si intende generare e di conseguenza le leve che verranno azionate.

L’ordine internazionale che oggi sta cambiando è stato definito “egemonico liberale” (Ikenberry, 2011): liberale per i principi, le norme e le istituzioni che lo caratterizzano – apertura economica, democrazia, multilateralismo, stato di diritto e rispetto dei diritti umani – ed egemonico per il ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nella sua creazione e gestione, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il discorso dei paesi emergenti muove da questi tratti, che dopo l’89 si sono accentuati (Ikenberry, 2009), per contestarlo e articolare proposte. Il paese che sinora lo ha fatto in modo più compiuto è la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Pechino ha anche tradotto la sua idea – non ancora un progetto compiuto – in politiche, al punto che la Belt and Road Initiative è stata variamente presentata come l’incarnazione di nuovo “ordine internazionale con la Cina al centro” (Andornino, 2006). La componente critica nei confronti dell’ordine consolidato, in questo caso, è spiccata e la platea di riferimento è quel nutrito gruppo di paesi che viene (un po’ artificialmente) aggregato sotto l’etichetta di Sud Globale (Ero, 2024). Quest’ultimo costituisce un insieme assai composito e tuttavia nel complesso ricettivo rispetto a un discorso che stigmatizzi inadempienze e ipocrisie dell’Occidente e, al tempo stesso, riporti al centro dell’agenda internazionale il nodo dello sviluppo, oggi più che mai legato alla questione del contrasto al cambiamento climatico.

L’India, che percepisce l’ascesa della Cina come fonte di molteplici sfide strategiche, ha raccolto anche quella “macro”, relativa alla revisione delle diverse componenti dell’ordine. Quest’ultima è cruciale per Delhi in quanto le consente innanzitutto di posizionarsi tanto rispetto all’Occidente quanto al Sud Globale, platea di riferimento che condivide – da concorrenti – con Pechino. Contribuire a plasmare un sistema di regole e istituzioni internazionali rinnova to rappresenta, inoltre, un’opportunità unica per un paese determinato a raggiungere lo status di leading power. Il prossimo decennio, secondo il Ministro degli esteri Jaishankar (2024, 60), sarà infatti “trasformativo”. Nel suo sistema di relazioni, la questione dell’ordine internazionale investe in modo particolare il rapporto con l’Unione Europea. Dai primi anni Duemila, quest’ultima si è posta, infatti, come obiettivo fondamentale preservare un ordine basato su regole funzionale alla pratica del multilateralismo efficace, e un preciso riferimento all’impegno comune di UE e India nel sostenere questo modello organizzativo compare già nel Joint Action Plan del 2005 per l’implementazione della “partnership strategica” avviata nel 2004. L’interesse condiviso con i paesi asiatici per un ordine basato su regole è stato poi ribadito dall’UE nella recente Strategia Europea per la Cooperazione nell’Indo-pacifico (2021) e indicato come motivo per consolidare le reciproche relazioni. La linea adottata dalla leadership indiana nei confronti dell’ordine liberale e del suo cambiamento è dunque importante per l’UE e i suoi membri che, a loro volta, devono definire la propria linea nei confronti della “Nuova India” di Narendra Modi, un paese sempre più sicuro di sé e proattivo[1].

La storia della politica estera indiana dall’indipendenza (si veda il contributo di Bobbio) restituisce un paese costantemente attento a tutelare la propria autonomia e diffidente nei confronti del mondo esterno. Pur avendo abbracciato, dai primi anni Novanta del secolo scorso, una linea di maggiore integrazione nell’economia globale per favorire la crescita, l’autonomia strategica resta il principio-guida in politica estera e ciò per effetto della convergenza di due gruppi influenti nel policy-making: i realisti (in ascesa) e i nazionalisti (Ollapally, 2018, 63)[2].

