[ThinkINChina] La Cina delle Ong

ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.

 

A partire dalla fine degli anni Settanta, le riforme economiche messe in atto in Cina sotto l’egida della leadership denghista hanno innescato quella che è stata definita una “associational revolution:” una notevole crescita del settore del no-profit e del volontarismo associativo, che ha provocato un cambiamento nei rapporti tra il Partito-Stato e la società civile cinese. La delicata questione delle Ong in Cina e della loro interazione con il governo è stata discussa dal prof. Zhang Changdong (Peking University) durante l’evento di giugno di ThinkInChina.

Già alla fine del XIX secolo fiorivano in Cina i primi germogli dell’associazionismo, come esemplificato dalla Qiangxue hui, una società di ispirazione riformista nata nel 1895 e soppressa dopo cinque mesi di vita dal governo Qing. La Qiangxue hui fu solo la prima di una lunga serie di gruppi volontari di natura culturale, commerciale, rivoluzionaria e riformista che proliferarono nel primo decennio del XX secolo, per poi subire un periodo di forzata inattività nei caotici anni della transizione dal regime imperiale al fragile assetto repubblicano. Negli anni della Guerra civile sia il Kuomintang che il Partito comunista cercarono di mobilitare la realtà associazionista a loro vantaggio, ma dopo la vittoria del PCC e per l’intera durata dell’era maoista la sfera pubblica venne occupata in toto dalle monocromatiche organizzazioni di massa (renmin tuanti, 人民团体), che in accordo con la dottrina maoista della “linea di massa” furono utilizzate dal Partito come “cinghie di trasmissione” per penetrare ogni strato della società e mobilitare il popolo per la rivoluzione permanente.

Il programma di “riforme e apertura” (gaige kaifang, 改革开放) di Deng Xiaoping ha provocato una graduale de-concentrazione del potere politico e una parziale ritirata dello Stato dall’economia e da alcune sfere della vita di aggregazione. Si è così creato un vacuum nello spazio sociale che né l’economia di mercato né il governo sono in grado di colmare. Le organizzazioni no-profit e le associazioni volontaristiche sono così divenute, spesso per volontà del governo stesso, la “terza via” per risolvere alcuni dei problemi che affliggono la società cinese.

Zhang Changdong ha fatto notare come il dibattito sulla società civile e sulla questione delle organizzazioni non governative cinesi ruoti intorno a due opposti concetti. Il primo è quello di pluralismo, inteso come l’emergere di nuove forze socio-politiche sempre più autonome e indipendenti dallo Stato. Questo concetto ha però un’implicita carica ideologica fondata sull’idea che la società civile (nell’accezione occidentale del termine), attraverso la sua attività di advocacy, sia in grado di trasformare il sistema politico in senso democratico. Quest’opposizione binaria tra Stato e società mal si adatta però alla realtà cinese. O almeno questa è l’opinione di diversi studiosi che per descrivere il ruolo del settore no-profit e non-governativo nel contesto cinese preferiscono il concetto di “corporativismo di Stato autoritario” (contrapposto a quello liberale britannico o nipponico). All’interno dello schema corporativo, la rappresentanza degli interessi settoriali è mediata da organizzazioni riconosciute (se non addirittura create) dallo Stato, che mobilitano la società civile per la tutela di interessi collettivi in un regime di parziale autonomia dal governo centrale. Zhan Zhibin e Guo Chao hanno quindi avanzato l’idea di un “continuum corporativista”, delimitato da una parte dalle cosiddette Gongo (Government-organised non-governmental organisations) e dall’altra dalle organizzazioni di base (grassroot), il cui denominatore comune è il rapporto di sostanziale consenso e cooperazione tra il governo e l’organizzazione stessa.

La riforma e l’apertura economica avevano dato nuova linfa allo sviluppo delle organizzazioni di base, ma, in seguito ai fatti di Tian’anmen del 1989, il governo cinese ha promulgato il Regolamento sulla registrazione e sull’amministrazione delle associazioni, delegandone la competenza al Ministero per gli affari civili (Moca). È stato così creato un duplice meccanismo di registrazione: prima di potersi registrare presso il Moca, le Ong devono assicurarsi uno sponsor, cioè un’organizzazione ufficiale o semiufficiale che funzioni da garante. Soprattutto nel caso di temi sensibili (per esempio i diritti civili) questo meccanismo ha finito per limitare il numero delle Ong registrate a circa il 4% del totale (quasi 500 milioni), mentre il restante 96% si è registrato come entità commerciale o con fini di lucro per poter continuare a operare. Nonostante ciò, il numero delle associazioni di base ha continuato a crescere, anche se ha subito una battuta di arresto tra il 1996 e il 2001 in seguito all’introduzione di un emendamento ulteriormente restrittivo al Regolamento del 1989. Ufficialmente il Moca suddivide le associazioni di base in cinque categorie: le associazioni accademiche (xueshu), commerciali (hangye), professionali (zhuanye), le federazioni (lianhe) e le fondazioni (jijinhui). Non sorprende che le prime due comprendano la maggior parte di quelle registrate, e di conseguenza approvate dal governo.

Ciò sembra coerente con l’idea occidentale di un monolitismo autoritario cinese che non lascia alcuno spazio alla fioritura della società civile. In realtà il caso cinese è assai più complesso. Certo, le restrizioni al settore non-governativo sono ancora estremamente pesanti e fonte di frustrazione per tanti operatori del settore dei diritti civili, dei diritti del lavoro e della sicurezza sociale. Tuttavia, qualcosa è cambiato. Sebbene termini come “società civile” o “grassroot democracy” restino ancora un tabù, il governo sembra prendere coscienza del potenziale benefico delle associazioni di base. Una dimostrazione si è avuta nel luglio 2012, quando il Moca ha organizzato un’imponente fiera nazionale della beneficenza a Shenzhen, la “citta della filantropia”, alla presenza dell’allora presidente Hu Jintao, che ha affermato la necessità di ulteriori progressi nel campo degli affari civili.

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