L’equilibrismo di Singapore in un ordine mondiale complesso

Il piccolo Stato nazionale del Sud-Est asiatico di Singapore, come molti dei suoi vicini, si trova ad affrontare un mondo sempre più complesso, complicato e contestato. Mi astengo dal definirlo un “nuovo ordine mondiale” perché l’ordine mondiale, o la sua mancanza, è qualcosa che si evolve costantemente e apparentemente a un ritmo sempre più veloce. L’impatto su un piccolo Paese come Singapore, privo di risorse naturali e con un’economia aperta e altamente connessa, non può essere sopravvalutato. Se si guarda allo stato attuale della geopolitica, è evidente come il mondo intero si trovi ad affrontare circostanze ed eventi di giorno in giorno più complessi.

Un mondo complesso

Quasi impensabile fino a qualche anno fa, oggi si stanno combattendo due guerre in due teatri distinti, con diversi attori e motivazioni. Ciò che è chiaro sia nella guerra in Europa sia in quella a Gaza è che non sembra esserci una soluzione immediata in nessuno dei due casi e che la perdita di vite umane è inutile, tragica e dovrebbe cessare immediatamente. Questo si sta rivelando è più facile a dirsi che a farsi.

L’impatto di questi conflitti sulle catene di approvvigionamento, sul prezzo delle materie prime e di altre risorse essenziali, nonché sui prezzi e sull’inflazione percepiti dai singoli individui, si è già fatto sentire in tutto il mondo, rendendo le prospettive per l’economia globale di quest’anno nebulose nel migliore dei casi e desolanti nel peggiore.

Spostandoci dagli orrori delle guerre in Europa e in Medio Oriente, ci viene ricordata la minaccia sempre presente del cambiamento climatico che, a seconda dell’esperto che si ascolta, è più o meno vicino al punto di non ritorno o lo ha già superato. Si parla anche della potenziale minaccia delle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la sicurezza informatica e le questioni sociali e digitali per l’ordine globale, le democrazie, la fiducia e la credibilità delle società.

A tutto ciò si contrappone il 2024 definito come “l’anno delle elezioni”, e forse a ragione. A livello globale, un numero di elettori mai così alto nella storia si recherà alle urne: almeno 64 Paesi, oltre all’Unione Europea, terranno elezioni nazionali i cui risultati, per molti di questi, saranno determinanti per gli anni a venire. Si tratta di una popolazione complessiva di circa il 49% degli abitanti mondiali. Anche Singapore potrebbe essere incluso o meno in questo elenco, ma di questo parleremo più avanti.

Con la leadership politica di così tante nazioni e regioni che si trovano ad affrontare potenziali cambiamenti e, in alcuni casi, sconvolgimenti, credo sia lecito affermare che i restanti mesi del 2024 saranno probabilmente ancora più complessi. Questa crescente complessità delle minacce e dell’ambiente globale si presta naturalmente a una maggiore confusione a diversi livelli, dai governi alle imprese e, naturalmente, ai singoli cittadini.

Il disordine come nuova normalità

Anticipare la prossima probabile crisi o tendenze è diventato un esercizio estremamente difficile negli ultimi anni, come ci hanno dimostrato gli eventi “cigno nero” quali la pandemia da COVID-19.

Di rilevanza e interesse per noi in Asia è il potenziale aumento delle tensioni tra le principali potenze come gli Stati Uniti (USA) e la Cina. Lo spettro di un conflitto nel Mar Cinese Meridionale o nello stretto di Taiwan può far sembrare un lontano ricordo le prospettive un tempo rosee per l’Asia.

Sebbene le relazioni tra Washington e Pechino si siano in qualche modo distese negli ultimi mesi, la possibilità di nuove tensioni rimane e aumenta ogni volta che la Cina decide di mostrare i muscoli nella regione, come nel Mar Cinese Meridionale, dove ci sono altri pretendenti o parti in causa in molteplici dispute territoriali. In questa parte di mondo, il rischio di un incidente che porti a un’aggressione di rappresaglia non è mai lontano dai pensieri dei Paesi dell’area.

Per quanto riguarda Taiwan, gli esperti hanno affermato che non è irragionevole pensare che il presidente cinese Xi Jinping voglia riappropriarsi del territorio entro il 2027, centenario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione. Ciò che è meno chiaro, tuttavia, è la forma che tale azione potrebbe assumere.

Se la “riunificazione pacifica”, che Pechino ha propagandato come uno dei modi per risolvere la questione, non si concretizzerà nel medio termine, un’aggressione militare diretta potrebbe essere un’opzione, ma questa è destinata a provocare una forte reazione da parte degli alleati di Taiwan, non ultimi gli USA. Ma Xi ha altre opzioni, tra cui un lento strangolamento di Taiwan attraverso il controllo delle rotte commerciali e delle catene di approvvigionamento per piegare il territorio alle proprie volontà. Tuttavia, quando si tratta di queste grandi questioni, nulla è certo e ciò crea ancora più confusione per i decisori e i responsabili politici che guardano a questa parte di mondo.

