[STATO E/O MERCATO] L’Internazionalizzazione del Renminbi: un processo infinito

L’internazionalizzazione del Renminbi (Rmb), il cui fine ultimo è rendere il Rmb una valuta di riserva internazionale, è uno degli obiettivi principali del governo cinese. Tuttavia, nonostante il clamore mediatico che ha accompagnato recenti iniziative, il Rmb è ancora lontanissimo dal poter essere accettato come valuta internazionale di riserva. Ci si può spingere oltre, affermando che tale obiettivo è impossibile da raggiungere nell’attuale contesto economico e politico: potrà passare anche mezzo secolo prima che il Rmb affianchi il dollaro nel suo ruolo di valuta internazionale universalmente riconosciuta. In finanza – e nella finanza internazionale in particolare – non esistono mezzi termini: non è possibile avere un’internazionalizzazione “parziale”, a giorni alterni. O tutto, o niente. Ecco perché tutte le manovre operate dal governo cinese negli ultimi anni sono sì dei passi nella direzione giusta, ma si fermano prima dell’ultimo passo, quello decisivo, vanificando il tutto, o quantomeno riducendone di molto l’interesse.

Esistono tre caratteristiche principali che una valuta deve possedere per poter essere considerata “internazionale”: a) deve essere usata come riserva; b) deve essere usata come mezzo di pagamento per scambi internazionali di merci e servizi; e c) deve essere usata come unità di prezzo di vari prodotti – per esempio, il petrolio è quotato in dollari. Il Rmb è molto lontano dal soddisfare queste tre condizioni, specialmente la prima (riserva) e la seconda (mezzo di pagamento), anche se il dibattito resta aperto. La terza condizione è un po’ conseguenza delle precedenti, quindi merita concentrarsi sui primi due criteri.

Per quanto riguarda l’uso di una valuta come riserva, anche qui esistono condizioni da soddisfare, la più importante delle quali è la completa e totale apertura del conto capitale, in aggiunta all’apertura del conto corrente (i due principali elementi della bilancia dei pagamenti di un paese). Una banca centrale può operare nel mercato delle valute comprando, vendendo o stampando la propria moneta come e quando ritiene opportuno nel tentativo di influenzare il tasso di cambio. È bene anche ricordare che un paese che volesse tenere il cambio artificialmente basso (come per esempio si dice della Cina), può farlo quasi indefinitamente, mentre se si vuole tenere il cambio artificialmente alto (Argentina o Regno Unito), il limite è dato dall’ammontare delle riserve monetarie in valuta straniera che si detengono.

Ciò posto, sappiamo anche che in economia esiste il cosiddetto “trio inconciliabile” (impossible trinity), che limita il raggio d’azione di un paese, il quale non può contemporaneamente avere: a) un tasso di cambio fisso; b) una politica monetaria indipendente; e c) libero flusso di capitali. Di queste tre variabili, soltanto due possono essere scelte liberamente, mentre la terza segue di conseguenza. I paesi a economia avanzata, come Stati Uniti e Regno Unito, hanno scelto b) e c), cioè politica monetaria indipendente (la Fed e la Banca d’Inghilterra stabiliscono i tassi) e libero flusso di capitali, in ingresso come in uscita, rinunciando ad avere un cambio fisso. I paesi dell’area euro hanno invece scelto a) e c), cioè tasso di cambio fisso (un euro = 1.936,27 lire) e libero flusso di capitali, rinunciando a una politica monetaria indipendente – la Banca d’Italia non può più stampare moneta.

