Nel primo pomeriggio del 4 maggio 1919, a Pechino, centinaia di studenti si radunarono di fronte a Tian’anmen, la Porta della Pace Celeste, per protestare contro il trattato di Versailles, che trasferiva al Giappone le colonie tedesche nello Shandong. Il “Movimento del 4 maggio” – termine che spesso identifica sia le proteste studentesche di maggio e giugno che la più prolungata ed estesa critica della società e della tradizione cinesi fra gli intellettuali della “Nuova Cultura” – assunse quasi immediatamente un enorme valore simbolico: in molti libri di testo, il 1919 segna l’inizio della “modernità” cinese, in modo per certi versi simile alla presa della Bastiglia nella storia europea. E quasi immediatamente il riferimento simbolico al “Quattro Maggio” divenne oggetto di conflitto fra vari schieramenti politici e intellettuali, che nel reclamarne l’eredità, si arrogarono il diritto di identificarne il “vero” significato.
Per gli intellettuali cosiddetti “liberali,” esso fu solo la manifestazione più evidente di un profondo ma lento movimento di riforma, guidato appunto, da intellettuali; il Guomindang ne esaltò il carattere di insurrezione nazionalista e anti-imperialista; nella dottrina ufficiale del Partito comunista cinese il Quattro Maggio segnò invece il momento in cui un radicale progetto di trasformazione culturale (il movimento della Nuova Cultura) si aprì ad una rivoluzione politica di massa che includeva operai e contadini. Questo saggio traccia l’eredità del Quattro Maggio nella storia della Repubblica popolare cinese, evidenziando come essa sia stata interpretata e utilizzata in alcuni momenti cruciali dell’era maoista e post-maoista. L’obiettivo qui non è recuperare un presunto significato “reale,” ma piuttosto illustrare come il senso politico di quegli eventi sia mutato nel tempo, secondo il cambiamento della “verità canonica” di volta in volta rielaborata dal potere.
A dispetto di molta recente ricerca storica, l’idea che Mao Zedong abbia utilizzato e riscritto eventi del passato, più o meno cinicamente, per uso politico, resta un dato acclarato. Tuttavia, sebbene i riferimenti al Quattro Maggio durante l’era maoista fossero spesso stereotipati, selettivi, e stilizzati secondo la convenienza del momento, essi rimasero nel complesso aderenti al carattere e al contenuto politico di quell’evento: il soggetto politico della rivoluzione maoista mantenne una certa “fedeltà” all’evento Quattro Maggio. Al contrario, l’interpretazione che più di ogni altra ha informato e continua ad informare la prospettiva sul Quattro Maggio nel mondo occidentale fu prodotta negli anni Ottanta, all’inizio dell’era delle riforme, e fu l’espressione di un progetto politico di totale depoliticizzazione, volto a cancellare il carattere rivoluzionario del recente passato, cominciando proprio dal Quattro Maggio. Quel tentativo è, nel complesso, riuscito e dal 1989 fino a Xi Jinping il lascito del Quattro Maggio è apparso svuotato e stantio. Risulta ancor più sorprendente, quindi, come proprio in prossimità della celebrazione del centenario di quel movimento, giovani studenti marxisti abbiano cercato di recuperare un senso politico del Quattro Maggio attualizzandolo alla situazione cinese attuale.
