Di anno in anno Cina e Russia sembrano avvicinarsi sempre più. Dalla fine della Guerra Fredda, i due “fratelli comunisti,” divenuti nemici negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, hanno intrapreso un percorso di rafforzamento ed espansione del rapporto bilaterale. I due paesi definiscono ora la propria relazione come una “comprehensive strategic partnership” – secondo alcuni il prototipo di ciò che i diplomatici cinesi intendono con “relazioni tra grandi potenze per il XXI secolo”, terminologia di conio recente e senso nebuloso.
Il significato del partenariato strategico non è sempre univoco e presenta anzi sfumature differenti a Pechino e a Mosca, tanto più che entrambi i paesi mantengono partnership strategiche anche con numerosi altri interlocutori. Al netto della fluidità concettuale, pare tuttavia che tanto Pechino quanto Mosca siano determinate a dare reale e crescente contenuto alle relazioni sino-russe. I due paesi si sono impegnati a che l’interscambio commerciale passi dai 90 miliardi di dollari Usa nel 2013 a 100 nel 2015, per puntare a quota 200 nel 2020. Al contempo, il coordinamento delle posizioni in materia di governance globale – non importa se all’interno di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, fora multilaterali quali G-20 o Apec, o meri raggruppamenti informali come i Brics – è ritenuto sempre più importante da ambo le parti.
Certo, non tutto è lineare come le ricostruzioni ufficiali vorrebbero accreditare: restano diversi ambiti di potenziale frizione. Ciò detto, se davvero la relazione bilaterale è quel che un noto esperto ha definito un “asse di comodo”, non si può negare che si tratti in effetti di un asse alquanto durevole.
Un’importante ragione risiede nel peso del fattore americano. Tanto per la Cina, quanto per la Russia, la dinamica post-bipolare appare dominata dal tentativo degli Stati Uniti di mantenere un ruolo da unica super-potenza, prevenendo sfide alla propria egemonia. Agli occhi delle due potenze asiatiche, le politiche di Washington – dall’allargamento della Nato al rafforzamento del sistema di alleanze in Asia, dal sostegno a Taiwan alla presenza in Asia centrale, fino ai giudizi su vicende di politica interna di paesi terzi – sono manifestazione di una volontà di contenimento di Cina e Russia. E poiché queste ultime non sono oggi in grado di controbilanciare autonomamente il potere americano, hanno interesse a mettere a fuoco il proprio comune sentire strategico, rispetto alle pur non infrequenti diversità di vedute.
Gli sforzi in questa direzione si sono quindi fatti più intensi in anni recenti. Per sottolineare l’importanza delle relazioni con Mosca, Xi Jinping ha scelto la Russia come destinazione della sua prima visita ufficiale da presidente della Rpc. Nel 2013 Xi e Putin si sono incontrati in cinque diverse occasioni, oltre ai ripetuti scambi di telefonate e lettere. I due leader si sono impegnati direttamente nella promozione dell’interscambio commerciale e della cooperazione transfrontaliera, hanno avviato nuovi scambi nel settore degli armamenti e si sono sostenuti reciprocamente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quando erano in ballo materie delicate come il conflitto siriano. Xi Jinping ha persino partecipato ai festeggiamenti per il compleanno di Putin. Nella crisi ucraina tuttora in corso, la Cina non ha né appoggiato né condannato l’annessione russa della Crimea, mantenendo una posizione di “neutralità strategica” che appare coerente tanto con i propri principi di politica estera quanto con la necessità di offrire almeno un “tacito sostegno” alla Russia.
Non stupisce quindi che la recente visita di Putin in Cina abbia portato a ulteriori progressi. Il presidente russo ha partecipato alla Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia (Cica) tenutasi a Shanghai il 20 e 21 maggio scorsi, e a un incontro bilaterale con Xi Jinping. Le attese non sono andate deluse: è stato raggiunto un decisivo accordo nel settore del gas (del valore di 400 miliardi di dollari, pur se con rilevanti zone d’ombra), è stata effettuata un’esercitazione navale congiunta senza precedenti nel Mar cinese orientale (dove una controversia di lunga data contrappone la Cina al Giappone, alleato degli Stati Uniti), e sono stati stipulati numerosi accordi bilaterali nel settore delle infrastrutture, della finanza e della cultura. Putin ha persino trovato il tempo di incontrare un vecchio amico, l’ex presidente cinese Jiang Zemin, che molti osservatori accreditano come tuttora alquanto influente nelle dinamiche interne al Pcc. La Cica – che non prevede una piena partecipazione da parte degli Stati Uniti – è apparsa dominata dalle figure di Xi e di Putin, emergendo come nuovo forum regionale per discutere i delicati equilibri in Asia orientale.
Cosa dobbiamo aspettarci in futuro? È probabile che assisteremo a nuovi tentativi di estendere la relazione bilaterale. Contrariamente a quanto sostenuto da taluni osservatori occidentali, tuttavia, più strette relazioni tra i due paesi non costituiscono i prodromi di una prossima alleanza politico-militare in senso formale. Nessuna delle due potenze ha interesse a sviluppi di questo genere. Nonostante i limiti del potere americano, tanto la Russia quanto, soprattutto, la Cina restano fortemente dipendenti dalla cooperazione con Washington. Non soltanto le relazioni sino-americane superano di gran lunga quelle russo-americane in termini di interscambio commerciale, ma solo mantenendo relazioni costruttive con gli Stati Uniti la Cina può sperare di incidere sulle questioni dell’agenda globale – dai cambiamenti climatici al terrorismo internazionale – che toccano da vicino i suoi interessi. Pechino è infatti vitalmente interessata a un contesto internazionale stabile nel quale possa continuare a perseguire la propria agenda di sviluppo.
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