L’India ha dunque convissuto con l’ordine liberale, manifestando sovente il proprio disagio, tanto da guadagnarsi la reputazione di paese “difficile”. Negli ultimi quindici anni, un orientamento più pragmatico è stato dettato da interessi economici allineati con l’ordine liberale (Ollapally, 2018, 65), ma anche da nuove opportunità di tradurre la propria insoddisfazione in azioni finalizzate al cambiamento. L’India ha quindi implementato una duplice strategia. Da una parte, soprattutto nella sfera economica, ha praticato il multilateralismo “selettivamente”[3], per ottenere vantaggi senza compromettere la propria capacità di decidere in autonomia sul piano interno[4]. Dall’altra, Delhi ha dato gambe alla propria visione critica, sostenendo l’istituzione di organizzazioni parallele a quelle dell’ordine liberale in collaborazione con altri paesi emergenti (Ollapally, 2018, 67). A motivare la creazione della New Development Bank, la cosiddetta “banca dei BRICS” (primo presidente, dal 2015 al 2020, l’indiano Kamath), o la sua partecipazione all’AIIB, accanto alla robusta domanda di più cospicui e accessibili finanziamenti allo sviluppo (generata significativamente dall’India in prima persona)[5], sono state preferenze politiche condivise con i paesi emergenti e larga parte del Sud Globale: essenzialmente un sistema internazionale multipolare, dunque più “piatto” e rappresentativo delle istanze dei paesi non occidentali, nel quale il principio di autonomia sovrana sia tutelato con maggior rigore rispetto a quanto accade nell’ordine liberale (ordine che integra, ma al tempo stesso progettualmente comprime la logica westphaliana, sino a concepire una “sovranità condivisa” per favorire la presa di decisioni collettive, Ikenberry, 2011, 2).

Il rapporto che l’India oggi intrattiene con un ordine condizionato dalla “postura ricalibrata” degli Stati Uniti (Jaishankar, 2020, 3) è dunque complesso. L’evoluzione politica interna (si veda il contributo di Maiorano) ha reso la “Nuova India” di Modi sempre più insofferente rispetto alla dimensione propriamente liberale dell’ordine, in particolare l’attenzione per i principi democratici e per la salute delle democrazie. La “crescente dissonanza” tra la propria identità, nella quale spicca il fattore culturale[6], e questo modello di governance (Ollapally, 2018, 63-64), giudicato fragile e disfunzionale (Jaishankar, 2020, 38-43), ha quindi spinto il paese ad avanzare una propria concezione di “ordine basato su regole” (Mishra, 2023, 1402), che punta su questa componente, mettendo in secondo piano valori e principi. In altre parole, un ordine che potrebbe esser fatto rientrare nel modello liberale, ma limitatamente al piano procedurale.

Questa mossa ha consentito a Delhi di presentarsi, al tempo stesso, come paese riformista, piuttosto che revisionista[7], e come “potenza sud-occidentale”[8]. L’India si distingue, infatti, da altri paesi emergenti per una “generale convergenza con l’Occidente” sul nodo del cambiamento dell’ordine, che deve svilupparsi en tro la cornice delle regole, pur mantenendo il tradizionale rapporto di solidarietà con il Sud Globale (Mishra, 2023, 1403). Un simile posizionamento, che “parla” a entrambi i gruppi, porta – in linea di principio – molteplici vantaggi. Consente, innanzitutto, all’India di accreditarsi come un paese capace di incidere sull’ordine con la sua iniziativa – un bene anche per l’orgoglio nazionale (Mukherjee 2024) – e in secondo luogo di agire, almeno potenzialmente, con il sostegno sia dell’Occidente sia del Sud Globale, dunque forte di un largo consenso. Questi due raggruppamenti, in sé plurali e spesso incapaci di dialogare tra loro efficacemente, potrebbero, in effetti, riconoscere un ruolo importante a chi si offrisse come un “ponte” tra loro. Un simile riconoscimento gratificherebbe l’India con una nuova centralità nel sistema internazionale, consentendole di realizzare uno degli scopi principali di qualsiasi paese investa in un esercizio impegnativo quale è la definizione delle regole del gioco.

