Rispettando le attese, il Consiglio di Stato cinese – denominazione ufficiale del Governo della Rpc – ha reso pubblica nei giorni scorsi la 7a edizione del Libro bianco sulla difesa nazionale. Per la dirigenza di Pechino si tratta di rimanere nel solco di una politica avviata nel 1998 con l’obiettivo di assicurare una crescente trasparenza nella definizione degli scenari di sicurezza nazionale. Da allora un Libro bianco è pubblicato con cadenza biennale dall’Information Office governativo. La scelta di questo canale istituzionale per divulgare il documento (come accade d’altronde per tutti i Libri bianchi) non è irrilevante: l’Information Office è un’articolazione ibrida nel sistema cinese, al servizio tanto dello stato, quanto del Partito comunista cinese (Pcc), che – com’è noto – innerva l’intero apparato statale come una mano riempie un guanto (che altrimenti sarebbe pressoché informe).
Mentre per lo stato l’Information Office è una sorta di portavoce istituzionale, per il Partito esso s’incarica di provvedere a censura e propaganda. Da qui il caveat generale che occorre tenere presente nell’analizzare il testo del Libro bianco in questione: esso è predisposto espressamente per rivolgersi ad un’audience (soprattutto internazionale) affamata di informazioni su come la Rpc intenda impiegare i frutti della seconda maggiore spesa in Difesa al mondo, dopo gli Stati Uniti d’America.
L’uscita del Libro bianco è pressoché contestuale alla pubblicazione dei dati sulla spesa che la dirigenza cinese ha autorizzato per il comparto Difesa nell’anno in corso. Si tratta di poco più di 91 miliardi di dollari USA, con un incremento del 12,7% sul 2010 – molto più massiccio del 7,5% registrato l’anno scorso, quando il ritorno a una crescita a una sola cifra percentuale fu salutato come un gesto di distensione al termine di un 2010 segnato dalle polemiche per la diplomazia muscolare di Pechino. Il portavoce della 4a Sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp) – sede in cui sono stati resi noti i dati – ha sottolineato come l’incremento dell’investimento in ambito militare sia contenuto se misurato in relazione alla dimensione del territorio nazionale, all’estensione delle coste della Rpc, alla popolazione del paese e – soprattutto – al numero di effettivi che compongono le forze armate cinesi.
Proprio a incrementi salariali per il personale è destinata una quota significativa della spesa, come segnalato dal Ministero della Difesa nazionale cinese. Gli altri due principali capitoli di spesa che hanno registrato i maggiori aumenti sono gli approvvigionamenti e la “Rivoluzione negli Affari Militari” (Rma), ossia lo sviluppo delle strategie e dotazioni militari per raggiungere l’obiettivo di vincere “conflitti locali in condizioni di elevata informatizzazione”.
In realtà, non è chiaro quanto sia esattamente l’ammontare delle risorse destinate alla ricerca e sviluppo delle forze armate cinesi, data la scarsa trasparenza (un problema, peraltro, non solo cinese). Si ritiene infatti che un’ampia porzione dei fondi destinati a questo scopo non siano computati nel calcolo di cui sopra, così come resta poco chiaro l’intreccio tra Armata popolare di liberazione (Apl, la storica denominazione delle forze armate della Rpc) e un vasto tessuto di imprese di stato definite “strategiche”.
Nel suo Rapporto annuale sugli sviluppi in campo militare e di sicurezza in Cina, il Pentagono stimava per il 2009 una spesa effettiva pari a quasi il doppio di quella all’epoca dichiarata da Pechino, prossima ai 150 miliardi di dollari Usa (che sarebbe comunque meno di ¼ di quella statunitense). Anche lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) collocava l’investimento cinese nel comparto militare a 100 miliardi di dollari già nel 2009, stabilmente al secondo posto (dietro gli Usa, appunto), in termini assoluti. Tuttavia, il Military Balance 2011 dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss) di Londra segnala una sostanziale continuità nel rapporto spesa militare/Pil: si collocherebbe stabilmente sotto l’1,5%, al di sotto di quello medio dei paesi che più spendono per la difesa (soltanto il Giappone si attesta, come da tradizione e per motivi di politica interna, all’1%).
Se è vero che i Libri bianchi pubblicati dai paesi occidentali forniscono maggiori dettagli sulle specifiche dotazioni militari rispetto all’omologo documento cinese, diverse considerazioni possono essere formulate sugli scenari di sicurezza delineati dagli analisti della Rpc. Un primo elemento di evoluzione rispetto al Libro bianco del 2008 è la convinzione che la transizione verso un ordine multipolare non sia più soltanto “in accelerazione” (2008), ma “del tutto irreversibile” (2010), con importanti prospettive di riforma del sistema internazionale determinate dal nuovo peso economico di una serie di paesi emergenti, che hanno portato il G20 ad avere un ruolo di spicco nella gestione multilaterale in campo economico e finanziario. Al contempo, mentre vengono meno le antiche accuse di “egemonismo” (implicitamente a carico degli Stati Uniti) e si vede favorevolmente la crescita economica dell’Asia-Pacifico, si notano con preoccupazione i crescenti investimenti di Washington nella regione e il rafforzarsi degli storici legami di alleanza bilaterale tra Stati Uniti e alcuni paesi dell’Asia orientale, con conseguente aumento dell’influenza statunitense negli affari interni della regione.
Vi sono, poi, sfide non tradizionali alla sicurezza cinese, cui il Libro bianco presta particolare attenzione: minacce terroristiche, problematiche relative alla sicurezza energetica e finanziaria, esposizione a disastri naturali e varie contingenze che possano rendere necessarie operazioni militari diverse dalla guerra. Una di queste ultime, recentissima, anche se non citata specificamente, è l’efficiente azione di evacuazione di circa 38.000 cittadini cinesi residenti in Libia: il 2011 sarà ricordato come l’anno in cui un’unità navale cinese – una moderna fregata lancia- missili (la Xuzhou) – ha compiuto la prima missione attiva nel Mediterraneo. La Marina militare cinese, che è impegnata in un massiccio programma di ammodernamento, è destinata ad assumere un ruolo di crescente peso tra le Forze armate cinesi, come pure l’Aviazione e il Secondo corpo d’artiglieria (denominazione ufficiale dell’articolazione che controlla l’arsenale nucleare della Rpc).
Infine, merita una menzione il tema della sicurezza cibernetica, praticamente assente nelle edizioni passate del Libro bianco, ma richiamato ripetutamente quest’anno. Nel quadro delle missioni fondamentali affidate alle Forze armate della Rpc – salvaguardia della sovranità e sicurezza nazionale, mantenimento delle condizioni di sviluppo economico, tutela della pace mondiale – gli analisti cinesi sottolineano l’impegno (statunitense) in campo spaziale e cibernetico e i rischi non soltanto per la sicurezza infrastrutturale nazionale, ma anche per la “sicurezza dell’informazione”, particolarmente delicata in una società “sempre più informatizzata” e all’interno della quale le recenti rivoluzioni in Maghreb e Medio oriente hanno fatto scattare una repressione del dissenso senza eguali negli ultimi anni. Una situazione per molti versi paradossale, che rischia di vanificare gli sforzi del Ministero degli esteri cinese di proiettare all’esterno un’immagine benevola di un paese che vanta 1.955 uomini e donne impegnati in missioni Onu, il maggior contingente tra tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.
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