Nonostante si tratti della seconda economia più grande al mondo, ancora oggi la Repubblica popolare cinese (Rpc) viene identificata in molte sedi come il più grande tra i paesi in via di sviluppo. Seppure sia innegabile che la crescita economica degli ultimi trent’anni sia risultata in enormi progressi nel miglioramento delle condizioni di vita di parte della popolazione, è anche vero che la società cinese si trova a fronteggiare oggi un forte dualismo, segnato in particolare da squilibri in termini di distribuzione della ricchezza. Ne è riprova il proposito più volte annunciato di costruire un “società armoniosa” che dimostra come, nel corso del tempo, l’obiettivo dell’equità sia stato sacrificato per dar spazio a una crescita economica più rapida. Alla luce di quanto appena detto, questo articolo si concentra sui recenti progressi della Rpc in termini di miglioramento delle condizioni di vita e riduzione della povertà, ponendo tuttavia maggior enfasi sulle questioni rimaste aperte, quelle della crescente disuguaglianza e dei dualismi urbano-rurale e tra province costiere e interne. La Rpc è con ogni probabilità il paese che ha compiuto i progressi più visibili nell’ambito degli Obiettivi del Millennio (Millennium Development Goals – MDGs), raggiungendo con alcuni anni di anticipo alcuni dei principali target (si veda Tabella 1 per una sintesi). Tra questi, l’obiettivo di dimezzare la povertà è quello rispetto al quale il paese ha registrato risultati davvero eccezionali. Secondo le stime della Banca Mondiale, infatti, se all’inizio delle riforme l’84% della popolazione viveva con meno di 1,25 dollari al giorno, facendo della Rpc uno dei paesi più poveri al mondo, nel 2008 questa percentuale si è ridotta ad appena il 13% (cfr. Figura 1). Si tratta di un dato di grande rilievo, che non ha eguali nelle esperienze di altri paesi in via di sviluppo e che viene attribuito da alcuni studiosi in larga parte all’effetto delle riforme che hanno investito il settore agricolo a partire dai primi anni ’80. Tuttavia, diversamente da quanto avvenuto ad esempio in Brasile, dove in anni recenti la povertà si è pure ridotta grazie a politiche redistributive e sociali che hanno determinato anche un mitigarsi delle disuguaglianze, nel caso cinese crescita economica e riduzione della povertà sono state accompagnate da un forte incremento della disuguaglianza (Figura 1). Se osservato in chiave comparata, questo dato mostra come la Cina sia diventata oggi uno dei paesi più diseguali in Asia e nel gruppo dei paesi a medio reddito, con una struttura di distribuzione del reddito meno egualitaria persino rispetto agli Stati Uniti.
Il complesso delle riforme che hanno investito le aree rurali nei primi anni ’80, migliorando l’efficienza produttiva del settore agricolo e garantendo migliori rendite per i contadini, aveva raggiunto il duplice obiettivo di ridurre la povertà e la disuguaglianza (Figura 1). È invece a causa delle riforme della seconda metà degli anni ’80, responsabili del decollo del settore industriale, che si è registrata una crescente sperequazione dei redditi, facendo emergere un sistema con forti disparità specialmente tra aree urbane e rurali e tra province costiere e interne.
È opinione diffusa che la principale causa della forte disuguaglianza in Cina sia legata al progressivo dilatarsi del divario delle condizioni di vita tra le aree rurali e quelle urbane. Le riforme di mercato, favorendo l’industrializzazione e lo sviluppo delle aree urbane e insistendo sempre di più sui settori moderni dell’economia, hanno indebolito la posizione dei residenti nelle campagne e dei lavoratori poco qualificati. Se si osserva l’andamento del divario salariale tra le aree urbane e rurali – un indicatore delle disparità economiche tra le due aree – è possibile notare come inizi a crescere in modo più iniquo proprio a partire dal 1985, arrivando a raddoppiare negli anni più recenti quando un salario medio urbano vale più di tre volte e mezzo quello rurale (Figura 2).
Ancora più interessante nel caso cinese è lo squilibrio venutosi a determinare nel corso del tempo tra le diverse aree del paese. Le aree costiere e quelle a sud hanno trainato il processo di crescita economica e, pur rappresentando meno del 10% del territorio nazionale e il 38% della popolazione totale, contano per più della metà del Pil totale della Rpc e, soprattutto, per circa l’88% dell’export (Tabella 2). Si tratta inoltre di province con livelli più elevati di addetti urbani e con maggiori dotazioni in termini di capitale umano. Tutto ciò si è tradotto in livelli di reddito più elevati, specialmente nelle aree urbane, e in una importante dinamica salariale.
In una fase di grandi cambiamenti politici ed economici come l’attuale, diviene allora fondamentale per un paese come la Rpc rinsaldare il livello di consenso sociale attraverso politiche economiche maggiormente inclusive. Ridurre le disuguaglianze attraverso un maggior ricorso a politiche redistributive e a un più attento sviluppo delle aree interne del paese rappresenta una strategia che il nuovo corso politico non potrà rimandare oltre per raggiungere l’obiettivo di creare una società armoniosa in un quadro economico sostenibile nel lungo periodo.
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