[ThinkINChina] Le elezioni egiziane e le ricadute sui rapporti con Pechino

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Nel giorno stesso in cui il popolo egiziano si recava alle urne per scegliere il prossimo presidente della repubblica araba, il Prof. Wang Suolao, Direttore del Centro per gli studi sul Medioriente della Peking University, era ospite dell’appuntamento di maggio di ThinkInChina. Il prof. Wang ha dunque dedicato il suo intervento agli orientamenti di politica estera delle forze politiche islamiche in Egitto nei confronti della Repubblica popolare cinese (Rpc), evidenziandone le diverse sfumature in termini di percezione del ruolo della Cina nel futuro del paese.

Mentre la “Rivoluzione dei gelsomini” spazzava via il regime di Hosni Mubarak, le relazioni bilaterali tra Cina ed Egitto compivano 55 anni. Primo tra i paesi arabi a riconoscere la Repubblica popolare cinese, l’Egitto ha costituito a lungo un partner strategico per Pechino, fornendole sia uno sbocco al bacino del Mediterraneo che un prezioso interlocutore nel processo di pace mediorientale. Negli ultimi vent’anni, Mubarak aveva investito considerevoli risorse diplomatiche nelle relazioni con la Cina, soprattutto nell’ottica della partnership economica e commerciale inaugurata nell’aprile 1999. La convergenza di interessi tra la potenza cinese in ascesa e il paese arabo, da sempre al centro dello scacchiere mediorientale, aveva portato l’ambasciatore cinese in Egitto, Wu Sike, a definire l’amicizia tra Pechino e Il Cairo come un modello ideale di cooperazione sud-sud. Lo stesso presidente Hu Jintao aveva dichiarato che la cooperazione strategica tra la Cina e l’Egitto di Mubarak costituiva un beneficio per la pace mondiale e regionale.

L’evoluzione di tale fiorente relazione bilaterale ha subito un momento di stallo a partire dal febbraio 2011, quando, in seguito alle rivolte di Piazza Tahrir – la fase egiziana della cosiddetta “Primavera araba” – il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa), guidato dal maresciallo Hussein Tantawi e dal primo ministro Essam Sharaf, ha sostituito Mubarak e si è posto a capo di un regime di transizione. Durante le proteste di piazza, Pechino, temendo un contagio rivoluzionario, aveva condannato le proteste contro il regime di Mubarak, considerate come una pericolosa fonte di instabilità sociale.

Ciononostante, in seguito alla caduta del regime di Mubarak, Pechino ha pragmaticamente riconosciuto le nuove forze al potere e il diritto del popolo egiziano a decidere del proprio destino, anche perché, subito dopo l’arrivo al potere, il Csfa ha ribadito la propria intenzione di mantenere fede agli impegni sottoscritti dal regime precedente e alla tradizionale linea di politica estera egiziana, incluso il trattato di pace con Israele. In realtà, mentre dalla caduta di Mubarak le tensioni con Tel Aviv sono notevolmente aumentate, le relazioni con la Repubblica popolare sembrano proseguire su un binario positivo.

Dopo l’insediamento del governo di transizione le due parti si sono scambiate visite ufficiali in un clima di rispetto reciproco, sottolineando il permanere di una sostanziale convergenza di interessi. Lo scorso febbraio, il trionfo delle forze politiche di ispirazione islamica nelle elezioni parlamentari non ha prodotto alcuna svolta radicale in questo rapporto, confermando il pragmatismo dei loro leader. Più che una lotta tra secolaristi e islamisti, peraltro, si assiste ad una forte competizione tra le componenti interne al fronte islamico. Le elezioni parlamentari hanno prodotto una solida vittoria per i Fratelli musulmani e il loro partito “Libertà e giustizia” – con 77 dei 156 seggi del parlamento – ma hanno anche rivelato l’inaspettata forza dell’alleanza salafita, dominata dal partito “al-Nour” (33 seggi) sebbene il parlamento sia stato successivamente sciolto dalle Forze Armate, le successive elezioni presidenziali hanno visto vincitore il candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi.

La Fratellanza musulmana e il blocco salafita costituiscono due versioni dell’Islam politico radicalmente diverse, ma che in termini di politica estera verso la Repubblica popolare cinese non sembrano troppo distanti. Wang Suolao ha sottolineato come da entrambe le parti sia stata manifestata l’intenzione di non cambiare rotta nei confronti di Pechino. E’ quindi prevedibile che le logiche economiche torneranno a dominare su altre delicate e dolenti questioni, come il turbolento rapporto tra il governo centrale di Pechino e la minoranza musulmana in Cina. Sembra inoltre che l’iniziale reticenza cinese e il sostegno espresso solo ex post al cambio del regime egiziano siano stati perdonati sia dai salafiti che dai Fratelli musulmani.

Ciò è divenuto evidente quando, a febbraio, una delegazione del Partito comunista cinese (Pcc) si è recata al Cairo e ha incontrato il leader del partito Libertà e giustizia, neo-eletto presidente, Mohamed Morsi, che ha definito l’Egitto come “la porta di accesso cinese in Africa”. L’ambasciatore cinese Song Aiguo e il direttore generale del Dipartimento internazionale del Comitato centrale del Pcc, Jiang Jianhua, all’unisono con Morsi, hanno ribadito l’importanza delle relazioni sino-egiziane.

I salafiti di al-Nour sembrano porsi nella stessa ottica, pur presentando lievi differenze. La Cina si trova infatti, come sottolinea Wang, al di fuori dei perimetri tradizionali dei “Quattro cerchi” che costituiscono le priorità della politica estera salafita-wahabita egiziana: il cerchio egiziano, arabo, islamico e africano. Tuttavia, pur non essendo Pechino in cima all’agenda estera del salafismo egiziano, è anche vero che al-Nour è ideologicamente più vicino alla Cina sotto alcuni aspetti, specie nel suo netto rifiuto dell’egemonia americana e delle politiche israeliane, politiche con cui la Fratellanza sembra invece essere più disposta a scendere a compromessi. I Fratelli musulmani, infatti, sembrano aver progressivamente attenuato lo spirito rivoluzionato della prima fase delle rivolte arabe e da qualche tempo lanciano messaggi rassicuranti all’Occidente quali il rifiuto della sharia e il mantenimento dei trattati con Tel Aviv.

Intanto, il fatto che il governo di transizione abbia continuato a intrattenere rapporti cordiali con la Rpc è stato particolarmente evidente durante la visita del ministro degli Esteri egiziano Mohammed Amr in Cina, dove ha incontrato il suo omologo Yang Jiechi e il vicepresidente della Rpc Xi Jingping. Le due parti hanno congiuntamente ribadito il loro supporto per una soluzione non armata e all’insegna del dialogo della questione siriana e hanno espresso fiducia reciproca riguardo il ruolo che Il Cairo e Pechino posso svolgere nelle vicende mediorientali.

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