Festa della Gioventù, 1939
L’identificazione del Quattro Maggio come momento iniziale del percorso rivoluzionario del Pcc portò subito alla luce una serie di tensioni rispetto all’interpretazione dell’eredità storica di quell’evento: tensioni fra un movimento guidato da intellettuali e un partito che rappresentava le masse proletarie; fra il cosmopolitismo della Nuova Cultura e il Maoismo come dottrina prettamente “cinese”; fra le pratiche radicali di trasformazione ideologica del movimento e il suo presunto carattere “borghese”. Il Quattro Maggio rimase anche sempre collegato a due categorie politiche che continuarono a identificare momenti di insorgenza politica durante il XX secolo, al di fuori del parametro classista del Maoismo: “gioventù” e “studenti”.[1]
Il testo canonico che ufficialmente inserisce il Quattro Maggio nella narrazione del Partito data esattamente due decenni dopo gli eventi del 1919: il 4 maggio 1939 Mao Zedong pronunciò un discorso durante un incontro di giovani rivoluzionari a Yan’an, in celebrazione del ventennale e dell’istituzione di quel giorno come “festa della gioventù” (qīngnián jié, 青年节). In questo famoso testo, Mao fornì un’analisi sintetica dell’esperienza rivoluzionaria cinese fino a quel momento, della situazione in cui versava la rivoluzione, e della missione futura della “gioventù”, il tutto in relazione ad un riesame del significato politico degli eventi del 1919. Il Quattro Maggio, afferma Mao con decisione, era stato un attacco “contro un governo di tradimento nazionale” ed era stato perciò giusto e rivoluzionario. Era stato “un grande evento storico”, a cui gli studenti avevano partecipato eroicamente. Negli anni successivi, continua Mao, la gioventù cinese mantenne una “funzione d’avanguardia”, ponendosi in prima linea nelle schiere rivoluzionarie. Tuttavia, il pur considerevole contingente di giovani intellettuali e studenti disposti a lottare contro l’imperialismo non era sufficiente, non poteva essere la forza principale della rivoluzione, costituita invece dalle masse di operai e contadini. “I giovani intellettuali e studenti di tutto il paese”, concluse Mao, dovevano perciò “integrarsi con le vaste masse operaie e contadine e diventare una sola cosa con esse”.[2] “In ultima analisi, la linea di demarcazione tra gli intellettuali rivoluzionari da una parte e gli intellettuali non rivoluzionari o controrivoluzionari dall’altra, è segnata dalla volontà o meno di integrarsi con le masse degli operai e dei contadini e dal fatto che la mettano o meno in pratica”.[3]
Un paio di punti in questa analisi meritano particolare attenzione: innanzitutto, per Mao (come per altri), il termine “gioventù” indicava giovani studenti ed intellettuali, ed era perciò non una categoria basata sull’età anagrafica, bensì una categoria (potenzialmente) politica, prodotta appunto nel crogiolo del Quattro Maggio. In secondo luogo, Mao, pur reinterpretando il Quattro Maggio per servire i bisogni di una rivoluzione socialista e di classe, rimase per molti versi fedele ad una delle scoperte politiche centrali di quel movimento, nello specifico la (dis)connessione fra status e autorità. Durante le proteste del 1919, gli studenti avevano testardamente rifiutato di collegare la capacità di partecipare attivamente alla vita politica con una specifica posizione sociale o intellettuale (per esempio, rifiutandosi di riferirsi alle proprie proteste come a un movimento “studentesco”). La soggettività politica moderna doveva essere universalmente estesa a tutti i “cittadini” e dunque, paradossalmente, uno dei principi centrali dell’attivismo studentesco del Quattro Maggio fu proprio il fatto che gli “studenti” non reclamassero alcun accesso privilegiato all’autorità politica. Coerentemente, molti studenti davvero provarono ad integrarsi con le masse, cominciando proprio in quel pomeriggio di maggio, nelle strade di Pechino.[4]
Il 4 maggio e il Grande Balzo
