Nuova procedura penale e cooperazione internazionale

Il 2013 sarà ricordato in Cina, tra l’altro, come l’anno del processo a Bo Xilai, ex Segretario del Partito nella municipalità di Chongqing ed ex Ministro del commercio. Questo caso, senza precedenti nella storia giudiziaria cinese dall’epoca del processo alla Banda dei Quattro nel 1980, ha dimostrato quanto sia ancora lunga la strada che la Cina deve percorrere prima di garantire realmente a tutti i soggetti sotto la sua giurisdizione quello stato di diritto che è tratto distintivo di una società avanzata, e che le stesse autorità della Repubblica Popolare affermano di voler perseguire con la previsione costituzionale dell’Articolo 5. Nel caso Bo infatti, gli organi di polizia e giudiziari hanno violato più di una volta sia previsioni della legge cinese, sia diritti umani fondamentali applicabili anche alla Cina, trattandosi di diritto consuetudinario internazionale. Queste circostanze evidenziano come sia proprio il diritto penale a rimanere la branca della legge meno sviluppata in Cina e dunque un ostacolo al pieno godimento dei benefici che derivano da una condizione di cittadinanza in uno stato di diritto. Ciò induce a riflettere sull’ultimo sviluppo in materia: l’adozione del nuovo Codice di procedura penale (Xingshi susong fa, 刑事诉讼法).

Il primo gennaio 2013 è entrata in vigore la legge del 14 marzo 2012 adottata durante la quinta sessione plenaria dell’XI Assemblea nazionale del popolo, che contiene il secondo emendamento al codice di procedura penale cinese del 1979. Un primo emendamento, sostanzialmente volto ad aumentare i poteri della difesa, era entrato in vigore nel 1996 ma ha avuto un impatto molto limitato. Questo secondo emendamento rappresenta sia un tentativo di evitare che si ripetano errori giudiziari che hanno portato non di rado alla condanna di innocenti a lunghe pene detentive, sia un tentativo del Partito di rispondere alle richieste provenienti da una popolazione che in 30 anni di progresso economico è divenuta più consapevole dei propri diritti. Attraverso l’aggiunta di 66 nuovi articoli e la revisione di un altro centinaio, il legislatore cinese ha toccato aree molto sensibili, con alcuni interventi significativi.

In primo luogo è notevole il fatto stesso che il governo abbia disposto la pubblicazione della bozza del secondo emendamento sul sito dell’Assemblea, consentendo a esperti e gente comune di far pervenire i loro commenti. Questo rappresenta una novità senz’altro positiva, soprattutto considerando che alcuni suggerimenti sono stati accolti, portando allo stralcio dalla versione definitiva della legge di previsioni che avrebbero ulteriormente pregiudicato i diritti della difesa.

In secondo luogo, il nuovo testo dell’Articolo 2 stabilisce che il processo penale debba essere ispirato alla protezione e al rispetto dei diritti umani. Anche se articoli successivi snaturano questa storica premessa, la sua introduzione fra i principi generali della procedura penale rappresenta un fatto positivo. Un ulteriore segno di progresso sono la nuova previsione del diritto a “non auto-accusarsi” e il principio di presunzione d’innocenza – anche se un articolo successivo va poi nella direzione opposta, obbligando gli investigatori a informare gli indagati che se non confessano non beneficeranno di un trattamento clemente. Il nuovo testo ha inoltre lievemente migliorato il regime che governa l’utilizzo della prova, anche se resta relativamente semplice per l’accusa aggirare le nuove previsioni di legge. Basti pensare alla possibilità di utilizzare prove raccolte attraverso il ricorso alle intercettazioni ambientali e a indagini “segrete” (ricorrendo cioè a informatori e agenti sotto copertura) secondo modalità non sancite dal codice e stabilite in regolamenti non pubblici. L’avvocato difensore continua a rimanere una figura secondaria nel processo penale, però il nuovo codice ne rinforza il ruolo nella fase pre-processuale per la maggioranza di indagati e imputati. L’uso della tortura viene messo finalmente al bando ed è previsto l’obbligo per il giudice di escludere le prove ottenute tramite questa pratica. Un certo progresso è stato anche realizzato nella disciplina degli arresti disciplinari, che per il momento resta appannaggio solo di alcune categorie di indagati e imputati.

