[LA RECENSIONE] A journey to the West. Observations on the Chinese migration to Italy

Valentina Pedone, A journey to the West. Observations on the Chinese migration to Italy, Firenze, Firenze University Press, 2013.

La comunità dei residenti cinesi in Italia ha superato la soglia delle 300.000 unità (320.794, secondo dati Istat), e costituisce il terzo gruppo di immigrati di cittadinanza non comunitaria, dopo i marocchini e gli albanesi. Malgrado si tratti di una quota irrisoria dei residenti in Italia, l’aumento costante della popolazione cinese nel nostro Paese, accompagnato da spiacevoli episodi quali l’incendio della fabbrica di Prato nel 2013, e dal generale atteggiamento di paura e di insicurezza manifestato dall’opinione pubblica nei confronti della crescita dei flussi migratori in ingresso, ha contribuito a rafforzare sentimenti di cautela e diffidenza nei confronti dei cinesi d’Italia. Inoltre, l’ascesa della Repubblica popolare al rango di seconda economia mondiale ha avuto come conseguenza una notevole espansione degli investimenti cinesi all’estero, prestando il fianco a facili populismi (in termini di raccolta di consenso elettorale) di destra e di sinistra.

Se la conoscenza è un’arma contro il pregiudizio, e di comprensione delle ragioni dell’altro, il libro di Valentina Pedone acquista il significato di contributo allo sviluppo di un’etica dell’integrazione, tanto più necessaria in una democrazia globalizzata e quindi multietnica (con questo spirito, OrizzonteCina ha già introdotto una rubrica eloquentemente dedicata ai “CinesItaliani”, a cura di Daniele Brigadoi Cologna). Docente di lingua e letteratura cinese all’Università di Firenze, l’autrice raccoglie in A Journey to the West studi e ricerche condotti con esperienza diretta sul campo tra il 2003 e il 2013, divisi in sei agili capitoli, che da soli potrebbero rappresentare l’inizio di altrettanti approfondimenti di analisi.

Nel testo, le considerazioni più di carattere generale sull’esperienza dei cinesi in Italia precedono studi sulla percezione dell’Italia tra i residenti cinesi e sulle attività commerciali dei cinesi di Roma. Negli anni Novanta, infatti, si sviluppò nella zona della capitale attorno a piazza Vittorio un interessante fenomeno di smistamento delle merci importate dalla Repubblica popolare, che fece del quartiere un vero e proprio hub commerciale per l’intera Europa (divertente è l’intervista in cui un imprenditore cinese rivela come la scoperta della verginità del mercato greco permise ad alcuni pionieri di fare affari d’oro fino al 2005-2006). Quando nel 2002, durante il mandato al Ministero dell’Economia di Giulio Tremonti (mai tenero nei confronti della potenza mercantile cinese), le procedure burocratiche di sdoganamento vennero irrigidite, il numero dei container che entravano giornalmente in territorio italiano attraverso il porto di Napoli scese immediatamente da 150 a 40 (p. 27). Fu così che le merci presero la via dei porti spagnoli o tedeschi, per essere poi importate in Italia: un altro esempio di come sia difficile essere efficacemente protezionisti di fronte alle pressioni globalizzanti, e di come anzi tentativi goffi di mascherare le proprie inefficienze finiscano solamente per generare per la collettività costi aggiuntivi, privandosi dei potenziali benefici. Non sorprende quindi che le percezioni positive dei cinesi verso il Paese che li ospita siano abbastanza stereotipate (il cibo, la qualità dell’aria, i servizi sanitari), mentre quelle negative (la burocrazia, la politica, il degrado urbano), benché più discutibili, riflettano la sensazione generale di molti italiani di stare perdendo terreno nella corsa al XXI secolo.

Molte incomprensioni, all’interno del dibattito sulle migrazioni, si generano perché si identifica l’integrazione con l’assimilazione. Pare quindi opportuno, come fa l’autrice, iniziare a discutere di “identity negotiation”, ricordando che le identità sono plurime, e ricondurle a unità è un esercizio di semplificazione assai pericoloso e foriero di sventura (come insegna Amartya Sen nel suo libro di qualche anno fa, Identità e violenza). Per trattare questo argomento Valentina Pedone osserva due campioni di adolescenti, in una scuola media romana e in un campo estivo dell’Università di Wenzhou destinato ai giovani cinesi residenti all’estero, scoprendo che questi ultimi “sono più consapevoli dei vantaggi che la loro eredità culturale potrebbe fornire loro” (p. 80). Una “definizione orgogliosa” di una identità plurale delle nuove generazioni è vista come un interessante sviluppo verso il contributo fattivo alla ridefinizione della società italiana, anch’essa in evoluzione, che però dipenderà “da quanto velocemente la società italiana si aprirà a questi giovani e se ai ragazzi più svantaggiati sarà data una possibilità di prendere parte a questo processo di auto-realizzazione” (ibidem). Una simile tendenza si riscontra anche nell’uso dei registri linguistici, con il dialetto di Wenzhou e dintorni sempre più affiancato dall’italiano e dal putonghua, in un evidente sforzo di comunicare anche all’esterno dello spazio limitato condiviso invece dalla prima generazione di migranti (se solo sapessimo ascoltare).

Conclude il testo un approfondimento sulla letteratura sino-italiana, che rappresenta un fenomeno in crescita – in verità, una bella sorpresa “se il pubblico italiano, e coloro che ne guidano i gusti e le spese, saranno aperti a queste opere, come è successo in altri Paesi europei con una storia simile di migrazione cinese” (p. 114). Ascoltare e sostenere le voci letterarie degli autori cinesi in Italia potrebbe diventare davvero un’operazione culturale di alto valore civico, al riparo del chiasso televisivo e degli slogan consolatori perché superficiali dei titoli dei giornali. In questo senso, quindi, il libro di Valentina Pedone indica anche direttrici per percorsi di ricerca futura, che dalla pluridisciplinarietà trae linfa per dare conto di un fenomeno assai sfaccettato, non pienamente comprensibile se visto solamente attraverso le lenti dei modelli economici, sui quali i media basano spesso le loro semplificazioni.

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