Il 10 gennaio la visibilità inferiore ai 200 metri, dovuta allo smog, ha causato all’aeroporto di Pechino la cancellazione di 34 voli e il ritardo di 98. Già a fine novembre, in un solo giorno, più di 200 voli erano stati cancellati, e più di 125 ritardati per lo stesso motivo. Negli stessi giorni, la nebbia da smog rallentava il traffico automobilistico su strade e autostrade attorno alla capitale. L’inquinamento si fa notizia globale solo quando pone un limite alla mobilità, il vero totem della globalizzazione. Poco importa se a causa della scarsa qualità dell’aria muoiono ogni anno in Cina dalle 300.000 alle 700.000 persone, a seconda delle statistiche: sono morti che non fanno rumore, anche se uno studio del 2007 della Banca mondiale (realizzato in partnership con il governo cinese) mostra come l’inquinamento dell’aria e dell’acqua costi ogni anno all’economia cinese tra il 3,5 e l’8% del Pil . Negli ultimi cinque anni il numero di decessi per cancro al polmone è aumentato del 18,5%, raggiungendo il livello di 34 casi ogni 100,000 persone. Già una ricerca del 1994, peraltro, dimostrava come l’accresciuto tasso di mortalità a Pechino fosse diretta conseguenza dell’inquinamento ambientale.
Immediatamente, si è accesa la polemica sul sistema di monitoraggio della qualità dell’aria, e sull’informazione ad esso correlata. Mentre in quei giorni il governo cinese dichiarava l’aria “leggermente inquinata”, l’ambasciata statunitense a Pechino riportava i dati della sua stazione di rilevamento sul suo Twitter @BeijingAir e il verdetto era molto chiaro: aria insalubre. In una scala da 1 a 500, l’inquinamento era misurato a 400 mentre, secondo l’ambasciatore Gary Locke, citato dalla CNN, il valore accettabile secondo gli standard americani è di 35.
Questa discrepanza non dipende solo da manipolazioni o imprecisioni dei dati, ma anche dal fatto che i sistemi dell’ambasciata rilevano la presenza delle polveri sottili di diametro uguale o superiore a 2.5 micron (PM 2,5) (molto piccole e pericolose, perché si depositano nei polmoni), a differenza della rilevazione cinese ufficiale, che misura solo le polveri PM 10. La pressione nazionale (ad opera anche di blog e siti internet quali The Green Leap Forward) e internazionale ha però costretto il governo municipale di Pechino a rendere noti i dati relativi alle PM 2,5. Non sorprende peraltro che i primi dati ufficiali evidenzino una diminuzione delle PM 2,5 nell’ultimo decennio, anche se il livello (da 70 a 80 microgrammi per metro cubo) è pari a più del doppio della soglia pianificata dal Ministero della protezione ambientale. In ogni caso, in alcuni giorni si registrano ormai fino a 300 microgrammi per metro cubo.
Come annunciato dal sindaco di Pechino, Guo Jinlong, verranno aggiunte nuove stazioni di monitoraggio, verrà ridotto del 2% in media l’uso degli inquinanti più nocivi nei cantieri edilizi, saranno rottamate almeno 150.000 vecchie auto, e sarà incentivata la sostituzione dei sistemi di riscaldamento a carbone con sistemi a energia più pulita. Per raggiungere questi obiettivi, il governo della municipalità ha stanziato 2,1 miliardi di yuan. Chen Gang, il vicesindaco della città, ha promesso che, a partire da marzo, verranno piantati, tra il quinto e il sesto anello di circonvallazione, nuovi alberi su un’area totale che, a compimento del progetto nel 2014, sarà pari a un milione di mu (66.667 ettari).
Persino un imprenditore immobiliare di Hong Kong come Lee Yuk Lun, delegato al comitato di Pechino della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, citato dal China Daily, ha dichiarato che i 5 milioni di autovetture sulle strade di Pechino sono responsabili del 50% dell’emissione delle polveri sottili, e ha promesso di regalare 7.000 biciclette a tutte le università della capitale.
Anche se il Ministero della protezione ambientale ha rivelato che entro il 2016 sarà creato un nuovo indice di misurazione che includerà le PM 2,5 e la densità di ozono, Hao Jiming, direttore dell’Istituto di scienze ambientali e di ingegneria della Tsinghua University, citato dallo stesso sito del ministero, stima che ci vorranno almeno 10 anni perché Pechino rientri nei nuovi standard nazionali basati appunto sul nuovo criterio di valutazione. Il sito cita anche Wu Dui, ricercatore dell’istituto climatico oceanico tropicale della China Meteorogical Administration, secondo cui, quando le statistiche daranno conto dell’inquinamento atmosferico, aumenterà la pressione dell’opinione pubblica sui governi locali, che saranno pertanto valutati anche in base a obiettivi ambientali ben specifici.
L’idea non è assolutamente né nuova né provocatoria. E non sarà facile realizzarla. Già nel 2004 l’Ufficio nazionale di statistica e il progenitore del Ministero per la protezione ambientale elaborarono un indice di “PIL verde” come progetto pilota per le provincie dello Jilin, del Shaanxi, del Guangdong, dello Shanxi, a Pechino e a Shanghai. Il progetto, che avrebbe dovuto sottrarre dal Pil i costi dell’inquinamento, fu abbandonato nel 2007, proprio per le difficoltà incontrate nella misurazione dei danni ambientali e per le resistenze politiche locali.
Pertanto, anche se il nuovo piano quinquennale torna a sottolineare la necessità di porre rimedio ai guasti ambientali, non è affatto detto che si riuscirà a passare dalle parole ai fatti. Una cosa è certa: se un magnate di Hong Kong propone a un consesso comunista di tornare alle biciclette – antiche icone di Pechino – perché è sempre più difficile spostarsi in auto o in aereo, qualcosa negli ultimi anni non è andato per il verso giusto.
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