Se Delhi possa effettivamente ottenere i vantaggi menzionati dipende dal successo di questa strategia, che ha comunque al centro una specifica proposta: creare un ordine internazionale basato su regole, distinto da quello liberale. La formula “ordine basato su regole” non è nuova ed è utilizzata – si è segnalato – anche da chi aderisce alla visione propriamente liberale dell’ordine, come l’Europa. La questione va dunque chiarita per mettere in luce dove stia la differenza tra i diversi impieghi, per evitare che l’utilizzo della medesima etichetta finisca per generare ambiguità che non favorirebbero un dialogo informato e trasparente tra le parti.

Ciò che la denominazione “ordine basato su regole” suggerisce, in generale, è un ridimensionamento – subito o voluto – della componente valoriale (liberale) dell’ordine attuale, che mantiene la sua valenza procedurale. Questo fenomeno riflette l’affermarsi di un sistema internazionale più plurale, anche per effetto di una contrazione del ruolo dei paesi occidentali, soprattutto dopo il 2008. Nella visione occidentale, in futuro due ordini sono dunque destinati convivere, assolvendo funzioni complementari. Un ordine liberale consentirà a un numero limitato di paesi che ne condividono i valori fondanti di agire come un gruppo coeso, mentre un ordine basato su regole potrà consentire a questi e altri di diverso orientamento, ma comunque consapevoli che la produzione di beni pubblici globali richiede cooperazione, di agire collettivamente entro un ambito regolato, sebbene più neutro sotto il profilo dei principi e meno densamente istituzionalizzato (Nye, 2020). Nella visione indiana (Mishra, 2023, 1408), tuttavia, l’ordine basato su regole è piuttosto “un erede (successor) dell’ordine liberale, [sviluppo] che sottende una situazione internazionale nella quale l’Occidente rimane prominente, ma non dominante”[9]. L’ordine basato su regole che Delhi promuove, “espresso in misura significativa, ma non esclusiva, dalle democrazie liberali, ha [infatti] lo scopo di portare al suo interno democrazie non-liberali o limitate e società non occidentali”. La strategia adottata dall’India per realizzare questo disegno – sempre secondo Mishra – consiste innanzitutto “nel riappropriarsi dell’ordine post-45, caratterizzandolo come esito di uno sforzo globale dei paesi democratici e di tutte quelle forze che privilegiano le regole, e in secondo luogo nel ridurre l’interventismo volto a promuovere il liberalismo e i diritti umani, nonché nel rimarcare che le economie nazionali devono poter regolare il capitalismo” (ivi).

Il progetto di un ordine basato su regole come futuro ordine globale nasce dunque da una critica dell’ordine liberale, sebbene, in quanto prodotto di un percorso di riforma, l’esito atteso sia ragionevolmente in continuità con quest’ultimo. Fra le componenti di un ordine basato su regole compare, in effetti, anche la democrazia, ma l’ordine “dovrebbe restare ideologicamente neutrale” rispetto alla religione o a valori politici secondari come il liberalismo (Mishra, 2023, 2015)[10]. In fondo, l’ordine che Delhi promuove deve consentire al paese di conseguire uno status elevato nel sistema, dunque dovrebbe valorizzare i suoi punti di forza che, è stato notato (ivi), non a caso confluiscono in un’”agenda apolitica”, nella quale spiccano connettività, contrasto al cambiamento climatico, assistenza umanitaria e protezione civile, sicurezza sanitaria. Secondo la logica abbracciata da Delhi (ivi), un ordine basato su regole così concepito non fa altro che riflettere l’interesse degli stati a vivere in una società internazionale ben funzionante, nella quale rispettare le norme consente a ciascuno di ottenere rispetto e fiducia. Se questa concezione procedurale dell’ordine sia in grado di generare gli sviluppi importanti che Delhi suggerisce è questione che meriterebbe una discussione approfondita, forse la più significativa che paesi liberal-democratici ed emergenti possano intraprendere oggi se si guarda alla qualità della cooperazione che l’agenda internazionale richiede[11].

