Sostenere il peacebuilding in un’Europa che cambia

Negli ultimi anni il mondo ha attraversato notevoli cambiamenti, ascrivibili a dinamiche politiche internazionali e interne molto rapide. Tuttavia, il modo in cui questi cambiamenti globali influenzino il sostegno che gli attori europei rivolgono ad agende normative come quella della costruzione e del sostegno della pace (peacebuilding) non è però stato oggetto di analisi approfondite.

Nel frattempo, i conflitti violenti sono aumentati e richiedono risposte efficaci. Nel 2018 ci sono stati 52 conflitti attivi in 36 paesi (rispetto ai 31 del 2010). La decisione dei governi di rispondere ai conflitti violenti o alla loro minaccia, supportando il peacebuilding o attraverso altri mezzi, è tanto una scelta politica quanto burocratica. L’impegno politico internazionale e gli esborsi di fondi per le attività civili di peacebuilding sono aumentati negli ultimi anni, così come – più in generale – i finanziamenti in ambito “pace e sicurezza”, anche se a un ritmo minore.

Spesa globale per la pace e la sicurezza e per il peacebuilding negli ultimi dieci anni

Fonte: Analisi di ECDPM a partire dai dati del Creditor Reporting System (CRS) di OECD (2017)

Nonostante il trend positivo, sembra però che il sostegno – e la qualità del sostegno – al peacebuilding stia cambiando. Questo appare evidente anche osservando il comportamento di quegli attori che negli anni hanno dimostrato un supporto costante alle attività di pacebuilding – con tutte le sfide, ma anche opportunità, ad esse connesse.

Negli ultimi 25 anni, la comunità attiva nell’ambito del peacebuilding è dipesa largamente dal supporto di un numero limitato di attori: gli Stati Uniti, alcuni paesi europei e le istituzioni dell’Unione Europea (UE). Questi soggetti hanno avuto un’enorme influenza nel sostegno alle attività di peacebuilding, impegnandosi politicamente e contribuendo finanziariamente.

Principali donatori per il peacebuilding negli ultimi dieci anni. Fonte: Analisi di ECDPM a partire dai dati del Creditor Reporting System (CRS) di OECD (code 15220 ‘Civilian peacebuilding, conflict prevention and resolution’). Spesa lorda in miliardi di dollari americani a prezzi costanti (2017)

Principali donatori per il peacebuilding negli ultimi dieci anni. Fonte: ECDPM

È interessante notare che gli Stati Uniti, principale donatore fino al 2015, sono scesi al terzo posto nel 2016 e al quarto l’anno successivo, confermando una più generale tendenza alla ridefinizione delle priorità internazionali da parte degli Stati Uniti.

In molti paesi, il peacebuilding non sembra ancora essere al cuore delle decisioni di politica estera e di sviluppo. La ricerca sul cambiamento del supporto europeo al peacebuilding condotta da ECDPM a partire da quattro casi studio (Germania, Svezia, Regno Unito e istituzioni UE) ha identificato otto fattori ricorrenti – e in rapida evoluzione – che hanno influenzato il supporto al peacebuilding nel corso dei 25 anni presi in esame e che, con tutta probabilità, continueranno a incidere sugli sviluppi futuri:

  1. Dinamiche geopolitiche (geopolitical era)
  2. Cultura politica e storia a livello nazionale (domestic political culture)
  3. Sistema di governo (system of governance)
  4. Eventi interni con una forte dimensione internazionale (domestic events with international dimension)
  5. Conflitti e instabilità nel vicinato o altrove (major conflicts and instability)
  6. Iniziative degli alleati e degli altri governi (allies and other governments’ initiatives)
  7. Impegni e norme internazionali (international commitments and norms)
  8. Competenze in materia di conflitto (conflict-related expertise)

Analizzando questi fattori è possibile superare cliché come “scarsa volontà politica” o “capacità limitate” per comprendere metodo e ragioni di alcune decisioni in merito al peacebuilding e avere un’idea più chiara del modo in cui tali scelte sono portate avanti.

Dinamiche geopolitiche (geopolitical era)

Prima della fine della Guerra Fredda il supporto ufficiale alle attività di costruzione della pace era quasi inesistente. Anche se è improbabile che si torni a un simile scenario, le dinamiche geopolitiche attuali, nelle quali sta assumendo crescente importanza la competizione tra grandi potenze, influenzeranno profondamente il sostegno politico al peacebuilding. La riconfigurazione in corso delle dinamiche di potere a livello globale – caratterizzate dalla crescente assertività cinese, dall’ambiguità russa e dalla presidenza Trump negli Stati Uniti – stanno sfidando la tenuta dell’ordine internazionale liberale. Sebbene sia difficile prevederne l’impatto, questi mutamenti potrebbero comportare la definizione di diverse priorità geografiche, un crescente disinteresse per il peacebuilding, e un maggior ricorso alla “politica di potenza” per risolvere i conflitti, potenzialmente dunque limitando lo spazio d’azione di attori non governativi e ignorando i conflitti considerati “non strategici”.