L’interpretazione e l’uso simbolico del Quattro Maggio non rimasero certo stabili nella storia del Pcc e due circostanze sono particolarmente rivelatorie, non a caso coincidenti con due delle campagne più radicali dell’era maoista: il Grande Balzo in avanti e la Rivoluzione culturale. Nel 1959, nel pieno del convulso tentativo di accelerare lo sviluppo economico per “superare l’Inghilterra in quindici anni”, editoriali del Quotidiano del Popolo, in celebrazione del quarantesimo anniversario, recuperarono l’appello del Quattro Maggio a favore della “scienza” come incitamento a una rivoluzione tecnologica, scientifica, e culturale. Agli intellettuali veniva chiesto di integrare studio e lavoro, “di fondere l’apprendimento libresco con l’esperienza pratica di operai e contadini”, e di riformare il proprio atteggiamento ideologico. Incitamento analogo per le masse, che dovevano dedicarsi allo studio per migliorare in abilità tecnica e conoscenza scientifica. Questa, secondo gli editoriali, era la logica continuazione del percorso iniziato nel 1919. Nel 1959, il Quattro Maggio divenne dunque il significante per ogni tipo di progresso tecnologico, e venne evocato, per esempio, per incitare giovani operai a prendere il controllo del processo produttivo ed “elevare il livello di automazione e meccanizzazione”.[5] In un raduno di massa in celebrazione dell’anniversario, di fronte a 30.000 persone, il presidente della Società cinese per la scienza e la tecnologia, Li Siguang, paragonò la situazione del momento con quella di quarant’anni prima, quando “molti intellettuali patriottici e di grande abilità, e specialmente molti eccezionali talenti scientifici, sentivano di non avere sbocchi per esercitare le loro competenze”. Quarant’anni dopo, continuò Li, la Cina si trovava nella situazione opposta, in cui i bisogni del paese in termini di tecnologia, scienza, e cultura, eccedevano le capacità di un piccolo gruppo di intellettuali, e la responsabilità di portare avanti lo spirito rivoluzionario del Quattro Maggio era passata dunque al Partito e all’intera popolazione cinese.[6] La rivoluzione tecnologica proposta dal Grande Balzo richiedeva di fatto la democratizzazione del sapere e la fine di un qualsiasi ruolo separato degli intellettuali.[7]
Un altro editoriale, a firma Li Shu, offrì un’analisi leggermente più sofisticata del significato storico del Quattro Maggio. Dopo la rivoluzione del 1911, l’ideologia feudale era rimasta comunque dominante e ciò aveva reso il popolo cinese incapace addirittura di immaginare cosa un sistema repubblicano e rappresentativo potesse essere. Il movimento della Nuova Cultura era stato dunque la continuazione necessaria della rivoluzione in campo ideologico, e la necessaria precondizione per la rivoluzione proletaria a venire. La vittoria di quest’ultima dipendeva in gran parte dal completo successo della prima, da un totale, radicale cambiamento dell’ideologia dominante. In termini marxisti, una rivoluzione nella sovrastruttura, ossia nel modo in cui il popolo pensa, era indispensabile per la vittoria di una più totalizzante rivoluzione politica e sociale. Gli intellettuali, continuò Li Shu, si trovarono alla guida di entrambe le rivoluzioni in parte perché la Cina non aveva una massiccia classe operaia, ma anche perché molti di loro riuscirono a trascendere le loro origini di classe, dedicandosi alla causa e diventando “guerrieri per la classe operaia”.[8] Li Shu pose dunque la questione della trasformazione politica dell’individuo al centro del Movimento del 4 maggio e della sua relazione con la rivoluzione socialista: in questa prospettiva, il Movimento della Nuova Cultura aveva rappresentato il primo tentativo di produrre nuovi individui, con nuovi atteggiamenti ideologici, e la cui auto-emancipazione era appunto la pre-condizione per la rivoluzione – e non, come si sosterrà negli anni Ottanta – la sua antitesi.
Una rivoluzione culturale?