Su scala molto più ridotta, anche le questioni nel Sud-Est asiatico possono contribuire a questa mancanza di chiarezza. Il blocco dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Association of South-East Asian Nations, ASEAN) continua a confrontarsi con la situazione in Myanmar, mentre l’instabilità politica è una caratteristica costante in diversi Paesi della regione. Singapore è spesso considerata uno dei membri più tranquilli e stabili dell’ASEAN. Questo significa in genere una politica relativamente noiosa, unita a politiche e traiettorie di crescita prevedibili.

Ma entro la fine del 2025, il Paese vivrà la sua terza transizione di leadership dall’indipendenza. Non è ancora chiaro se le prossime elezioni generali si terranno nel 2024 o nel 2025, ma il primo ministro uscente Lee Hsien Loong ha passato la mano al suo vice, Lawrence Wong, il 15 maggio scorso. Questo segna l’inizio della transizione verso la prossima generazione di leadership politica dello Stato nazionale, comunemente chiamata “4G” (“quarta generazione”).

Come previsto, l’attenzione sarà rivolta sulla composizione del gruppo dirigente e sul modo in cui verrà accolto dall’elettorato. Mentre i venti politici si spostano in questo giovane Paese, ci sono segnali che indicano che gli elettori più giovani sono desiderosi di vedere una maggiore diversità in Parlamento in termini di partiti politici e che i politici stanno diventando più esperti in termini di effettiva definizione delle politiche, un aspetto che raramente ha avuto un ruolo di primo piano nella politica nazionale in passato.

Quando si tratta di elezioni, la minaccia di interferenze straniere e l’uso di armi come la disinformazione, più comunemente nota come fake news, creano un ambiente caotico e confuso che deve essere affrontato con un approccio che coinvolga l’intera società e che comprenda la legislazione, l’eistruzione pubblica e altre leve diplomatiche e di sicurezza.

Il metodo Singapore

Essendo una piccola nazione con un’economia aperta, Singapore è spesso un price-taker quando si tratta di sviluppi globali. Per questo motivo è importante che il Paese faccia sentire la propria voce nelle sedi internazionali e che le sue posizioni siano chiaramente espresse. Questo ha spesso portato a chiedersi perché il governo sia spesso rigido su questioni come il diritto internazionale, la libertà di navigazione e il rispetto della sovranità, tra le altre. Quando ha scelto di esprimersi con forza quando la Russia ha invaso l’Ucraina, sia nel 2014 con l’annessione della Crimea, sia quando Putin ha lanciato la sua cosiddetta “operazione militare speciale” due anni fa, e quando siamo diventati l’unica nazione del Sud-Est asiatico a sanzionare la Russia dopo l’invasione, è stato osservato che forse le piccole nazioni dovrebbero pensare a comportarsi come tali.

Ma questo non è il metodo di Singapore. I leader di Singapore hanno spesso affermato che il Paese cercherà di stringere amicizia con il maggior numero possibile di partner e portatori di interesse in tutto il mondo. Alla domanda se sia favorevole agli USA, alla Cina o a qualsiasi altra grande Potenza, la risposta è sempre stata che Singapore è favorevole a Singapore e agirà di conseguenza. Questo non lo rende sempre popolare, ma è un dato di fatto e lo è sempre stato.

Oltre la retorica, sono state le azioni del governo a confermarlo. Di recente, nel bilancio di quest’anno, il ministero della Difesa ha annunciato l’acquisto di altri otto caccia F-35 dagli USA, portando la futura flotta a venti unità. Secondo il ministro della Difesa, Dr Ng Eng Hen, questo porterà l’aeronautica di Singapore nella “Serie A” delle forze aeree di tutto il mondo.

Sebbene questa decisione possa sembrare una valutazione delle capacità interne, ha anche implicazioni sul modo in cui il Paese viene percepito nella regione e oltre. La capacità di proiettare la nostra potenza militare su distanze più lunghe, attraverso aerei da combattimento avanzati e altre capacità come i sottomarini, non passerà inosservata ai nostri vicini.

Allo stesso tempo, l’acquisizione di tecnologie come l’F-35 ha implicazioni più ampie rispetto al semplice possesso delle armi più recenti e avanzate. L’F-35 ha la capacità di operare come un “caccia in rete”. In un contesto localizzato, ciò significa la capacità di integrarsi con altre forze sulla terra, in mare e nell’aria. Ma ha anche la tanto decantata capacità di combattere al fianco di altri F-35 operanti in altri Paesi.

Il ministro Ng Eng Hen ha affermato nel suo discorso durante il dibattito sul bilancio che forze armate forti sono un deterrente contro ciò che lui chiama “aggressione e avventurismo”. Sebbene ciò possa causare preoccupazione in altre parti della regione, è l’approccio standard del Paese a tutti i livelli: fare ciò che è meglio per gli interessi di Singapore prima di cercare di mantenere relazioni cordiali e amichevoli ove possibile.


Traduzione dall’inglese a cura di Michele Farina

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