[RECENSIONE] Revolusi. L’Indonesia e la nascita del mondo moderno

David Van Reybrouck

Revolusi. L’Indonesia e la nascita del mondo moderno

Milano, Feltrinelli 2023.

Revolusi 

Nel 2014 Feltrinelli pubblica l’edizione italiana di Congo, libro in cui il giornalista e scrittore belga David Van Reybrouck racconta, anche attraverso ricerche sul campo, la storia del grande Paese africano – una storia di oppressione, prepotenza coloniale e neocoloniale, sfruttamento. Congo diventa un best seller, e in Italia vince il premio Terzani, il premio Kapuściński, e il premio Roma. Sulla scia di questo straordinario successo, l’autore (e l’editore) con Revolusi propongono ora la stessa formula sull’Indonesia, vista attraverso la lente del dominio coloniale e della lotta per la libertà e l’indipendenza.

Malgrado il racconto prenda l’avvio dagli albori della presenza olandese nell’immenso arcipelago che si estende da Sumatra e Giava fino a Papua, al periodo dal 1605 al 1914 è dedicato soltanto il primo capitolo (trenta pagine su più di seicento di testo complessivo), e Revolusi è in realtà una storia dei quarant’anni (dal 1914 al 1955) che fecero di questo gruppo di migliaia di isole la nazione che oggi conosciamo.

Fin dalle prime pagine, l’autore non fa sconti al peccato originale del colonialismo europeo: estrarre e importare risorse primarie (all’inizio, principalmente spezie) dai possedimenti delle Indie orientali era ciò che muoveva gli olandesi ad affrontare mesi di pericolosa navigazione, occupare le terre di altri (che allora secondo il diritto internazionale erano considerate terrae nullius), sottomettere le genti locali al proprio governo (beninteso, accompagnato da un robusto dispiegamento di forze armate e di polizia). Poiché nel 2019, secondo un sondaggio, il 50% degli intervistati olandesi ha dichiarato di ricordare con orgoglio il proprio impero, e il 26% “ha manifestato il desiderio di avere ancora un impero d’oltremare” (p. 19), secondo Van Reybrouck è giunto il momento di raccontare per filo e per segno la tragedia del colonialismo, i suoi costi umani, sociali e culturali che hanno consegnato all’Indonesia una pesante eredità. Frutto di quasi sei anni di ricerca, condotta tra studio delle fonti secondarie e interviste sul campo anche ai sopravvissuti di questa storia terribile, Revolusi è un esercizio del fare memoria in grado di contribuire anche alla formazione di una cittadinanza critica pronta a riflettere sul proprio passato per capire il presente dei Paesi un tempo raggruppati sotto l’etichetta “Terzo Mondo” e oggi chiamati “del Sud globale”. Mettersi nei panni degli altri – un esercizio molto caro allo scrittore e giornalista Tiziano Terzani, appunto – serve a comprendere meglio il mondo: sono convinto, ad esempio, che la prima cosa che venga in mente a un indiano quando pensa al Regno Unito non sia la Magna Charta, bensì il massacro di Amristar, quando per reprimere una manifestazione pacifica l’esercito britannico sparò sulla folla, uccidendo 379 persone e ferendone circa 1200.

Per spiegare le dinamiche di potere nella società coloniale, l’autore ricorre spesso alla metafora del traghetto coloniale, con tre ponti: il ponte n. 1, formato dalla classe dirigente bianca, il ponte n. 2, costituito dagli indoeuropei e dai nativi pronti a riconoscere un certo valore alla cultura politica e amministrativa di matrice europea, e perciò a collaborare con il dominio olandese, magari a fasi alterne e non sempre nutrendo gli stessi obiettivi, e il ponte n. 3, occupato dalle masse derelitte, a cui veniva data la sola possibilità della lealtà per la sopravvivenza fisica. Secondo Van Reybrouck la storia dell’Indonesia della prima parte del Ventesimo secolo è racchiusa in una semplice immagine: mentre gli occupanti del ponte 1 cercano di mantenere lo status quo, chi siede sul ponte 2 e sul ponte 3 agisce dinamicamente, non sempre all’unisono e senza confronti e lotte intestine, per prendere possesso del ponte 1.

Revolusi è un libro che gronda sangue, rendendolo inadatto a una lettura prima di coricarsi: il sangue dei soldati e delle milizie di ogni parte e colore, olandesi, indonesiani, inglesi, giapponesi; il sangue dei civili massacrati per il gusto della vendetta, per fare un dispetto o come manifestazione gratuita di inumana crudeltà – alcuni sopravvissuti ancora si commuovono davanti all’autore, raccontando l’indicibile impresso nelle loro menti. Gli anni dal 1945 (quando venne proclamata formalmente l’indipendenza) al 1949 (quando l’indipendenza divenne effettiva) furono forse i più sanguinari, caratterizzati dalla violenza diffusa e da un ostinato tentativo della leadership olandese di mantenere una qualche forma di controllo (e, se possibile, lo stesso controllo degli anni d’oro del colonialismo europeo in altra camaleontica veste). E per questi orrori, ricorda l’autore, mai nessuno ha pagato e soltanto negli ultimi anni l’Olanda ha riconosciuto alcuni risarcimenti la cui esiguità, invece di restituire giustizia, rappresenta un ulteriore affronto alle vittime.

Il volume si conclude con la conferenza di Bandung del 1955, quando Sukarno, eroe dell’indipendenza e primo presidente dell’Indonesia, chiama a raccolta alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia già indipendenti o sulla soglia dell’indipendenza, per dare vita a quel mondo nuovo, anti-coloniale e anti-occidentale, che avrebbe presto dovuto fare i conti con le necessità strategiche dell’egemone statunitense, infrangendosi sulle sponde della Guerra fredda in Asia.

Revolusi è un libro monumentale, e la sua missione encomiabile. Digerire tutte le sue pagine, ciascuna di 45 righe, è però una vera impresa. Non che il libro non sia scritto bene, tutt’altro: il testo è un fiume in piena che scorre fluido e imperioso. Solamente sorge la domanda a quale genere di lettori sia destinato. Per gli storici accademici potrebbe essere troppo poco: il contributo veramente originale che rende onore all’autore – le tante interviste che formano il corpus di storia orale – si perde nella mole di fatti, eventi, personaggi, già noti e raccontati altrove. Al contrario, per il lettore generalista – specialmente in un paese come l’Italia, in cui i principali quotidiani hanno dedicato pochissimo spazio alle elezioni presidenziali del 2024 –, che percepisce l’Indonesia ancora come terra esotica e lontana, il libro potrebbe essere semplicemente troppo: la cornice opulenta rischia di offuscare il quadro, e di lasciare indifferente (o addirittura respingere) tanto il collezionista di quadri quanto l’appassionato di cornici.

Peccato, perché una ricerca di tale spessore dovrebbe meritare di raggiungere un pubblico il più ampio possibile e una scelta più decisa sul taglio dell’opera credo avrebbe contribuito a ottenerne maggiore diffusione. Ovviamente, per i lettori che comunque portano a termine l’impresa giungendo all’ultima riga, rimane la ricompensa di un arricchimento culturale e civico destinato a depositarsi nella memoria individuale.

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