L’aspetto che interessa qui è se la concezione dell’ordine che promuove possa contribuire a consolidare la posizione dell’India durante la sua ascesa a leading power, rafforzando le sue relazioni sia con l’Occidente sia con il Sud Globale, rispetto al quale – vale la pena di ricordare – è in competizione con la RPC, in particolare in Asia. Non c’è dubbio che Delhi sostenga una concezione dell’ordine condivisa da molti paesi della regione. Un’analisi recentemente condotta (Bajpai e Laksmana, 2023) conferma che, pur divisi su aspetti specifici, i paesi asiatici nel loro complesso prediligono un ordine internazionale basato su tre norme fondamentali: indipendenza, eguaglianza e governo delle regole (rule of law). La percezione diffusa è che queste ultime, pur caratterizzando l’ordine liberale, nella pratica vengano regolarmente violate anche dai suoi sostenitori. A questo proposito non viene menzionata soltanto la critica della RPC, ma anche di altri paesi quali la Thailandia e la Malaysia. Inoltre, benché questi riconoscano le principali norme dell’ordine liberale (in particolare quelle fissate dalla Carta istitutiva delle Nazioni Unite), non fanno propria l’idea che i processi in corso debbano avere come sbocco inevitabile l’affermarsi della democrazia liberale. Se valori democratici hanno da essere, che siano “locali” (homegrown). Queste sensibilità naturalmente si ritrovano nella concezione di un ordine internazionale basato su regole, privo di contenuti valoriali e non intrusivo. La platea dei paesi asiatici potrebbe dunque premiare l’India, che se ne fa portatrice, con una crescente fiducia e riconoscimento. Il Sud Globale non si ferma all’Asia, tuttavia, e certamente l’India ha adottato una più ampia strategia di inclusione e valorizzazione dei rispettivi contributi alla politica mondiale che guarda ad altri continenti. L’ammissione dell’Unione Africana come membro del G20, promossa dal primo ministro Modi e realizzata – simbolicamente – durante il summit di Delhi del settembre 2023, è stata un gesto di notevole valore politico che evoca la funzione di ponte dell’India “potenza sud-occidentale”.

In effetti, vista la crescente competizione tra RPC e Stati Uniti, l’India appare il paese in condizione di fare più efficacemente da ponte tra i paesi del Sud Globale e l’Occidente: una funzione ragionevolmente apprezzata dall’Occidente, che potrebbe così contare su un interlocutore/mediatore meno soggetto alle influenze del momento politico rispetto a Pechino, ma anche da quei paesi del Sud Globale che trovano limitante avere la RPC come unico punto di riferimento. I migliori rapporti che intercorrono tra Delhi e i paesi occidentali autorizzano, tra l’altro, a nutrire aspettative di risultati più interessanti e consistenti che non affidandosi esclusivamente a Pechino per la rappresentanza dei propri interessi. Rispetto alle alternative realistiche, vale a dire quelle avanzate rispettivamente dalla Cina e dall’Occidente, l’India di Modi articola una proposta invitante per i paesi del Sud Globale, offrendo una “una retorica accogliente, spazio ai risentimenti condivisi e la promessa di diversificare le istituzioni che definiscono le politiche pubbliche globali” (Cave, Mashal, Pierson, 2023). Non stupisce dunque che nel 2023 Delhi abbia ospitato ben due eventi virtuali globali denominati Voice of the Global South (ai quali la Cina non è stata invitata), che hanno consentito ai partecipanti di ribadire il repertorio dei concetti che definiscono la visione condivisa[12].

Queste e altre circostanze danno la misura della convening power – al primo summit virtuale hanno aderito 125 paesi – e delle aspirazioni in termini di agenda setting della “Nuova India”.