La domanda che si pone l’osservatore internazionale a pochi mesi dall’entrata in vigore del nuovo codice – e alla conclusione del primo grande processo celebrato secondo il nuovo rito – è se e in che misura esso rappresenti un passo avanti rispetto a un passato in cui i processi penali si concludevano con sentenza di condanna nel 99 per cento dei casi. Sebbene la casistica sia ancora limitata, e riflettendo sul processo a Bo Xilai, è evidente come il legislatore cinese abbia posto in essere una sorta di sistema misto, in parte accusatorio e in parte inquisitorio, che non è ancora soddisfacente. Se da una parte esso rafforza in qualche modo la protezione dei diritti della maggior parte degli indagati e imputati per reati “ordinari” (furto, rapina, omicidio ecc.), dall’altra indebolisce però marcatamente i diritti di indagati e imputati per reati quali terrorismo, minaccia alla sicurezza dello Stato e corruzione grave. Per di più, tali reati si prestano per la loro vaga definizione a essere utilizzati per perseguire dissidenti, attivisti per i diritti umani, rappresentanti di minoranze etniche, o avversari politici. A questo secondo gruppo appartiene anche Bo Xilai, che in palese violazione del nuovo codice è stato detenuto ben oltre i termini consentiti e privato sia del diritto a consultare i suoi difensori, che del diritto a contro-interrogare alcuni testi chiave dell’accusa.

Un documento così redatto non può quindi che riflettere una soluzione compromissoria raggiunta tra i riformatori – prevalenti all’interno di Corte suprema, Procura suprema e Ministero di giustizia – e i conservatori, rappresentati dal Ministero della pubblica sicurezza. Se i primi sono riusciti a far inserire norme in linea con un processo accusatorio e garantista, i secondi hanno ottenuto la possibilità di bypassarle in tutti quei casi ritenuti una minaccia al monopolio del potere del Partito.

Sul piano internazionale, invece, non si può non constatare come le sollecitazioni esercitate negli ultimi 16 anni da Stati stranieri e organizzazioni internazionali governative e non governative affinché la Cina migliorasse la sua giustizia penale abbiano portato a ben poco: ciò obbliga a una riflessione sul futuro della cooperazione tecnica in materia, sia bilaterale che multilaterale. Tale cooperazione è infatti necessaria oggi più che mai, in un contesto internazionale che vede molti paesi in via di sviluppo – e non solo – chiedersi se uno dei fattori dell’ascesa della Cina non sia proprio il suo apparato repressivo e se dunque non convenga emularlo.

Per avere una maggiore possibilità di successo, futuri negoziati e programmi di cooperazione finalizzati all’adeguamento del sistema di giustizia penale cinese agli standard internazionali dovranno riconoscere prima di tutto che la procedura penale in Cina è ancora relativamente giovane. E soprattutto che, fino a quando l’assetto politico-istituzionale della Repubblica popolare cinese rimarrà quello di un Partito-Stato non si potrà liberare il suo sistema legale e giudiziario dalla subordinazione al sistema politico, con la conseguenza che anche le pratiche giudiziaria e di polizia non potranno subire i necessari, fondamentali cambiamenti. In secondo luogo si devono identificare obiettivi di cooperazione meno ambiziosi ma più concreti, e quantomeno raggiungibili nel breve e medio termine. Esistono infatti aree – anche tecnicamente complesse e controverse, ma certamente meno politicamente sensibili di altre quali l’indipendenza della magistratura o l’abolizione della pena di morte – in cui la Cina intende fare ulteriori progressi ed è potenzialmente interessata a cooperare. È qui che possono per il momento concentrarsi gli sforzi di tutti coloro che desiderano il progredire delle riforme istituzionali in Cina. Il diritto all’assistenza legale, la protezione dei diritti delle vittime di reati, la riabilitazione dei detenuti e la giustizia minorile sono solo alcune di queste aree. La cooperazione in tali settori, anche attraverso addestramento e formazione professionale, se espressamente richiesta dal governo cinese, ben concepita e coordinata, potrà sicuramente influire su come il nuovo codice – e soprattutto i regolamenti attuativi – saranno applicati dal personale preposto, contribuendo così a mitigare l’impatto di quelle previsioni che ancora non soddisfano.

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