Questa visione del Quattro Maggio come rivoluzione ideologica, indispensabile ma incompleta, ebbe ancora maggiore risonanza dieci anni dopo, quando il cinquantennale del Movimento cadde nel pieno della decennio della Rivoluzione culturale. Benché nel 1969 la retorica del Quotidiano del Popolo fosse ormai divenuta completamente stereotipata e ripetitiva, sottili ma importanti cambiamenti nell’uso politico del Quattro Maggio sono comunque visibili. Dopo tre anni di dibattiti e violenti conflitti su cosa fosse la cultura “socialista”, l’esperienza di mezzo secolo prima con la relativa ricerca di una “nuova cultura” assunse una nuova, più urgente rilevanza: come enfatizzò un editoriale, la battaglia fra quelli che volevano distruggere la “bottega di Confucio & Co”, e quelli che la volevano restaurare non era ancora terminata. Tuttavia, a differenza di quanto accaduto nel 1919, questa battaglia non poteva più essere condotta da intellettuali che avevano dimostrato di vacillare nella loro dedizione rivoluzionaria e non erano riusciti ad integrarsi con le masse: solo la classe operaia poteva guidare la lotta “nella sovrastruttura” contro il sistema ideologico della borghesia e degli oppressori di classe.[9] Nel 1939 a giovani e studenti era stato chiesto di unirsi alle masse e di aiutarle ad organizzarsi: nel 1969, suggerisce un altro editoriale, essi dovevano venire rieducati dalle masse; invece di essere partecipanti attivi nella lotta ideologica (come nel 1919 e nel 1939), ne divenivano i bersagli.[10]
Cinque anni dopo, nel pieno della campagna “Criticare Lin Biao, criticare Confucio” (pī Lín pī Kǒng, 批林批孔), il grido di battaglia anti-confuciano del Quattro Maggio divenne un ovvio riferimento. Il Quotidiano del Popolo dichiarò che il pī Lín pī Kǒng era la diretta continuazione del Movimento del 4 maggio[11] e lodò gli studenti operai-contadini-soldati dell’Università di Pechino per aver ereditato e portato avanti la “rivoluzione spirituale” dei loro predecessori, formando più di 300 gruppi di studio – un riferimento diretto alla proliferazione di associazioni e gruppi di ricerca durante il Movimento della Nuova Cultura.[12] Gli attacchi anti-confuciani del Quattro Maggio vennero descritti come il riflesso sul piano ideologico della battaglia politica anti-feudale e anti-imperialista che il proletariato cinese doveva ingaggiare. La rivista Hóngqí citò Mao: “Senza la lotta condotta durante il Movimento del 4 maggio contro lo stile stereotipato e il dogmatismo di vecchio conio, il popolo cinese non avrebbe potuto liberarsi spiritualmente da quelle catene e la Cina non avrebbe potuto sperare di conquistarsi la libertà e l’indipendenza”.[13] Il pī Lín pī Kǒng presentò dunque la più chiara definizione del Quattro Maggio come inizio di una rivoluzione ideologica che, negli anni Sessanta e Settanta, veniva percepita come ancora – e forse destinata a restare sempre –incompleta. Per molti versi, questa era una caratterizzazione non erronea della portata della trasformazione ideologica che il Movimento della Nuova Cultura / Quattro Maggio si proponevano. Indirettamente, questa connessione dovrebbe anche far riflettere sulla nonchalance con cui la letteratura storica ha generalmente liquidato il pī Lín pī Kǒng. Malgrado la ripetitività retorica e la reiterazione di frasi stereotipate, se vista alla luce di una continuazione del Quattro Maggio come lotta ideologica, la campagna del pī Lín pī Kǒng può davvero essere interpretata come (l’ultimo?) tentativo di produrre un totale riesame della “cultura cinese”, un riesame condotto non nei limitati confini di circoli intellettuali ma attraverso la partecipazione di massa in un dibattito ideologico potenzialmente trasformativo in termini di contenuto e forma – nel senso che la partecipazione stessa di operai e contadini nella produzione intellettuale era considerata altrettanto significativa quanto i risultati di quella produzione.
Un nuovo illuminismo per gli intellettuali
Questo dibattito di massa si concluse con la fine dell’era maoista: negli anni Ottanta, in coincidenza e in relazione con le riforme di Deng Xiaoping, risorse un discorso che rivendicava il Quattro Maggio come un progetto di modernizzazione intrapreso specificamente da intellettuali, progetto interrotto tragicamente negli anni di Mao e che gli intellettuali avevano la responsabilità di recuperare e portare avanti. Questo discorso ricollegava il Quattro Maggio e il presente sotto il nome dell’“illuminismo”: se gli anni Dieci del 1900 avevano visto il primo, incompleto tentativo (da parte degli intellettuali) di “ridestare” il popolo cinese, gli intellettuali degli anni Ottanta lavoravano al servizio di un “nuovo illuminismo”. Per quanto a-storica fosse, questa connessione tra la “febbre culturale”[14] e l’era del Quattro Maggio fu essenziale per definire le caratteristiche fondamentali sia del passato che del presente: fissò il dibattito sulle linee di una doppia opposizione tradizione/modernità e Cina/Occidente; contribuì ad evitare una discussione diretta del socialismo e del periodo maoista; e incoraggiò una particolare definizione del ruolo degli intellettuali nella società post-maoista.