Come la visione dell’ordine avanzata da Delhi possa riflettersi sui rapporti con l’Occidente, e in particolare con l’Europa, è questione che merita attenzione. L’idea dei due ordini complementari, “circoscritto e denso” il primo e “inclusivo e rarefatto” il secondo, è sposata da paesi non geograficamente occidentali, ma concepibili come tali per effetto della loro adesione all’ordine liberale, circostanza che definirebbe i contorni di una sorta di Occidente Globale. Uno di questi paesi è il Giappone (Nakano 2023), con il quale l’India ha da tempo stretto una “Special Strategic and Global Partnership”[13]. Il Giappone è sensibile – forse più dei paesi dell’Occidente geografico, per via della sua prospettiva asiatica – all’esigenza di integrare paesi non democratici o democrazie esclusivamente elettorali in un ordine inclusivo perché meno esigente. Ciò senza mettere in secondo piano un ordine liberale più denso, dunque impegnativo sotto il profilo valoriale e maturo, secondo la logica della complementarietà dei due. Il valore di questa configurazione starebbe nella possibilità di esporre chi partecipa all’ordine basato su regole ai vantaggi di un ordine compiutamente liberale. Per questo tale soluzione potrebbe essere accolta anche dall’Occidente geografico, che è comunque chiamato ad accompagnare il cambiamento in atto. L’idea, invece, che l’ordine liberale sia superato e che sarà sostituito da un più rarefatto ordine basato su regole, strutturalmente inadatto a generare l’accountability necessaria a governare i principali problemi collettivi, dovrebbe destare la preoccupazione dei fautori del multilateralismo efficace, dunque dei paesi europei. Quando sia effettivamente ampia e solida la convergenza tra India e Occidente sui nodi della governance globale è una domanda, rilevante per entrambe le parti, che ancora non ha risposta. Come dimostrano i risultati delle recenti elezioni indiane, nelle democrazie vi è peraltro sempre spazio per il cambiamento, e anche i termini della conversazione sull’ordine internazionale potrebbero dunque cambiare negli anni a venire. La consapevolezza della crescente centralità dell’India nel sistema internazionale e dell’importanza di mantenere vivo il dialogo sui grandi temi di interesse comune non fanno che rafforzare l’esigenza di conoscenza reciproca e confronto, a ogni livello, tra Europa e India.


[1] Scrive il Ministro degli Esteri Jaishankar (2000, 6): “Sviluppare una mentalità orientata non soltanto a rispondere [alle molteplici sfide strategiche che la competizione sino-americana genera], ma a capitalizzare su queste è ciò che potrebbe definire la nuova India”. Sul punto si veda anche il contributo dal taglio critico di Mukherjee (2024).

[2] Ciò che distingue i due gruppi è che i nazionalisti sono più “sospettosi del mondo esterno ed enfatizzano rafforzamento interno e autonomia come obiettivi prioritari”, mentre i realisti hanno egualmente a cuore il rafforzamento del paese “ma non come fine in sé”, danno importanza ai rapporti con le grandi potenze e sono più aperti a considerare il rapporto tra costi – in termini di sovranità – e benefici della cooperazione multilaterale (Ollapally, 2018, 63). Un gruppo minoritario, ma in crescita secondo la studiosa, è quello dei globalisti, che valorizzazione le istituzioni internazionali e i processi di integrazione.

[3] Mishra, (2023, 1408) scrive di un “allineamento con riserva” dal 1998 al 2014, quando l’India è poi passata a una critica dell’ordine consolidato più strutturata e finalizzata al cambiamento.

[4] Sulla sovranità economica si veda anche Mohan, 2020.

[5] Sul punto si veda Jordan e Deliwala, 2022.

