Dopo quindici mesi di elaborazione è stata di recente pubblicata la nuova National Security Strategy (Nss) degli Usa. Il punto di partenza, chiarito dal Presidente Obama nella nota introduttiva, è che questo non potrà essere un altro secolo americano: “The burdens of a young century cannot fall on American shoulders alone”. L’unilateralismo dell’era Bush è impraticabile, ancor prima di essere inefficace.
Quale corso è quindi lecito attendersi per le relazioni tra Stati Uniti e Cina stando alle indicazioni fornite nel documento? Uno spunto interpretativo è offerto da una recente intervista rilasciata al quotidiano giapponese Asahi Shimbun da Wang Jisi, preside della facoltà di studi internazionali dell’Università di Pechino, forse lo studioso di relazioni internazionali più noto in Occidente. Wang individua tre fattori di cambiamento essenziali per comprendere l’evoluzione dell’ordine internazionale: il perdurante processo di globalizzazione, la rivalità geopolitica tuttora esistente tra paesi e l’influenza della società civile, a partire dalle sue componenti organizzate. Di fatto si tratta di tre diversi livelli di analisi: sistemico, statuale e sub-statuale.
Le politiche articolate nella Nss puntano a perseguire gli interessi degli Stati Uniti – riassumibili nel mantenimento di una posizione di leadership globale – operando a tutti e tre i livelli. In termini di sistema, il documento sottolinea come molte delle sfide cruciali del XXI secolo siano di portata globale, a partire dall’inquinamento, passando per la sicurezza alimentare e la proliferazione nucleare, fino alla minaccia del terrorismo. Qui lo sforzo della politica estera statunitense verso la Cina è focalizzato sull’engagement, ossia sulla socializzazione di questo nuovo “centro di influenza” in un ordine riformato di cui si senta pienamente parte e nel cui contesto accetti di assumersi oneri e responsabilità. Alla base di questo approccio sta una concezione del potere diversa da un gioco a somma zero, l’unica ragionevole in un mondo profondamente interconnesso qual è quello in cui viviamo oggi.
L’esistenza di sfide condivise che possono stimolare la cooperazione non estingue, peraltro, la rivalità geopolitica tra la potenza che ha fondato l’attuale ordine internazionale e l’emergente gigante asiatico. Nella Nss vi sono espliciti riferimenti alla necessità di “monitorare la modernizzazione militare cinese” ed è messa in chiara sin dalle prime battute la determinazione di Washington di consolidare le proprie alleanze, a partire proprio da quelle asiatiche (in primis con Giappone e Corea del Sud). Nondimeno, l’amministrazione Obama appare principalmente intenta a promuovere un’interdipendenza consapevole con Pechino. Il punto è stato sottolineato dal Segretario di Stato Usa in alcune dichiarazioni sulla Nss: Hillary Clinton ha sottolineato come Stati Uniti e Cina abbiano oggi probabilmente il più massiccio scambio di visite ad alto livello che Washington abbia mai intrattenuto con un altro paese, sistematizzate nel quadro del Dialogo strategico ed economico bilaterale.
Infine, è al livello della società civile che la Nss 2010 articola la politica più ambiziosa e in più netta discontinuità con l’esperienza di George W. Bush: si tratta del recupero e della rivitalizzazione dei valori che in passato hanno fatto grande l’America nel mondo. Superando le National Security Strategy del 2002 e 2006, gli Stati Uniti si impegnano ora a guidare con l’esempio, restituendo dignità a un modello di società e di politica estera che in anni recenti hanno patito lo scollamento tra retorica ufficiale e prassi di governo. E’ su questo punto – sulla capacità, cioè, di esercitare il soft power – che si giocherà la partita più evidente nei rapporti tra Usa e Cina nel prossimo futuro. Se Pechino cerca stabilità nelle relazioni internazionali, il Partito comunista cinese (Pcc) non ha d’altronde paura della modernità e sta cercando – e in parte trovando – una strada originale per coniugare il progresso economico, un certo grado di responsabilità dello Stato nei confronti della popolazione e la permanenza incontrastata del Pcc alla guida del paese. La dialettica tra questo assetto socio-politico e la democrazia liberale statunitense è irriducibile e col tempo potrebbe inasprirsi.
Segnalazioni Global Studies è il percorso di specializzazione proposto dalla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino agli studenti che vogliono dotarsi di strumenti interpretativi che li rendano capaci di orientarsi e intervenire con successo tra le opportunità offerte da Cina, India e Medio Oriente contemporanei. Articolazione del corso di laurea specialistica in scienze internazionali, Global Studies accoglie senza richiedere esami integrativi studenti che provengono da una varietà di lauree triennali, incluse scienze politiche, lingue, economia, storia, lettere e diritto. Info su www.scienzeinternazionali.it. In questo senso occorre rimarcare un ultimo aspetto della NSS 2010, ossia il forte richiamo al consolidamento interno degli Stati Uniti come prerequisito imprescindibile per un’efficace azione internazionale.
E’ un aspetto rilevante per i rapporti bilaterali sino-americani anche perché un’opinione pubblica frustrata per lo stato degli affari all’interno degli Stati Uniti sovente tende a ingigantire minacce esterne, specie se provenienti da paesi percepiti come “diversi”. Con il rischio che ciò porti a incomprensioni e passi falsi e, in una dinamica ben nota, alle classiche profezie che si autoavverano.
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