Dopo una torrida estate, durante la quale i mercati azionari internazionali hanno fatto registrare un forte incremento della volatilità – ritornata ai valori del 2008 – gli ultimi segnali che arrivano da Shanghai sembrano quelli di una quiete dopo la tempesta. La farfalla che sbatte le ali a Pechino ha causato una tempesta in Occidente, ma… con due anni di ritardo. È come se l’Occidente si fosse svegliato da un lungo torpore per rendersi conto soltanto a luglio 2015 che il tasso di crescita dell’economia cinese stava rallentando. La sveglia è suonata con il crollo – o, meglio, la correzione – del mercato azionario di Shanghai, che in poche settimane è passato dai 5.100 punti base di fine luglio ai 3.200 dell’11 settembre, con un calo del 38%. C’è da preoccuparsi per l’andamento del mercato? Avrà un impatto sull’economia reale? La risposta a questi quesiti è un moderato “no”. Che la crescita dell’economia cinese stia rallentando non è una novità: in fondo, una crescita del Pil molto più contenuta del 10% annuo registrato nell’ultimo trentennio fa parte del piano del governo già annunciato un paio d’anni fa e che porta il nome di “Nuovo normale”. Nulla di cui stupirsi.
Va anche sottolineato che in Cina non esiste quasi alcuna relazione di causa-effetto tra economia reale e mercato azionario: quest’ultimo finisce per assomigliare in buona parte a un casi nò. Certo, ha la capacità di trasferire ricchezza da un individuo a un altro, oppure da molti individui nelle mani di pochi, creando così una concentrazione non salutare per l’economia. Ma questi passaggi di ricchezza non dovrebbero avere un grosso impatto sull’economia reale; la borsa è un gioco a somma zero, da cui non ci si attendono problemi sistemici, anche se, naturalmente, per alcuni individui – i più sfortunati – la perdita in borsa può causare gravissimi problemi finanziari.
La performance esplosiva del mercato azionario di Shanghai, che dal giugno del 2014 fino al picco di luglio 2015 è cresciuto del 155%, è stata alimentata dalla riduzione delle opportunità di investimento per il cittadino medio che, in mancanza di altro, si è lanciato sul mercato azionario alla ricerca di ritorni elevati. Hanno giocato soprattutto tre fattori. Anzitutto lo stallo del mercato immobiliare, che per molti cinesi ha rappresentato in passato un investimento con guadagni elevati. I prezzi medi delle nuove abitazioni residenziali sono cresciuti sempre meno rapidamente da maggio 2013, quando la crescita sequenziale, mese dopo mese, era di quasi l’1%. Tale tasso di crescita è andato man mano abbassandosi, fino a diventare addirittura negativo a partire da maggio 2014. Il calo dei prezzi delle abitazioni è continuato per tutti i 12 mesi seguenti, fino a maggio 2015, quando si è registrata una prima lieve inversione di tendenza. Insomma, mentre il mercato azionario di Shanghai andava su, i prezzi delle case scendevano. È ancora presto per trarre conclusioni circa un’inversione di tendenza, ma da quando i prezzi degli immobili hanno ripreso a salire – maggio, giugno e luglio 2015 – il mercato azionario ha cominciato a segnare sedute negative. La correlazione sembra forte sia durante fasi di mercato bull che bear.
Il secondo fattore è la politica monetaria della Banca centrale. Dal novembre 2014 la banca centrale cinese, ovviamente già ben al corrente del rallentamento della crescita economica, ha iniziato una politica monetaria espansiva, abbassando – e continuando ad abbassare con scadenza quasi bimestrale – sia il coefficiente di riserva obbligatorio per le banche (Rrr), sia i tassi d’interesse di riferimento, il che ha portato a un (più o meno) proporzionale abbassamento dei tassi di interesse sui depositi. Il cittadino medio ha quindi visto erodersi i propri ritorni sui depositi bancari in maniera continua e, cosa ancor più grave, si è rafforzata l’aspettativa di una tendenza futura verso ulteriori ribassi. Il terzo fattore è la campagna anti-corruzione lanciata dal presidente Xi Jinping, che ha colpito i ricavi di vari settori industriali tra cui quello dei casinò di Macao. L’industria del gioco d’azzardo di Macao ha subito gravi perdite, con ricavi mensili che sono passati dai quasi 40 miliardi di dollari di Hong Kong al mese dell’inizio del 2014 agli attuali 20 miliardi, una perdita del 50%.
Se mai ci fosse una relazione di causalità tra borsa ed economia reale, tale relazione va dunque nel senso opposto: è cioè l’economia reale, attraverso gli utili e i flussi di cassa aziendali e le prospettive di crescita, a influenzare i prezzi delle azioni. In genere è così, o così dovrebbe essere. L’andamento al rialzo della borsa di Shanghai è stato in controtendenza anche con l’andamento economico del paese che, come ricordato in precedenza, si è avviato già da tempo verso una fase di crescita più contenuta – il che è sfuggito a molti osservatori fino all’agosto scorso.
Sembrerebbe dunque che il nesso di causalità tra economia reale e mercato azionario sia debole e che le dinamiche della borsa cinese non siano legate a fattori reali. Perciò non conviene essere particolarmente ottimisti quando la borsa sale, né particolarmente disfattisti quando scende. Le dinamiche borsistiche sembrano dettate principalmente dai flussi in ingresso e uscita dal mercato, piuttosto che da variabili fondamentali.
Per completezza, è giusto ricordare che esiste la possibilità che la relazione di causalità vada in senso opposto, cioè dalla finanza all’economia reale, attraverso il noto “effetto ricchezza”. Tale effetto postula che quando il valore di certi beni – beni immobili, valori di investimenti e altro – sale, il cittadino ha la percezione di un’aumentata ricchezza e quindi aumenta la sua propensione al consumo, cosa che a sua volta stimola l’economia reale. Nel caso specifico dei mercati finanziari, una situazione di prezzi al rialzo dovrebbe spingere i consumi e, al contrario, un mercato al ribasso dovrebbe avere un affetto avverso sui consumi. Tale effetto ricchezza è in realtà tema di un dibattito molto acceso tra gli economisti. Sembra, in particolare, e pur con ogni cautela, che tale effetto sia relativamente evidente nel caso dei beni immobili, il cui valore si suppone sia poco volatile nel tempo, mentre altri studi suggeriscono che l’aumento dei consumi dovuto all’effetto ricchezza causato dall’aumento del valore di beni immobili sia forte soltanto nel caso di individui sottoposti a considerevoli restrizioni di accesso al credito. Per quanto riguarda, invece, il ruolo svolto da fluttuazioni dei valori di beni finanziari, comprese le azioni quotate in borsa, non si riscontra un effetto significativo sui consumi.
In conclusione, data la natura erratica del mercato azionario di Shanghai, l’effetto contagio tra finanza ed economia reale non sembra significativo né nell’una né nell’altra direzione. Ciò non toglie che la Cina – in modo indipendente dall’andamento della borsa di Shanghai – stia attraversando un periodo di transizione verso un modello di crescita più contenuta ma, forse proprio per questo, più bilanciata e sostenibile. Non bisogna perciò dare eccessivo peso alle fluttuazioni del mercato borsistico e concentrare invece l’attenzione sui nuovi indirizzi delle politiche economiche cinesi.
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