[6] Il più recente scritto del Ministro Jaishankar si intitola Why Bharat Matters. Il primo capitolo, intitolato Presenting a World View. Calculations, Culture and Clarity si conclude così: “Cogliere le complessità del processo decisionale è una parte essenziale della comprensione delle relazioni internazionali. Una potenza emergente principale (major rising power), però, ha bisogno di qualcosa di più di una accurata analisi del contesto e di essere in grado di reagire. Deve, innanzitutto, aver fiducia nei propri valori e convinzioni, e deve basare le proprie politiche su questi ultimi. Valori e convinzioni discenderanno dalla totalità della sua cultura, del suo patrimonio condiviso e delle sue tradizioni. Questa è la ragione per la quale l’India può emergere soltanto nella misura in cui è autenticamente Bharat” (Jaishankar, 2024, 9). Bharat è la denominazione del paese utilizzata in occasione del vertice G20 tenuto a Delhi nel settembre 2023.

[7] Il revisionismo è una postura – di norma associata a RPC e Federazione Russa – che esprime un più alto tasso di insoddisfazione, dunque obiettivi di cambiamento più importanti e talvolta una maggiore disponibilità ad assumersi rischi nel processo (Krickovic, 2022).

[8] https://www.indiatoday.in/india/story/india-would-be-a-south-western-power-says-external-affairs-minister-jaishankar-1605763-2019-10-03

[9] Il punto viene ribadito dallo studioso quando, successivamente, elabora la sua tesi affermando “poiché Modi ha esplicitamente impegnato l’India a ‘un ordine basato su regole’, ne discende che la concezione indiana ufficiale vede quest’ultimo come l’erede dell’ordine internazionale liberale” (Mishra, 2023, 1414).

[10] Questa posizione presuppone una rielaborazione dello stesso concetto di democrazia e dei parametri con i quali misurare lo stato di salute delle democrazie, a partire dal rispetto dei diritti. A questo proposito ha avuto grande eco la decisione recentemente assunta del governo Modi di affidare al centro di ricerca Observer Research Foundation (ORF) il compito di elaborare una propria classifica, alternativa a quelle internazionali consolidate https://www.aljazeera.com/news/2024/3/21/modis-india-plans-its-own-democracy-index-after-global-rankings-downgrade

[11] Nonostante la difficoltà di conciliare multilateralismo efficace e protezione della sovranità, vi sono pochi dubbi che soltanto una forma di multilateralismo qualitativo, nell’ambito del quale le regole creano accountability e dunque fiducia reciproca, possa consentire a una società internazionale ormai profondamente interdipendente di gestire i problemi collettivi.

[12] https://www.mea.gov.in/voice-of-global-summit.htm

[13] https://www.mea.gov.in/Portal/ForeignRelation/Japan_-_Bilateral_Brief_MEA_Website_Oct_2023.pdf.  Sulla partnership ormai decennale si veda anche https://asia.nikkei.com/Opinion/Japan-India-engagement-is-expanding-amid-strategic-challenges


Riferimenti bibliografici

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Bajpai, K., Laksmana, E.A. (2023). “Asian conceptions of international order: What Asia wants”, International Affairs, 99(4), 1371-1381.

Cave, D., Mashal, M., Pierson, D. (2023). “Can India challenge China for leadership of the ‘Global South?’”, The New York Times, 12 settembre. https://www.nytimes.com/2023/09/12/world/asia/india-china-global-south.html, ultimo accesso 29 maggio 2024.

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Krickovic, A. (2022). “Revisionism revisited: Developing a typology for classifying Russia and other revisionist powers”. International Politics, 59(4), 616-639.

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Nye, J.S. (2020). “After the Liberal International Order”. Project Syndicate, 6 luglio. https://www.project-syndicate.org/commentary/biden-must-replace-liberal-inter-national-order-by-joseph-s-nye-2020-07, ultimo accesso 29 maggio 2024.

Ollapally, D.M. (2018). “India and the international order: Accommodation and adjustment”. Ethics and International Affairs, 32(1), 61-74.

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