A Pechino, se si possiede uno smartphone, è possibile consultare le bozze delle politiche proposte dall’amministrazione locale, porre domande a riguardo e dare un feedback, nello stesso modo in cui si modifica una pagina di Wikipedia: basta scaricare un’app (“I love Beijing My City Government Wiki”). Se si ha bisogno di una consulenza legale gratuita, si può cercare un professionista che opera pro bono tramite l’app della Beijing Community Service Hotline 96156. Chi vive nell’area di Tuanjiehu può usare Wechat o Weibo (rispettivamente un’app di messaggistica istantanea e di microblogging) per segnalare all’amministrazione locale buche nella strada, lampioni rotti o per chiedere l’intervento delle autorità nel caso di una lite tra vicini che si fa un po’ troppo chiassosa. Allo stesso modo, tramite apposite piattaforme online, è possibile ottenere la trascrizione di atti matrimoniali o fare richiesta per ricevere il proprio documento d’identità[1]. Si tratta di iniziative pensate per rendere più semplice la vita degli abitanti delle megalopoli cinesi, e Pechino non è un caso isolato: sfruttando le nuove tecnologie, l’amministrazione locale spera di rendere la città smart e, in questo modo, efficiente.
Oggi poco più della metà dei cinesi vive nelle città; nonostante l’attuale tasso d’urbanizzazione del 56% sia ancora relativamente contenuto – si pensi all’81% degli Usa[2] – i processi di urbanizzazione e inurbamento iniziati a metà degli anni ’80 che hanno contribuito alla radicale trasformazione del paese nell’arco di soli tre decenni non si sono ancora arrestati, e le stime prevedono che si arriverà al 76% nel 2050[3]. Un fenomeno di tale portata rappresenta per Pechino una grande opportunità e un’enorme sfida al tempo stesso. I grandi conglomerati urbani, in particolar modo quelli costieri, sono stati per decenni il fulcro del miracolo economico; tuttavia, la mancata gestione e regolamentazione della loro crescita rischia oggi di minare la stabilità sociale, priorità nell’agenda del governo. In una prospettiva di lungo periodo, il modello di urbanizzazione seguito sinora non appare sostenibile, né in grado di continuare il suo ruolo di incubatore della crescita economica – fornire energia a un numero così grande e concentrato di persone è sempre più difficile, specialmente in un paese dove le risorse sono limitate e mal distribuite geograficamente. Nel 2010 la Cina ha superato gli Stati Uniti come principale consumatore di combustibili fossili, e il carbone, il più inquinante tra questi, copre tuttora la maggior parte del fabbisogno energetico, con pesanti conseguenze sull’inquinamento atmosferico. Lo smaltimento dei rifiuti, l’aumento del numero delle vetture private e la difficoltà di accesso ai servizi, soprattutto per i lavoratori migranti sprovvisti di regolare permesso di residenza (hukou, 户口), sono questioni che necessitano soluzioni concrete. È proprio in questo contesto che, negli ultimi anni, nei documenti governativi e nei report di aziende private e istituti di ricerca si è cominciato a parlare di smart cities come soluzione alla cattiva gestione e alla carente pianificazione della crescita urbana.
Nonostante il termine sia in uso già da diverso tempo, è ancora difficile dare una definizione univoca e precisa di smart city: in linea di massima, però, si considera smart la città che sfrutta le tecnologie di ultima generazione per migliorare la gestione urbana, contribuendo anche alla semplificazione della vita dei cittadini. Secondo il governo cinese, si tratta di un “nuovo concetto e modello di città”[4], dove tecnologie di ultima generazione come l’internet delle cose (internet of things – IoT), il cloud e i big data vengono utilizzati per pianificare, promuovere e implementare nuovi servizi per le città. Richiami alla necessità di promuovere lo sviluppo di tecnologie per le smart city sono apparsi già all’interno del dodicesimo piano quinquennale, che ha guidato lo sviluppo del Paese fino al 2015; diverse anche le iniziative a livello ministeriale, come ad esempio la China Strategic Alliance of Smart City Industrial Technology Innovation creata nel 2012 dal Ministero della Scienza e della Tecnologia; la China Smart City Industry Alliance del Ministero dell’Industria e dell’Informazione tecnologica; la Smart City Development Alliance nata per mano della Commissione nazionale per le Riforme e lo sviluppo. La vera spinta propulsiva per la diffusione dei progetti smart city, tuttavia, è stata data dal Ministero dello Sviluppo urbano e rurale, che nel 2013 ha creato un fondo da 100 miliardi di yuan (circa 12 miliardi di euro) da destinare a 193 progetti pilota. Alla fine dello stesso anno, 311 città cinesi avevano avviato progetti simili[5]. Il boom di investimenti, la rapida innovazione delle tecnologie e la crescita della domanda interna hanno creato un mercato ricco di opportunità per investitori cinesi e stranieri, ma anche caotico. Il rischio è che vengano avviati sempre più progetti, in maniera disomogenea, senza la stesura un piano urbano strategico comprensivo, il quale risulta peraltro estremamente difficile formulare a causa della rilevanza che assumono le peculiarità geografiche e culturali del territorio in questo tipo di iniziative.