Cultura politica e storia a livello nazionale (domestic political culture)

Anche la cultura politica interna, la storia e il “senso del posto nel mondo” di un paese sono fattori importanti per determinare il suo supporto alle attività di peacebuilding. Essi spiegano ad esempio perché la Svezia sostiene con forza tali attività mentre la Francia meno. Nei diversi paesi europei questi fattori si sono evoluti nel tempo e continuano a evolversi con il mutare della politica interna, anche se normalmente i ritmi di questa evoluzione sono molto più lenti di quelli a cui stiamo assistendo oggi. Fenomeni come l’ascesa di partiti nazionalisti e populisti in diversi paesi europei alterano la natura del dibattito politico a livello nazionale – causando in alcuni casi un irrigidimento delle politiche – e ovviamente influenzando il livello di attività e interesse di un paese nei confronti del peacebuilding.

Sistema di governo (system of governance)

Il sistema di governo (governance) definisce il contesto e i confini in cui vengono prese le decisioni sulla politica estera e di sviluppo di un determinato paese. Questo fattore è diverso dai precedenti in quanto esso ha un ruolo di “filtro” e inquadramento delle scelte politiche e burocratiche in merito al sostegno al peacebuilding. Più in generale, le burocrazie governative non si prestano facilmente alle logiche di peacebuilding che privilegiano un’azione dal basso (bottom-up) di carattere più spontaneo e informale, ma anche più flessibile e propenso al rischio. Questa difficoltà spiega perché le migliori politiche di pace faticano a essere messe in pratica.

Eventi interni con una forte dimensione internazionale (domestic events with international dimension)

Il quarto fattore è costituito da eventi interni con una forte dimensione internazionale che, come nel caso di attacchi terroristici e flussi migratori, influenzano i più alti livelli della politica nazionale. Questi eventi, diventati sempre più rilevanti negli ultimi anni, contribuiscono alla (ri)definizione del discorso pubblico e delle agende nazionali di politica estera e cooperazione allo sviluppo, condizionando anche il sostegno al peacebuilding.

Conflitti e instabilità nel vicinato o altrove (major conflicts and instability)

I conflitti e le situazioni di instabilità – ai confini dell’UE o altrove – con rilevanza strategica (es. Iraq, Primavera araba) o che vedono il coinvolgimento diretto di uno o più paesi europei (es. Afghanistan) possono influenzare le politiche relative alla pace e al peacebuilding in generale, anche nel caso in cui questi eventi siano geograficamente isolati.

Iniziative degli alleati e degli altri governi (allies and other governments’ initiatives)

Anche se le prospettive e l’influenza di alleati, partner governativi e, nel caso dell’UE, degli altri stati membri risultano essere fattori meno importanti rispetto ai cinque precedentemente menzionati, gli impegni politici assunti o meno, così come i diversi approcci al conflitto di ciascun paese, possono essere ricondotti alle trasformazioni istituzionali e di policy sviluppate da altri stati. Le innovazioni di paesi come il Regno Unito e, in minor misura, la Svezia sono particolarmente apprezzate e in un certo senso imitate dagli altri paesi europei (ad esempio nelle pratiche di analisi del conflitto, nella nomina di esperti in materia di conflitti e nella promozione di approcci “whole of government” – estesi a tutta l’amministrazione governativa).

Impegni e norme internazionali (international commitments and norms)

Anche gli impegni e le norme in materia di pace e conflitto, come quelli stabiliti dalle Nazioni Unite nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile o derivanti da iniziative dell’OCSE-DAC (Peacebuilding and Statebuilding Goals) hanno un impatto sulla politica e sull’inquadramento del peacebuilding a livello nazionale. Paesi europei come Regno Unito, Svezia e Germania, così come le stesse istituzioni europee, hanno avuto un ruolo spesso di primo piano nella creazione di queste norme. Ciò nonostante, questo fattore è da considerarsi meno decisivo di quelli precedentemente menzionati nel condizionare le scelte nazionali in merito al supporto al peacebuilding.