I pensatori del “nuovo illuminismo”[15] descrissero il Quattro Maggio come l’originale ricerca della modernità, ma definirono quella modernità anzitutto come “occidentale”, e in termini di scienza e razionalità: il modello che presentarono alla Cina affinché fosse emulato era quello di un occidente razionale, weberiano, e in gran parte immaginario. Questo era anche un modo per prendere le distanze da quello che sia lo Stato che gli intellettuali consideravano la svolta irrazionale, volontaristica, e collettivista del Maoismo, specialmente ai tempi del Grande Balzo e della Rivoluzione culturale. Questi erano stati gli ultimi di una serie di errori politici disastrosi, che avevano portato la Cina sempre più lontano dal percorso verso la modernità intrapreso a inizio secolo. Molti pensatori ritenevano che “la scienza moderna, la ragione, e la razionalità fossero parte della modernità, e che la ricerca della modernità nel pensiero cinese […] fosse la logica continuazione del Movimento del 4 maggio [e] coincidesse con la ricerca della scienza moderna e della razionalità illuminista”.[16]
La totale negazione (chèdǐ fǒudìng, 彻底否定) delle politiche del “tardo Maoismo”, che era alla base delle riforme dell’era di Deng,[17] ebbe un’altra conseguenza, cruciale per la posizione degli intellettuali. Come ha discusso Tani Barlow, le riforme denghiste interruppero brutalmente la connessione fra lo Stato e i contadini, eliminando di fatto quella che era stata, almeno teoricamente, una delle fonti di conoscenza della Cina maoista. Ciò ovviamente amplificò l’importanza dei zhīshifènzi (知识分子, gli intellettuali), facendone il solo possibile riferente del sapere moderno all’interno della Cina e conferendo loro l’autorità di parlare a nome dell’intero paese. Gli intellettuali post-Mao divennero “i conoscitori della verità”, grazie allo loro abilità nell’appropriarsi del sapere occidentale, trasferire la modernità occidentale in Cina, e inserire la “parola” occidentale nella “lingua” cinese. [18] Come conclude Barlow, “l’intellettuale al potere parla la lingua di una verità importata. Ecco perché la lingua dei zhīshifènzi dell’era post-maoista è un discorso coloniale”.[19] Al contrario, i contadini, in un completo rovesciamento rispetto alla teoria (e, in parte, alla pratica) maoista, vennero invece condannati ancora una volta come portatori di una mentalità feudale, incarnazione dell’arretratezza, soggetti sempre bisognosi di essere riformati e sempre incapaci di farlo. Il Maoismo aveva, almeno teoricamente, riconosciuto il principio dell’uguaglianza delle intelligenze, vale a dire, per dirla con Rancière, il principio secondo cui operai e contadini non erano solo in grado di parlare la lingua della propria oppressione, ma erano anche capaci di pensiero originale.[20] Le riforme invertirono completamente questa prospettiva. Per Mao, gli unici intellettuali buoni erano quelli che erano disposti ad integrarsi con le masse contadine (o a venire rieducati da queste); negli anni Ottanta, il filosofo Liu Zaifu espresse l’opinione condivisa per cui la missione degli intellettuali era invece “portare l’illuminazione della coscienza moderna ai contadini”.[21]
È dunque chiaro che questa fu una reinterpretazione politica del significato del Quattro Maggio tanto quanto lo erano state quelle dell’epoca maoista. Infatti, il discorso intellettuale degli anni Ottanta costituì innanzitutto un complemento e un supplemento del discorso dello Stato denghista. Erano parte dello stesso progetto: fu il discorso dell’“illuminismo” che permise di conferire autorità sia allo Stato che agli intellettuali. Come ha sottolineato Wang Hui, “è chiaro che il pensiero del nuovo illuminismo in Cina è servito come fondazione ideologica delle riforme. Infatti, la divisione fra gli intellettuali del Nuovo Illuminismo e l’establishment statale emerse gradualmente dalla loro intima relazione”.[22] Gli intellettuali erano dunque ben lontani da costituire un’“opposizione”, una “società civile” sganciata o antitetica rispetto allo Stato, e i due progetti non erano solo compatibili ma dipendenti l’uno dall’altro.
