ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.
La rivoluzione economica, politica e sociale prodotta in Cina dalle riforme denghiste si è tradotta negli ultimi trent’anni in una vera e propria rivoluzione sessuale e dei costumi. Il nuovo approccio alla sessualità ha avuto a sua volta un forte impatto sull’industria del sesso, oggetto di ricerca della Prof. Huang Yingying, vice direttore dell’Institute of Sexuality and Gender presso la Renmin University e ospite di ThinkInChina nel mese di marzo.
I primi bordelli ufficiali in Cina risalgono all’inizio del VII secolo a.C. quando la dinastia Shang permise una diffusa commercializzazione del corpo delle donne. Ma è durante l’era Tang (618-907 d.C.) che la prostituzione, sia privata sia istituzionale, raggiunse la sua massima diffusione.
Solo con il Movimento del 4 Maggio, all’inizio del XX secolo, si registrò un radicale cambiamento di atteggiamento nei confronti della prostituzione, considerata una pratica culturale anacronistica e dannosa. Come osservato da Gail Hershatter, per le élites intellettuali del tempo, fortemente nazionaliste, il controllo del desiderio sessuale, e quindi la repressione della prostituzione, divennero addirittura uno strumento-chiave per restaurare il potere della nazione cinese e raggiungere l’obiettivo della modernizzazione.
Alla fine dell’era repubblicana, la rivoluzione comunista intrapresa da Mao Zedong culmina in una vera e propria lotta alla prostituzione e alle malattie sessualmente trasmesse. Il marxismo ortodosso era chiaramente incompatibile con la prostituzione, considerata un male tipico della vecchia società capitalista e così, nel 1949, solo a Pechino furono chiusi 220 bordelli e “salvate” 1.200 prostitute, mandate in centri di rieducazione o cura delle malattie veneree per poi divenire “donne nuove” (xin nü, 新女). Nel 1958 il governo cinese annuncerà quindi di aver sradicato la “pratica feudale” della prostituzione dalla società cinese, e nel 1964 di aver liberato per sempre il popolo dalle malattie veneree, anche se in molti hanno documentato il permanere di una prostituzione “invisibile” sotterranea soprattutto negli anni della Rivoluzione culturale.
L’inizio della fase di “Riforma e apertura” lanciata da Deng Xiaoping coincide invece con la cosiddetta “rinascita dalle ceneri” dell’industria del sesso: un revival su larga scala della prostituzione, diffusasi dalle aree commerciali e costiere del sud e sud-est del paese all’intero territorio della Repubblica popolare. Inizialmente la retorica del governo post-maoista rimase ancorata alla tradizionale concezione della donna quale vittima della prostituzione, tanto che il Codice penale del 1979 considera penalmente perseguibili solo le parti terze coinvolte nelle transazioni sessuali commerciali (art. 140). Tale approccio iniziò a cambiare negli anni Ottanta, quando la Cina fu investita dalla crisi dell’Aids (1986) che portò all’emanazione del “Security administration punishing act” (SAPA), che proibiva l’atto di prostituirsi così come quello di intrattenere relazioni illecite con prostituite, pena la detenzione per 15 giorni, una multa fino a 5.000 renminbi, la rieducazione forzata e l’umiliazione di una comunicazione scritta alla famiglia. In questo senso, l’atteggiamento del governo resta contraddittorio: pur agendo nell’ottica di una crescente criminalizzazione del reato di prostituzione, si continuano a considerare penalmente perseguibili solo le terze parti coinvolte, mentre secondo il Codice penale aggiornato nel 1997 i restanti attori sono colpevoli soltanto di un reato amministrativo (tranne in casi di particolare gravità).
Una nuova fase della lotta alla prostituzione è quindi iniziata solo alla fine degli anni Novanta, quando il governo centrale e le autorità locali hanno intrapreso una decisa repressione della prostituzione concentrandosi sui settori dell’intrattenimento e dell’hospitality, noti per essere i principali incubatori dell’industria del sesso. Queste politiche di controllo e repressione sono culminate nel 2010 nelle cosiddette campagne per “spazzare via il giallo” (saohuang, 扫黄), che pur risultando in migliaia di arresti e chiusure di locali notturni in tutto il paese non sono però riuscite a sradicare il fiorente mercato del sesso. Anche secondo Pan Suiming, studioso della Renmin University e maggiore esperto cinese di sessuologia, il recente proibizionismo è risultato in nuove forme di violenza subite da quelle che Huang preferisce definire “female sex workers” (fsw) per mano della polizia locale, e in un deterioramento dell’assistenza medica alle fsw in termini di prevenzione, aborti, visite e controlli.
Inoltre, negli ultimi anni si sono verificati importanti cambiamenti nell’industria cinese del sesso che ne hanno esteso la rete e l’efficienza organizzativa. Nell’ultimo decennio il mercato della prostituzione è stato alimentato da un’accresciuta mobilità delle persone coinvolte e dalle nuove tecnologie di comunicazione (internet, smartphones etc..), che ne hanno resa ancora più difficile la repressione. Allo stesso tempo, si sono create nuove sovrapposizioni e interazioni tra il mercato del sesso e quello della droga, finora rimasti abbastanza indipendenti. Soprattutto, come dimostrato dalle ricerche di Huang Yingying, i prezzi delle prestazioni sessuali sono drammaticamente diminuiti. Questo trend è in particolare contraddizione con l’andamento generale dell’economia cinese (che da anni registra un costante aumento dei prezzi) e quindi segnala un preoccupante aumento quantitativo dell’offerta di sesso a pagamento, in parte anche dovuto all’ingresso nell’industria del sesso dei gigolò, degli omosessuali cosiddetti “money boys”, e dei trans-gender.
A livello strutturale però, la questione più importante è il rapporto tra la prostituzione e la corruzione delle autorità governative, due fenomeni strettamente correlati, che si favoriscono a vicenda in un circolo vizioso per cui sono gli stessi funzionari corrotti a ostacolare la lotta all’industria del sesso a pagamento, che per primi alimentano. Pan Suiming ha osservato come la Cina vanti una tipologia di prostituzione particolare che implica una costante negoziazione tra coloro che sfruttano il loro potere e la loro autorità per ottenere (spesso con i soldi dello Stato) prestazioni sessuali, e coloro che le vendono per avere in cambio privilegi o anche solo protezione. Per la quinta generazione di leader appena saliti al potere sono quindi fondamentali il proseguimento dei programmi di educazione sessuale e la rivalutazione pragmatica delle misure repressive e inutilmente punitive, soprattutto a livello locale. È proprio a livello locale, infatti, che autorità politiche e di polizia, sfuggendo al controllo del governo centrale, si rendono spesso colpevoli di abusi e casi di corruzione in cui immancabilmente le vittime sono le donne più povere.
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