Competenze in materia di conflitto (conflict-related expertise)

L’aumento di risposte diverse da quelle militari e diplomatiche ai conflitti armati, e il maggior ruolo che queste risposte alternative hanno acquisito nelle agende nazionali e internazionali in risposta alle crisi violente, hanno migliorato abilità e conoscenze in materia di pace e conflitto. Non a caso, le competenze e le reti professionali (anche non di matrice governativa) presenti nei paesi che si qualificano tra i principali sostenitori del peacebuilding sono tra le più influenti e rispettate al mondo, siano esse rappresentate da università, centri di ricerca, organizzazioni non governative (ONG) specializzate o della società civile più in generale.

I principali fattori che influenzano il supporto europeo al peacebuilding. Fonte: ECDPM

I principali fattori che influenzano il supporto europeo al peacebuilding. Fonte: ECDPM

Rispondere al cambiamento

Negli ultimi 25 anni, la comunità del peacebuilding non ha avuto un atteggiamento ingenuo rispetto all’evolvere del contesto in cui opera e le situazioni che si trova ad affrontare. Al contrario, sia all’interno che all’esterno delle istituzioni governative, numerosi esperti si sono impegnati per supportare il peacebuilding e favorirne lo sviluppo. L’aumento delle risorse umane specializzate e dei fondi disponibili dedicati alle attività di costruzione e sostegno alla pace è avvenuto in gran parte grazie a questi sforzi.

Ancora oggi, però, l’enfasi è posta perlopiù a livello tecnico e sul ruolo di esperti che parlano lo stesso linguaggio e condividono lo stesso principio di impegno comune e costruttivo. Fino ad ora nei paesi occidentali è stato difficile, e a tratti persino ritenuto rischioso, dialogare e impegnarsi con un pubblico più ampio oppure con opinionisti e politici in modi che avrebbero potuto essere visti come “politici” anziché tecnici. La ricerca condotta da ECDPM, tuttavia, suggerisce che per poter dare la giusta priorità al peacebuilding nella politica estera e di sviluppo non è sufficiente fare leva sulle sole competenze e professionalità degli addetti ai lavori.

Nonostante non sia uno dei quattro casi studio presi in esame nella ricerca di ECDPM (Germania, Svezia, Regno Unito e istituzioni UE), l’analisi condotta vale anche per l’Italia – un paese che nei periodi 2007-2009 e 2014-2017 è stato fra i primi venti paesi donatori per il peacebuilding (nel 2017, ultimo anno per cui sono disponibili dati, l’Italia ha donato circa il 3 per cento del valore stanziato dalla Germania, il primo paese in classifica). Nel 2017, l’Italia era al sedicesimo posto nella graduatoria dei paesi donatori per le attività civili di peacebuilding e prevenzione del conflitto, il miglior risultato dal 2007. Sempre nel 2017, l’Italia era fra i dieci principali donatori del Peacebuilding Fund delle Nazioni Unite. Considerando che la politica interna in Italia è soggetta alle stesse tendenze degli altri paesi europei, la comunità di peacebuilding italiana dovrà comprendere e interagire con le dinamiche e gli interessi sociali, inclusi quelli di esponenti e leader politici, per poter influenzare la cultura politica e il senso del “proprio posto nel mondo” in modo tale da alimentare e aumentare il supporto italiano al peacebuilding.

Mentre il mondo sembra muoversi verso una nuova era geopolitica, la comunità internazionale per la costruzione e il sostegno della pace dovrà affrontare un cambiamento profondo, non potendo più affidarsi interamente né a quegli stati che sono stati importanti sostenitori in passato né alle coalizioni globali di attori affini. C’è bisogno di nuovi sostenitori e di una maggiore diversità in termini politici e finanziari, ma anche di nuovi metodi e approcci per garantire che la qualità del supporto al peacebuilding non sia compromessa nell’epoca nella quale stiamo entrando

Per saperne di più

Austin, B. et al. (2019) Berghof Glossary on Conflict Transformation and Peacebuilding. Disponibile su: https://www.berghof-foundation.org/fileadmin/redaktion/Publications/Books/Berghof_Glossary_2019_eng.pdf

Sherriff, A., Veron, P., Deneckere, M. e Hauck, V. (2018) Supporting peacebuilding in times of change. A synthesis of 4 cases studies. Disponibile su: https://ecdpm.org/publications/supporting-peacebuilding-change-europe/

Sherriff, A. e Veron, P. (2019) Invest in Peace: Five Priorities for the Next EU Budget. Disponibile su: https://peacelab.blog/2019/08/invest-in-peace-five-priorities-for-the-next-eu-budget

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