La fede in questo comune progetto cominciò a vacillare nella metà degli anni Ottanta e crollò tragicamente nel 1989, quando la definitiva incompatibilità fra i sogni degli intellettuali e i piani del Pcc venne sancita nel sangue. Tuttavia, la particolare visione del Quattro Maggio prodotta dal “nuovo illuminismo” esercitò un’enorme influenza sull’analisi storica di quegli eventi, in Cina ma soprattutto nell’accademia occidentale, alimentando un’interpretazione che è ancora dominante tutt’oggi e le cui implicazioni politiche sono normalmente passate sotto silenzio. L’idea, tuttora centrale, del Quattro Maggio come di un movimento squisitamente “intellettuale”, il cui vero valore (l’emancipazione individuale) era stato sacrificato sull’altare del collettivismo e dell’autoritarismo di Partito, e il cui impeto modernizzatore e democratico era stato di fatto soffocato e tradito dall’ascesa del Pcc è appunto una derivazione diretta della politica post-maoista ed è funzionale all’affermazione della centralità della classe intellettuale e, in egual maniera, delle politiche dell’era Deng.
Ringiovanimento nazionale e giovani pionieri
Questa sintetica analisi dei mutevoli significati del Quattro Maggio nella storia della Repubblica popolare non può che concludersi con l’anniversario appena celebrato: le commemorazioni per il centenario sono state occasione per ovvie ed insulse produzioni retoriche, ma anche per alcune sorprendenti ed originali reinterpretazioni politiche. Il 30 aprile, Xi Jinping ha pronunciato un lungo discorso che delinea la più recente ricostruzione ufficiale del significato storico e politico del Quattro Maggio. All’inizio del discorso, Xi ha dispiegato l’usuale repertorio di frasi fatte – Nuova Cultura, illuminismo, anti-imperialismo, anti-feudalesimo, introduzione del Marxismo, ecc. – ma quasi subito ha scelto di focalizzare l’attenzione su quella che evidentemente considera la caratteristica principale e determinante del movimento: il patriottismo. Il patriottismo, proclama Xi, è “il nucleo centrale del nostro spirito nazionale”, e scorre nelle vene del popolo cinese “sin dai tempi antichi”.[23] Nel resto del discorso, Xi usa il Quattro Maggio per definire le responsabilità dei giovani nella Cina contemporanea, riassunte nei termini mínzú fùxīng (民族复兴), “ringiovanimento nazionale”, “uno slogan coniato e promosso dal Pcc sotto la leadership di Xi”[24] che descrive il presente come “l’era migliore per lo sviluppo della nazione”, un’era che offre ai giovani le più grandi opportunità per realizzare imprese senza precedenti, sebbene permanga un alone di opacità su quali siano in effetti tali imprese. I valori di riferimento sono però enucleati nitidamente: amore per la nazione, rispetto per il Partito, promozione del socialismo con caratteristiche cinesi, e il “sogno cinese”.[25] Nel discorso di Xi, come nel resto della retorica ufficiale intorno al centenario, ogni riferimento al Quattro Maggio è completamente e assolutamente vacuo e il 1919 funziona solo come significante vuoto per un generico e preoccupante nazionalismo.
