Dopo il riconoscimento della Repubblica popolare da parte degli Stati Uniti e l’apertura della Cina al mercato internazionale alla fine degli anni Settanta, la Cina ha sperimentato un rapido aumento del prodotto interno lordo e della produzione industriale, divenendo all’inizio degli anni Duemila il maggior esportatore mondiale. Essenziale all’avvio di questa crescita esponenziale è stato l’afflusso di investimenti diretti dall’estero. Parallelamente, l’apertura al mondo esterno e la disponibilità di capitali e, di conseguenza, di tecnologia, hanno reso possibile uno sviluppo della produzione scientifica. A ciò hanno contribuito in modo determinante scienziati e ingegneri (le cosiddette “tartarughe di mare”, haigui, 海龟) rientrati in patria dopo essersi formati negli Usa e, in anni più recenti, in Europa, grazie a sistemi di incentivi dedicati messi a disposizione dal governo cinese. All’inizio degli anni Duemila sono apparsi articoli e volumi che analizzavano le pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali, prendendo atto del grande e crescente numero di pubblicazioni dei ricercatori cinesi, in particolare nelle discipline ingegneristiche. In tale occasione si è arrivati a definire la Cina come una superpotenza tecnologica, al terzo posto nel mondo per produzione scientifica complessiva. Altro dato che colpisce era il grande numero di ingegneri laureati ogni anno nelle università cinesi e la determinazione con cui lo Stato indicava quali fossero gli argomenti prioritari, accompagnando i documenti programmatici con investimenti in crescita del 20% annuo.
All’inizio degli anni Duemila, sotto la presidenza di Hu Jintao, la dirigenza cinese ha cominciato a preoccuparsi degli aspetti negativi dello sviluppo accelerato realizzato nei due decenni precedenti. In primis i forti squilibri sociali e territoriali e il gravissimo inquinamento ambientale. L’attenzione si è spostata dalle questioni essenzialmente quantitative a quelle qualitative. Ciò si è tradotto nell’attuazione di ambiziosi piani di riforma, in primis quello riguardante la sanità pubblica. In seguito, in particolare dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping (2012-13), la preoccupazione si è estesa ai problemi di governance più generali, quali lo stato di diritto e la corruzione. Ovviamente, trovare soluzioni adeguate a problemi qualitativi è più complesso e richiede più tempo.
Nel campo scientifico-tecnologico l’evoluzione è stata simile: il rapido sviluppo ha presentato distorsioni importanti e all’entusiasmo quantitativo (peraltro condiviso da molti osservatori stranieri) è seguita una presa di coscienza dei fattori che limitavano ulteriori miglioramenti. Tale presa di coscienza è avvenuta innanzitutto in seno all’establishment cinese. In tal senso è stato assai rilevante il contributo delle “tartarughe di mare” che nella loro esperienza di studio e di lavoro in paesi industriali avanzati avevano sviluppato una mentalità meno legata alla tradizione. Già nel 2006 Hu Jintao aveva evidenziato come, a fronte degli innegabili risultati ottenuti, rimanessero alcuni aspetti problematici. Nello stesso anno il viceministro della scienza dichiarava di voler dedicare maggiore impegno alla ricerca di base, che a lungo termine fornisce una base più autonoma per l’innovazione.
Questi problemi si riflettevano anche negli articoli di alcuni osservatori internazionali, per i quali ormai la scienza in Cina era diventata un importante argomento di studio. Ciò in virtù sia del crescente ruolo delle collaborazioni scientifiche e quindi della necessità, avvertita particolarmente degli europei, di conoscere le opportunità per trarne profitto, sia per la preoccupazione, diffusa specie negli Stati Uniti, che la Cina sviluppasse una crescente capacità concorrenziale. Sino ad allora infatti esisteva una complementarietà: lavorazione e assemblaggio in Cina e innovazione agli Stati Uniti. Uno stato di cose messo in crisi dal crescente potenziale innovativo cinese.
Nel 2016, in un discorso pronunciato in occasione della presentazione del XIII Piano quinquennale 2016-2020, Xi Jinping ha adottato forti accenti critici circa le problematiche nello sviluppo della scienza e tecnologia, delineando al contempo una visione futura di una Cina grande paese innovatore. Tra i passaggi chiave di quel discorso, figurano i seguenti: “I fondamenti della scienza e della tecnologia del paese restano deboli”; “La situazione nella quale il nostro paese è sotto il controllo di altri in tecnologie chiave non è fondamentalmente cambiata”; “Agli scienziati dovrebbe essere permesso di esplorare e verificare le ardite ipotesi che propongono”; gli esperti “non dovrebbero più seguire gli ordini dei superiori”.
