Nelle scorse settimane la terza sessione plenaria del XVIII Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) ha destato prima la delusione e poi il plauso di osservatori e analisti internazionali. Dopo il primo scarno comunicato comparso nelle ore successive alla fine dei lavori a porte chiuse, in molti avevano manifestato un certo malcontento per l’apparente mancanza di coraggio sul fronte delle riforme economiche. Pochi giorni dopo, invece, all’uscita del documento integrale intitolato “Decisione su alcune importanti questioni riguardanti l’approfondimento complessivo delle riforme”, gli stessi analisti che in un primo momento si erano espressi in maniera critica hanno dovuto tornare sui loro passi.
Le liberalizzazioni – distribuite in quindici grandi aree di intervento – sono state definite come il maggiore sforzo riformista di Pechino da venti anni a questa parte. Si sono azzardati paragoni con il plenum del 1993 che ha introdotto il concetto di “Socialismo di mercato” per definire il modello politico-economico cinese, e persino con quello del 1978 che vide prevalere la linea di apertura di Deng Xiaoping rispetto a quella conservatrice di matrice maoista di Hua Guofeng. Ma che cosa significa “approfondimento delle riforme”? E che cosa comporta per le imprese europee che investono e operano in Cina? Quali nuove possibilità ne deriveranno per chi vuole entrare nel dinamico mercato cinese? AgiChina 24 lo ha chiesto a Davide Cucino, Presidente della Camera di commercio dell’Unione europea in Cina.
Sul ritardo continuiamo a mantenere questa opinione. Da una parte accogliamo con estremo favore le decisioni e abbiamo mutato atteggiamento rispetto ai primi giorni, quando ancora non era stato pubblicato il documento integrale ma solamente il comunicato. Dall’altro lato siamo un po’ preoccupati per il ritardo con cui le decisioni – pur notevoli – arrivano. Non si tratta del ritardo fisiologico e necessario per il tempo intercorso tra l’insediamento di Xi Jinping e la formulazione del documento, ma di un ritardo che sembra strutturale: da settimane parliamo con grande enfasi di queste decisioni, però vediamo ancora fatica nell’attuazione. Siamo certi che si tratta di un documento ben strutturato e che deriva dalla volontà di portare avanti le riforme. C’è bisogno, però, di una spinta, e l’unico modo per spingere è cominciare immediatamente a lavorare su bozze di documenti attuativi, altrimenti questa enfasi va scemando.
Tra gli aspetti interessanti per le aziende europee ci sono gli obiettivi principali del documento, che si pone come termine il 2020. È interessante come questo obiettivo temporale sia speculare a quello che si è data l’Unione europea e come molti dei temi posti in Cina siano simili a quelli contenuti nella strategia di crescita Europe 2020: potremmo citare ambiente, inclusiveness, innovazione. E non è un caso che uno dei risultati più importanti del summit Ue-Cina, tenutosi poche settimane fa, sia dato proprio dal fatto che le due parti hanno individuato delle specularità e la necessità di procedere di pari passo verso il raggiungimento degli obiettivi. Questo rappresenta per le aziende europee una grande opportunità. L’agenda Europe 2020 è stata fatta per dare una spinta propulsiva a molti settori dell’economia europea, industriali e non: pertanto decidere di correre in parallelo con un’agenda cinese per il 2020 potrebbe portare vantaggi alle aziende europee, che dovrebbero avere più dimestichezza con temi già affrontati nell’agenda europea.
Vediamo con grandissimo interesse il trattato bilaterale sugli investimenti. Il lancio del negoziato per il trattato, pur tra mille difficoltà, è sicuramente un risultato molto importante. Oggi c’è una grandissima asimmetria tra le opportunità che alle aziende straniere vengono offerte in Europa e in Cina. Questa situazione non è sostenibile nel lungo periodo: occorre cambiare certi parametri. Ci sono larghissime fette di opinione pubblica europea che hanno già preso una chiara posizione a riguardo e chiedono un cambiamento di quegli elementi e di quegli strumenti che in un senso o nell’altro sono ad oggi percepiti come iniqui. Discutere di accordo bilaterale in un momento in cui la Cina gode già di una maggiore libertà per i suoi investimenti in Europa rispetto alla libertà di cui godono le aziende straniere in Cina è sicuramente cruciale: sia per riequilibrare una serie di assetti, sia per promuovere maggiormente gli investimenti – tanto gli investimenti cinesi in Europa, quanto gli investimenti europei in Cina. Bisogna tener presente che è marginale non soltanto la percentuale di investimenti europei in Cina rispetto al resto del mondo, ma anche la percentuale di investimenti cinesi in Europa, nonostante i dati degli ultimi due anni siano estremamente positivi per il nostro continente. Questo accordo bilaterale è un altro tema molto importante di questo summit, di pari passo con quello della specularità delle agende 2020 di cui dicevo prima.