Tuttavia, la versione di Xi e del Pcc, seppure saldamente egemonica, non è incontrastata: una prospettiva radicalmente alternativa è stata recentemente presentata da giovani studenti che si definiscono “marxisti” e sono attivi partecipanti e sostenitori dei movimenti a sostegno dei sindacati operai. Questi giovani sono ben coscienti del ruolo instabile e spesso contraddittorio che gli “studenti” hanno occupato nella narrazione del Partito-Stato, e usano riferimenti a quella narrazione – e al Quattro Maggio nello specifico – nelle loro dichiarazioni politiche dimostrando una consumata abilità non solo nel servirsi della retorica ufficiale a proprio vantaggio, ma anche e soprattutto nel recuperare significati all’interno di una tradizione apparentemente stantia. Per esempio, Yue Xin, laureata alla Peking University e attivista per i diritti dei lavoratori, in una lettera dell’agosto 2018 ha risposto ai critici che accusano gli studenti marxisti di essere, come i loro predecessori nel 1919, “anti-Stato”. Yue ha in prima battuta riutilizzato la fraseologia ufficiale sul Quattro Maggio, citando anche Xi Jinping (che aveva incoraggiato i giovani a “portare avanti lo spirito del Quattro Maggio”). Poi, con uno scarto di piano, ha ridefinito la lotta degli studenti e degli operai “per equità e giustizia” come il vero significato di quello “spirito” nelle circostanze attuali, rimproverando ai critici di aver “dimenticato i valori originali del Partito comunista cinese e del governo del popolo”.[26] Allo stesso modo, a fine luglio 2018, in una petizione a sostegno dei lavoratori della società Jasic firmata da studenti della Peking University, l’eredità del Quattro Maggio torna ad essere una in cui gli operai, e non gli intellettuali, sono i protagonisti e, in quanto tale, nuovamente cruciale nella situazione odierna, quando “la classe operaia si trova di nuovo a una svolta cruciale della storia”.[27]
La sfida forse più diretta all’appropriazione ufficiale del Quattro Maggio è apparsa nella forma di un “Manifesto per il 4 maggio,” pubblicato online dal gruppo marxista “Giovani Pionieri” (il testo è stato poi tradotto in inglese e pubblicato nella New Left Review). L’analisi proposta dai Giovani Pionieri non si scosta molto da quelle dell’era maoista ed è dichiaratamente politica: il Quattro Maggio distrusse il feudalesimo, diffuse nuove idee, sancì l’unione di operai ed intellettuali, favorì la diffusione del marxismo, portando alla fondazione del Pcc e della Repubblica popolare. Quel progetto rivoluzionario fu interrotto non già nell’era maoista, bensì nel 1978, quando “un gruppo di potenti all’interno del partito che avevano imboccato la via del capitalismo tradirono il socialismo”. I Giovani Pionieri attaccano direttamente la “classe borghese burocratica” (vale a dire, il Partito stesso, nella sua attuale configurazione), addebitandole la responsabilità sia dell’oppressione della classe operaia, sia della propagazione di un’ideologia socialmente e culturalmente regressiva – “la promozione della «tradizione familiare» confuciana, «la virtù femminile» e altre idee conservatrici e feudali” – il tutto a servizio del capitale. In questo contesto, il loro “Appello alla gioventù” ha echi familiari: la responsabilità della gioventù d’oggi risiederebbe “nella nostra coscienza sociale, nel dedicare le nostre vite in un movimento di massa in opposizione ai potenti e al capitale – nell’intraprendere ancora una volta il cammino verso democrazia, scienza, uguaglianza. In questo processo, i giovani si renderanno gradualmente conto che «solo il Marxismo può salvare la Cina».”
Oggi i giovani non devono lottare solo per la democrazia nei campus, per se stessi. È più importante che essi si disperdano nelle zone industriali, nella campagna, in ogni campo della vita sociale. I giovani oggi non devono soltanto avere il coraggio di combattere un potere autoritario. È ancora più importante che essi sappiano unirsi con la grandi masse di lavoratori e contadini, per combattere in prima linea nelle loro battaglie.[28]
È molto difficile valutare la portata della sfida politica presentata da questi gruppi di studenti marxisti, visto il loro carattere frammentario e la repressione brutale che hanno subito e stanno tuttora affrontando. Ma un secolo dopo il 4 maggio 1919, sono forse gli unici a recuperare seriamente il carattere politico e rivoluzionario di quell’evento, a riaffermarlo senza remore, e a renderlo rilevante nelle condizioni presenti. Vista la storia qui brevemente riassunta, non è sorprendente che, nel fare questo, essi attingano dal repertorio maoista. Ciò può essere storicamente impreciso, ma quella fedeltà politica è forse il modo migliore per cercare di recuperare nel Quattro Maggio qualche spunto politico che sia valido anche nella situazione della Cina d’oggi.
