ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.
I centri urbani sono ad oggi il motore della crescita economica globale ma allo stesso tempo costituiscono la principale vittima nonché fonte di emissione dei gas serra e sostanze inquinanti. Le 10 città più grandi del globo combinate producono più ricchezza dell’intero Giappone e generano oltre 1.300 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, superando sia il Giappone, che l’India o la Germania. Per questo negli ultimi 20 anni la Cina si è impegnata nella promozione di “eco-città” e più recentemente ha iniziato a utilizzare standard di sviluppo a bassa intensità di carbone nei suoi principali centri urbani. Uno dei più importanti vettori di questo impegno è il Low Carbon City China Program (LCCCP), il cui managing director, Zhang Ruijie, è stato ospite di ThinkINChina a febbraio.
Tra le maggiori sfide che attendono la quinta generazione di leader cinesi capitanata da Xi Jinping e Li Keqiang (习近平, 李克强) spiccano infatti l’urbanizzazione e la questione ambientale. Nel 1978, all’inizio dell’era delle riforme denghiste, il tasso di urbanizzazione in Cina era inferiore al 18% e in poco più di 40 anni ha raggiunto il 50%. Entro il 2030 il 70% della popolazione cinese vivrà nelle città e consumerà l’83% dell’energia del paese; per questo il governo centrale sta concentrando una parte dei suoi sforzi nel cosiddetto low-carbon city approach.
Anche se non esiste un vero e proprio consenso sulla definizione di low carbon economy, Zhang Ruijie ha adottato quella proposta dall’Accademica cinese per le scienze sociali (CASS). Si tratta quindi di un modello economico caratterizzato da alti livelli di produttività del carbone, da un alto livello di sviluppo umano che coesiste con alcuni limiti imposti alle emissioni di carbone realizzabili in una fase di sviluppo post-industriale.
I primi segnali di questo nuovo impegno governativo in termini di crescita eco-sostenibile risalgono al 2009, quando Pechino varò un pacchetto di stimolo economico che destinava 210 miliardi di renminbi (32 miliardi di dollari USA) al potenziamento dell’efficienza energetica e al settore delle energie alternative. A questo sforzo concorre anche il settore privato che sta pesantemente investendo nello sviluppo low-carbon cinese sia dall’estero (Singapore, Australia e Regno Unito), sia tramite aziende cinesi specializzate nella produzione dell’energia rinnovabile usata nelle città a bassa intensità di carbone.
Nel giugno 2010, la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme lanciò un programma pilota per realizzare città low-carbon in cinque province (Guangdong, Liaoning, Hubei, Shanxi e Yunnan) e otto città (Tianjin, Chongqing, Shenzhen, Xiamen, Hangzhou, Nanchang, Guiyang e Baoding). Il piano prevedeva una riorganizzazione delle strutture industriali, un’ottimizzazione degli impieghi energetici e una promozione dell’architettura e delle tecnologie eco-sostenibili. Il successo è stato tale che il governo ha iniziato a settembre scorso la pianificazione di un secondo round di programmi pilota per accelerare il processo.
Nel Dodicesimo Piano Quinquennale (2011-2015), il governo cinese si è impegnato a sganciare il perseguimento della crescita economica dalle emissioni di CO2, che saranno ridotte del 17% rispetto ai livelli del 2010. Nei prossimi 3 anni la Cina istituirà quindi 100 città, 200 contee, 1.000 distretti e 10.000 villaggi che funzioneranno da modello dei nuovi standard di sviluppo a bassa intensità di carbone.
Lo stesso Rapporto presentato al XVIII Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese contiene un appello al sogno di una “beautiful China” in grado di “promuovere vigorosamente la costruzione di una eco-civilizzazione per combinarla con lo sviluppo politico, culturale e sociale e realizzare uno sviluppo della nazione cinese”.
Queste iniziative promosse dall’alto rispondono inoltre al malcontento sempre più diffuso nella popolazione, che, proprio mentre inizia a beneficiare della crescita economica, acquista una più acuta consapevolezza del problema ambientale in Cina. I record storici di inquinamento segnati a gennaio e febbraio a Pechino sono uno dei tanti campanelli di allarme che richiamano il governo ad intraprendere un’azione concreta nella direzione di uno sviluppo sostenibile. Così come le recenti pressioni dall’esterno, prima di tutto da parte del Giappone, che a fine febbraio ha inoltrato a Pechino una serie di proteste riguardo alle nubi di smog che dalla Cina si spostano sul territorio giapponese.
L’attuazione di un futuro low-carbon resta comunque in una fase ancora preliminare in Cina: i progetti-pilota ne hanno dimostrato la fattibilità ma ne hanno anche rivelato le innumerevoli difficoltà. Il coordinamento tra il governo e le autorità locali pone ancora diversi problemi, così come il controllo e il monitoraggio dei piani e del rispetto dei target.
Nel corso della prima sessione dell’Assemblea Nazionale del Popolo apertasi a Pechino la prima settimana di marzo, il governo ha promesso un nuovo pacchetto per l’urbanizzazione e sono in molti a sperare che vi sia inclusa anche l’adozione di nuovi standard ecosostenibili per i centri urbani di tutto il paese.
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