Negli ultimi mesi gli osservatori si sono chiesti a più riprese che cosa la nuova dirigenza cinese abbia davvero in mente. Le linee perseguite sin qui sembrano infatti contraddirsi l’una con l’altra. Da un lato i leader dichiarano che il potere deve essere imbrigliato in una gabbia di pesi e contrappesi, che i quadri comunisti devono ascoltare con la massima attenzione le critiche provenienti dal popolo e che il futuro della Cina dipende dalla prosecuzione delle riforme – dichiarazioni che farebbero pensare che i nuovi leader siano dei riformatori anche in campo politico. Dall’altro lato, la nuova dirigenza sostiene anche che i docenti universitari debbano astenersi dal parlare dei valori liberali e degli errori del Partito comunista cinese (Pcc), mentre cerca di rafforzare potere e autorità di quest’ultimo (in particolare attorno alla persona di Xi Jinping) e conduce una pervasiva campagna anticorruzione secondo i più tradizionali stilemi della retorica comunista (sito in cinese). Ci si chiede quindi se l’apertura manifestata a parole altro non sia che una nuova “cospirazione aperta” (yangmou, 阳谋), in linea con una consolidata tradizione nella storia del Partito.
Una chiave di lettura per comprendere le politiche della nuova classe dirigente la offre la raccomandazione di Wang Qishan di rileggere L’antico regime e la rivoluzione di Alexis de Tocqueville. Esperto di questioni economiche, alleato di Xi Jinping, Wang è oggi a capo della Commissione centrale per l’Ispezione e la disciplina del Pcc e in tale veste coordina l’attuale campagna anti-corruzione. Secondo un resoconto di stampa, a fine 2012 Wang avrebbe pronunciato (sito in cinese) davanti a un pubblico di studiosi le seguenti parole: “Molti dei nostri studiosi leggono opere post-capitaliste, ma dovremmo leggere qualcosa di precedente. Spero che leggerete «L’antico regime e la rivoluzione». E così chiosava il resoconto: «L’antico regime e la rivoluzione» è un’opera dello storico francese Tocqueville e tratta della rivoluzione francese. Il sistema feudale crollò a causa della corruzione e della perdita di sostegno da parte della popolazione, ma il disordine sociale non portò ai rivoluzionari quello che si erano immaginati. Governanti e popolazione furono invece avviluppati dalle fiamme di una reciproca collera”.
Ma questa non è l’unica prova che la dirigenza cinese sia interessata all’opera di Tocqueville. Già in precedenza, nel febbraio del 2012, l’economista Hua Sheng aveva scritto sul proprio account weibo queste parole: “Sono stato a Zhongnanhai per incontrare il mio ex capo e mi è stato suggerito di leggere un libro – Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione. È convinto che un paese grande e importante come la Cina non sperimenterà una transizione lineare verso la modernità, che la si consideri da un punto di vista storico o dal punto di vista dell’ambiente esterno. Per i cinesi, il conto non è ancora saldato. Gli ultimi anni sono stati tranquilli, ma i rovesci potrebbero essere inevitabili in futuro”. Nel 2013 i media cinesi si sono ripetutamente occupati (sito in cinese) di Tocqueville e delle sue opere. Le case editrici hanno persino pubblicato estratti (sito in cinese) da L’antico regime e le rivoluzione a uso dei funzionari, mentre nuove edizioni (sito in cinese) dell’opera completa si sono susseguite nel corso dell’anno. Tutto ciò sembra dimostrare come l’opera di Tocqueville susciti interesse nella nuova dirigenza.
Tre elementi di questa sorta di “ideologia à la Tocqueville” possono contribuire a gettare luce sulle politiche della nuova dirigenza. Il primo è che la rivoluzione francese ebbe luogo quando la Francia si trovava all’apice della propria parabola storica. Questo dato suggerisce alla dirigenza cinese che – nonostante la Cina abbia conseguito nell’ultimo decennio grandi successi e attraversi oggi la fase migliore della sua storia recente – i rischi di una rivoluzione sono sempre in agguato e ciò impone di ripensare le politiche tradizionali. Il secondo elemento è che, sebbene nella Francia di fine Settecento fosse in atto un tentativo riformatore, l’opposizione della vecchia aristocrazia innescò aspirazioni alla rivolta all’interno di una classe media in ascesa e sempre più consapevole dei propri diritti. Da qui deriva la campagna anti-corruzione sostenuta con forza dalla nuova dirigenza cinese, così come l’intensificarsi degli sforzi per fare avanzare la liberalizzazione economica. Il terzo elemento è la disparità nella distribuzione della ricchezza, da cui scaturì in Francia una rivoluzione spietata che non solo rovesciò un intero sistema di governo, ma degenerò poi in un massacro dei vecchi rivoluzionari da parte dei nuovi. Ciò influenza l’atteggiamento della nuova dirigenza verso i leader dei movimenti di protesta, come Xu Zhiyong, e spiega gli sforzi per il mantenimento dell’autorità del governo centrale (e di Xi Jinping in particolare) nei settori dell’ideologia e della sicurezza nazionale.
Alla luce di questi elementi, la linea perseguita dai nuovi leader cinesi sembra avere una sua coerenza. Né è detto che sfoci in una nuova tirannia, poiché l’obiettivo della nuova dirigenza non è il potere fine a se stesso, ma l’abbattimento della “vecchia aristocrazia” attraverso la campagna anti-corruzione e i programmi i liberalizzazione economica. La feroce resistenza della “vecchia aristocrazia” e il rischio di una rivoluzione innescata dalla povertà o dalla percezione di una fetta crescente della popolazione di essere priva di opportunità spingono i nuovi leader a porsi come obiettivo prioritario il rafforzamento dell’autorità. Il calcolo è che, grazie alla liberalizzazione economica, possa affermarsi un’economia più diversificata ed equilibrata, su cui costruire una sana democrazia.
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