L’ottimismo c’è, ma è cauto. Purtroppo, nel corso degli ultimi anni, ci siamo abituati ad ascoltare promesse del governo cinese sulla liberalizzazione di alcuni settori dell’economia, ma a queste non sono seguiti fatti concreti. Ricordiamo sia le parole dell’ex Premier Wen Jiabao, sia quelle di Li Keqiang, quando era Vice-premier, o quelle di Chen Deming, quando era Ministro del commercio. La realtà è stata ben diversa. Ora ci aspettiamo che queste nuove promesse si tramutino in fatti. Ci sono purtroppo dei punti interrogativi, al momento, che vorremmo avere la possibilità di chiarire: due in particolare. Il primo è il ruolo dello Stato nell’economia. Spesso siamo tacciati di essere ultra-liberisti: in realtà, in varie occasioni abbiamo sottolineato come noi non vogliamo eliminare il ruolo dello Stato nell’economia, ma riportarlo a quella che è la sua vera natura. Lo Stato deve agire in quei settori dove il bene pubblico può essere garantito soltanto da un intervento dello Stato e non da un intervento del capitale privato. Però ci sono oggi squilibri in numerosi settori dell’economia cinese, situazioni in cui l’intervento dello Stato ha effetti che limitano le opportunità per le imprese private. Parlo dei servizi in generale, e in particolare di quelli finanziari, quelli legati alla manifattura, i servizi legati al fenomeno dell’urbanizzazione, o il mondo delle telecomunicazioni. Lo Stato ha una presenza imponente in molti settori strategici e questo va cambiato: bisogna andare verso la presenza di aziende private in quei settori in cui la presenza di capitale privato potrebbe significare maggiore competizione, abbassamento dei prezzi e miglioramento dei servizi dal punto di vista qualitativo, e che in questo momento sono invece dominati dallo Stato o da aziende pubbliche. Purtroppo quello che leggiamo sulle decisioni assunte dal plenum indica che da una parte si vogliono liberare le forze di mercato, ma dall’altra si tende a sottolineare l’importanza del ruolo dello Stato e delle aziende pubbliche – il che è importante, ma lo può essere solo in quei settori in cui il bene pubblico deve prevalere sugli interessi privati. Questo porta poi a parlare del secondo tema: che cosa si intenda per capitale privato. Credo sia necessario un chiarimento, e noi lo abbiamo chiesto varie volte ai nostri interlocutori cinesi. La loro risposta diventa sempre più chiara: capitale privato vuol dire capitale privato nazionale. L’apertura di questi settori strategici è un’apertura che va verso la competizione per tutti o solo a favore del capitale privato cinese? Questo è un tema che va sicuramente chiarito, ed è centrale nel comprendere se queste decisioni assunte dal terzo plenum vadano a beneficio di tutti o soltanto delle aziende cinesi.
Credo che ogni volta che un rappresentante di un Paese membro – soprattutto se uno dei principali – si reca in visita in Cina oppure ospita una controparte cinese nel suo paese debba enfatizzare qualcosa in più rispetto a quello che l’Unione europea sta negoziando o ha ottenuto. Ed ecco che uno dei 28 Stati membri mostra di essere in grado di rafforzare il messaggio con qualche elemento in più, con qualche accordo in più. È successo in passato, succede oggi e non mi stupirà se succederà ancora in futuro. Siamo sempre alle solite: parliamo di unità di vedute in Europa e poi ognuno corre per la sua strada. Sono ben poco entusiasta di questo tipo di dichiarazioni, perché non fanno che rafforzare la Cina nel dialogo con l’Unione europea, visto che impegni o dichiarazioni assunti in via bilaterale vengono poi presi a esempio.
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