Nel caso del Rmb è impossibile pensare che il governo cinese rinunci a una politica monetaria indipendente: si immagini l’assurdo scenario di una valuta pan-asiatica la cui banca centrale si trovi a Tokyo, con il Giappone a decidere di quanto debba crescere l’economia cinese e quale debba essere il tasso d’inflazione in Cina. Dal momento che una valuta di riserva ha come condizione primaria la totale apertura del conto capitale, il “trio inconciliabile” ci suggerisce che la Cina dovrà rinunciare a fissare il valore del Rmb nei mercati dei cambi e, quindi, lasciare a operatori finanziari internazionali (a Londra, New York, Tokyo) il controllo sul cambio. Ciò creerebbe alla Cina grattacapi a catena, che qui si possono elencare solo in parte. Un cambio flottante, per esempio un apprezzamento del Rmb, porterebbe a una perdita di competitività dei prodotti made in China. Ciò porterebbe a una crisi di quelle aziende il cui modello di business è basato sulle esportazioni e il tasso di disoccupazione in tali settori aumenterebbe. La gran parte dei lavoratori in questi settori sono migranti che provengono dalle zone rurali della Cina e lavorano in fabbriche ai margini dei centri urbani. L’aumento del tasso di disoccupazione costringerebbe tali lavoratori a ritornare nei luoghi di origine, supponendo, ottimisticamente, che essi non abbiano in precedenza venduto la propria terra né abbiano subito un esproprio. A quel punto il flusso migratorio verso le città si invertirebbe, o comunque si indebolirebbe, con la popolazione urbana che non crescerebbe come in passato o che potrebbe perfino diminuire. In entrambi gli scenari, il processo di urbanizzazione si arresterebbe e tutte le aziende legate al settore dei grandi progetti urbanistici, trasporti e, dulcis in fundo, il settore immobiliare, avrebbero dei contraccolpi notevoli, dal momento che gran parte del loro modello di business è basato su una specie di catena di Sant’Antonio: bisogna trovare un numero di clienti crescenti, anno dopo anno, altrimenti la piramide cade. Il fallimento delle aziende in questi settori porterebbe nel baratro il sistema bancario, specialmente le grandi banche di Stato, sempre pronte a elargire con leggerezza prestiti per progetti simili. Con il sistema bancario in crisi e la conseguente crisi di liquidità, il governo cinese non avrebbe fonti a cui attingere per sostenere l’economia, che subirebbe dunque un arresto improvviso e drammatico.

Questo è soltanto uno dei tanti esempi di come, in Cina, tutto sia retto da un filo sottile che non può essere spezzato. In questo caso il filo è il tasso di cambio del Rmb, il cui controllo deve restare saldamente nelle mani del governo cinese. Come se ciò non bastasse, alla Cina non va neppure bene l’apertura totale del conto capitale, perché ciò avrebbe conseguenze sul tasso d’inflazione nazionale e si rischierebbe una fuga di capitali all’estero (cosa che pare stia già avvenendo, nonostante le regole in teoria non lo consentano). Ecco perché lo status quo del “trio inconciliabile” – vale a dire politica monetaria indipendente, controllo sul valore del tasso di cambio e chiusura del conto capitale – è la situazione ideale per la Cina, che addirittura vede l’impossibilità di aprire il conto capitale come un vantaggio, non come una rinuncia. Insomma, per la Cina il “trio inconciliabile” fa comodo, e così sarà per i prossimi decenni.

Per concludere, due considerazioni sul crescente uso del Rmb come valuta negli scambi internazionali. Secondo Swift, nel 2014 il Rmb è stato la quinta valuta più usata per gli scambi di merci internazionali, scavalcando il dollaro canadese e quello australiano. La Figura 1 mostra come il 2,27% del commercio mondiale abbia usato il Rmb come forma di pagamento, contro il 44% che ha usato il dollaro. Tra poco, il Rmb supererà anche lo yen giapponese, con grande fanfara mediatica, ma la distanza che separa il Rmb dal dollaro e dall’euro (28% del commercio internazionale) è vastissima. Esiste peraltro il sospetto che questo 2,27% attribuito al Rmb sia in parte collegato a un flusso di capitali in uscita dalla Cina (più o meno secondo le regole) che utilizza l’altissimo valore delle esportazioni dalla Cina verso il resto del mondo come mezzo per convertire Rmb in valuta straniera. Se ciò risultasse vero, l’avanzamento di posizioni del Rmb in questa particolare classifica non sarebbe motivo di alcun gaudio, anzi tradirebbe la mancanza di fiducia dei grossi detentori di capitali cinesi nel futuro della propria economia.

La Cina non è ancora pronta per la piena internazionalizzazione della propria valuta. Si fanno piccoli passi per testare il terreno, ma la paura che questa dinamica sfugga di mano è tanta. Per il futuro prossimo, è naturale aspettarsi che il petrolio continui a essere quotato in dollari e che ben pochi investano in Rmb come bene di rifugio.

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