Tali considerazioni sono coerenti con i principali problemi riscontrati dagli osservatori nazionali e internazionali e di cui ha discusso anche la stampa scientifica. Le principali criticità si possono riassumere come segue:
1) formazione degli studenti troppo scolastica e nozionistica, con poca fantasia e autonomia critica, che ne fa dei buoni esecutori ma non degli innovatori;
2) rilevanza attribuita alla gerarchia: l’accordo è più importante della discussione, scarsa accountability (chi sbaglia non paga) per i quadri superiori, accompagnata da timori reverenziali fra i sottoposti;
3) l’inadeguatezza delle risorse e degli incentivi destinati alla produttività scientifica individuale. Conseguente predominanza di decisioni dall’alto piuttosto che peer-review, scarsa partecipazione degli scienziati e poco spazio per iniziative dal basso, problemi di coordinamento fra gli enti preposti, eccessivo incoraggiamento alla produzione di articoli, il che può anche indurre alla frode scientifica.
La natura scolastica e nozionistica del sistema di formazione (punto 1) fa sì che in Cina vi sia un considerevole potenziale per lavori su vasta scala, i cui fondamenti sono già patrimonio della comunità scientifica ma che richiedono un lavoro massiccio con numerosi ricercatori: tipico il caso della genomica. Questo fa sì inoltre che la produzione scientifica sia in buona posizione nel mondo soprattutto nel campo dell’ingegneria, stato di cose che rimarrà probabilmente immutato almeno a medio termine. L’impressione tratta dall’esperienza dell’autore nelle lezioni tenute nelle università cinesi è che, comunque, gli studenti negli ultimi anni stiano diventando più interattivi e aperti alla discussione. Le esperienze internazionali e i contatti con l’estero li rendono più autonomi (una tendenza comune anche in altri paesi, del resto). L’interazione fra varie formazioni e culture favorisce l’innovazione. Un punto sul quale, tuttavia, la Cina risulta essere ancora indietro rispetto agli Stati Uniti, dove una parte consistente dei ricercatori viene da formazioni e culture diverse. In tale contesto, continuerà ad essere essenziale il contributo delle “tartarughe di mare”.
Per quanto riguarda il ruolo eccessivo della gerarchia (punto 2), si tratta di una criticità di difficile soluzione, in quanto richiede un cambiamento della mentalità tradizionale per cui i sottoposti tendono a evitare di creare imbarazzi ai propri interlocutori (il cosiddetto “perdere la faccia”), sono restii a contraddire il professore e rispettano l’anzianità. Detto ciò, i punti 1 e 2 sono caratteristici anche di altri paesi di influenza confuciana. Il caso del Giappone è in questo senso emblematico: nonostante i suddetti fattori, nel paese del Sol levante col tempo si sono sviluppate importanti innovazioni, come il materiale magnetico Neodimio-Ferro-Boro e il laser a diodo blu, oltre a risultati in fisica teorica e innovazioni di processo che hanno portato a una notevole qualità dei prodotti giapponesi.
Anche su problemi di valutazione individuale e delle istituzioni, nonché di allocazione delle risorse (punto 3) ci sarà verosimilmente un’evoluzione, sia pure con resistenze e contrasti su chi controlla che cosa. In tal senso, è opportuno notare come la frode scientifica sia anche facilitata dalla scarsità di controlli, come nel caso di pretese cure “miracolose” di medici che hanno attratto anche pazienti dall’estero. Inoltre, è ragionevole ritenere che le valutazioni su articoli e impact factor, già in discussione anche in altri paesi del mondo, tenderanno ad avere forme più complesse e interattive.
Allo stato attuale, è possibile notare come l’incidenza dei prodotti a tecnologia avanzata nell’export cinese sia fortemente aumentata, passando dal 3% sul totale nel 1998 al 19% nel 2010. Anche se questo non equivale a quanto auspicato dai dirigenti cinesi, di fatto ci si sta già allontanando dal modello di produzione basato sul basso costo della manodopera. Altro indicatore dell’evoluzione in tal senso è la crescente tendenza da parte di aziende straniere a installare centri di ricerca in Cina, e non soltanto a basarvi la produzione. I motivi sono il basso costo degli scienziati/ingegneri quali numerosi e accurati esecutori e l’instaurare relazioni (guanxi, 关系) capaci di facilitare l’accesso al mercato cinese. In realtà, se pure si prevede una parte maggiore per la ricerca di base, si pone sempre l’accento sulla soluzione dei problemi concreti quali produzione, ambiente, sanità. Ciò porta a mantenere un’enfasi su progetti di ricerca applicata e forme di programmazione top-down.
In conclusione, è prevedibile che, a meno di gravi crisi politiche interne o internazionali, il livello qualitativo della ricerca/sviluppo cinese tenderà gradatamente ad aumentare, come anche la qualità dei prodotti. Continuerà altresì la tendenza a orientare la produzione verso tecnologie avanzate, come anche l’importanza dei vantaggi di scala. Tali sviluppi riguarderanno in gran parte il piano applicativo, pur con crescente presenza di idee nuove. È ragionevole ritenere che negli anni a venire la situazione potrà rassomigliare, pure se in scala più grande, a quanto accaduto in Giappone.
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