Naturalmente esiste anche il proverbiale rovescio della medaglia. I sistemi integrati utilizzati dalle smart city sono in grado di raccogliere un’enorme quantità di dati sui singoli cittadini, con notevoli rischi per la privacy e la protezione dei dati sensibili. Inoltre, una città che utilizza l’information technology in maniera così pervasiva è vulnerabile ai cyber-attacchi. Come sottolineato da Cesar Cerrudo, capo dell’ufficio tecnologico presso l’IOActive lab, in un’intervista al The Guardian, “la maggior parte delle città ha dei piani in caso di terremoti o inondazioni, ma quante li hanno in caso di cyber-attacchi?”[6]. I rischi connessi alla gestione dei dati sensibili rendono dunque Pechino riluttante a concedere appalti a società straniere in settori considerati strategici, come le mappature digitali.
Nonostante ciò, per gli investitori stranieri le smart cities cinesi rappresentano ancora un’enorme opportunità. L’Unione europea, leader mondiale nella green diplomacy, sembra intenzionata a cogliere questa occasione: nel 2012 Cina e UE hanno siglato una partnership nell’ambito del programma europeo Horizon 2020 con l’obiettivo di promuovere la cooperazione sull’urbanizzazione sostenibile. Nonostante il contesto urbano differente, con l’Unione europea che registra un tasso d’urbanizzazione pari al 73% e bassi livelli di concentrazione urbana, i policymaker hanno individuato ampi spazi di potenziale cooperazione in diversi ambiti, come la tutela dell’ambiente, la connettività, un maggior coinvolgimento dei cittadini, e la trasparenza[7]. Anche se distribuiti eterogeneamente, ad oggi, ogni stato membro dell’Unione ospita progetti di smart city all’interno delle sue città, con Spagna, Italia, e Regno Unito in testa. Nel 2013 ha preso formalmente il via lo Smart City Green Project, un accordo tra la Direzione generale delle reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie (DG Connect) e il Ministero dell’Industria e dell’Informazione tecnologica cinese. Gli assunti alla base delle smart city hanno trovato spazio anche all’interno della Belt & Road Initiative, che prevede anche la creazione di una “Smart Silk Road” che promuoverà la realizzazione di zone industriali interregionali sostenibili e “corridoi d’innovazione” tra la Cina e l’Europa[8]. Per quanto riguarda invece la presenza europea in Cina, la multinazionale tedesca Siemens è una delle aziende europee più attive in quest’ambito, tanto da esser riuscita a siglare accordi nelle città di Pechino, Qingdao e Wuhan, oltre ad aver dato inizio a una collaborazione incentrata su progetti di eco-city con l’Università Tongji di Shanghai. Specularmente, la multinazionale cinese Huawei ha avviato in Europa una serie di progetti sulla connettività, tra cui quelli nella città di Amsterdam. Come ha evidenziato uno studio promosso dall’European Institute for Asian Studies, la cooperazione tra Cina e UE risulta particolarmente vantaggiosa alla luce della complementarietà di competenze delle rispettive imprese, con le aziende europee forti nel campo dell’energia pulita ma più deboli delle controparti cinesi per quanto riguarda lo sviluppo di information technology[9].
Nonostante il cammino per una maggiore cooperazione tra Pechino e Bruxelles sia ancora rallentato da numerosi punti di attrito, il comune tentativo di conciliare i processi di urbanizzazione con una maggiore attenzione al rispetto dell’ambiente e alle necessità dei cittadini rende i progetti per la costruzione di smart cities un importante punto di intersezione per sperimentare la sinergie tra le diverse eccellenze cinesi ed europee.
[1] James Kin-Sing Chan e Samantha Anderson, Rethinking smart cities. ICT for new–type urbanization and public participation at the city and community level in China (Beijing: Undp China, 2015), 13-18, http://www.cn.undp.org/content/china/en/home/library/democratic_governance/Rethinking-Smart-Cities_ICT-for-New-type-Urbanization-and-Public-Participation-at-the-City-and-Community-Level-in-China.html.
[2] World Bank Data, Urban population (% of total), https://data.worldbank.org/indicator/SP.URB.TOTL.IN.ZS?locations=CN-US.
[3] United Nations Department of Economic and Social Affairs, World Urbanization Prospects: The 2014 Revision. Highlights (New York: United Nations, 2014), 21, https://esa.un.org/unpd/wup/publications/files/wup2014-highlights.Pdf.
[4] Commissione nazionale per le Riforme e lo sviluppo, Linee guida per la promozione di un corretto sviluppo delle smart cities (in cinese), 2014, p. 1, http://www.ndrc.gov.cn/gzdt/201408/t20140829_624003.html.
[5] James Kin-Sing Chan e Samantha Anderson, Rethinking smart cities, p. 7.
[6] Nicole Kobie, “Why smart cities need to get wise to security – and fast”, The Guardian, 13 maggio 2015, https://gu.com/p/47zy3.
[7] Federica La China e Robert Zielonka, “Smart Cities cooperation between EU and China: towards a sustainable future”, EIAS Briefing Papers 2015/2 (giugno 2015): 7, http://www.eias.org/?p=1385.
[8] Ibid.
[9] Ibid.
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