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[1] Si vedano: Sofia Graziani, “May Fourth Youth Day from Yan’an to the early People’s Republic: the politics of commemoration and the discursive construction of youth”, Twentieth-Century China 44 (2019) 2: 237-252; Fabio Lanza, “Springtime and morning suns: «youth» as a political category in twentieth-century China”, Journal of the History of Childhood and Youth 5 (2012) 1: 31-51.
[2] Mao Zedong, “L’orientamento del movimento giovanile”, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 7 (Milano: Edizioni Rapporti Sociali, 1991-4), 79, disponible all’Url http://www.nuovopci.it/arcspip/rubriqueb645.html.
[3] Mao Zedong, “Il Movimento del 4 maggio”, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 7 (Milano: Edizioni Rapporti Sociali, 1991-4), 76, disponibile all’Url http://www.nuovopci.it/arcspip/rubriqueb645.html.
[4] Questo punto è discusso in Fabio Lanza, Behind the gate – Inventing students in Beijing (New York e Chichester: Columbia University Press, 2010). Si veda anche Fabio Lanza, “Cosa ricordiamo quando ricordiamo il 4 maggio: riflessioni su un secolo di attivismo studentesco in Cina”, Sinografie, 4 maggio 1919, disponibile all’Url https://sinosfere.com/2019/05/04/fabio-lanza-cosa-ricordiamo-quando-ricordiamo-il-quattro-maggio-riflessioni-su-un-secolo-di-attivismo-studentesco-in-cina/.
[5] “Qīngniánmen, fāyáng «wǔsì» gémìng jīngshén chéngwéi dà yuèjìn zhōng zuì yīngyǒng dì tújí lìliàng. Gòngqīngtuán zhōngyāng xuānchuán bù fābiǎo jìniàn ‘wǔsì’ yùndòng sìshí zhōunián xuānchuán tígāng” [Giovani, portate avanti lo spirito rivoluzionario del “4 maggio” per diventare la forza d’assalto più eroica del Grande Balzo in Avanti. Il Dipartimento della Propaganda Centrale della Lega della Gioventù Comunista ha tracciato uno schema per commemorare il quarantennale del “Movimento del 4 maggio”], Quotidiano del Popolo, 2 aprile 1959.
[6] “Shǒudū shèngdà jíhuì jìniàn «wǔsì» sìshí zhōunián” [Grandiosa manifestazione della capitale per commemorare il 40° anniversario del Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 4 maggio 1959.
[7] Sigrid Schmalzer ha evidenziato come il progetto di integrare il sapere pratico dei contadini con le conoscenze teoriche degli scienziati fu intrapreso seriamente durante il Maoismo e produsse risultati non insignificanti. Si veda: Sigrid Schmalzer, Red revolution, green revolution. Scientific farming in socialist China (Chicago: University of Chicago Press, 2016).
[8] Li Wei, “Lùn «wǔsì» yùndòng” [Sul Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 3 maggio 1959.
[9] Dipartimenti editoriali del Quotidiano del Popolo, della rivista Bandiera Rossa, e del Quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione, “Wǔsì yùndòng wǔshí nián” [55° Anniversario del Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 4 maggio 1969.
[10] “Quánguó yì wàn gémìng rénmín rènzhēn xuéxí máo zhǔxí guānyú wǔsì yùndòng de guānghuī lùnzhù –– Jìnyībù zhǎngwò Máo zhǔxí wúchǎn jiējí zhuānzhèng xià jìxù gémìng de xuéshuō –– Zài gōngrén jiējí lǐngdǎo xià bǎ shàngcéng jiànzhú lǐngyù de gémìng jìnxíng dàodǐ” [Milioni di persone rivoluzionarie in tutto il paese hanno studiato seriamente la gloriosa discussione del Presidente Mao sul Movimento del 4 maggio. Padroneggiare ulteriormente la dottrina della rivoluzione continua sotto la dittatura del proletariato del presidente Mao. Sotto la guida della classe operaia, portare a termine la rivoluzione nel campo delle sovrastrutture], Quotidiano del Popolo, 5 maggio 1969.
[11] “Jìniàn wǔsì yùndòng wǔshíwǔ zhōunián” [Commemorando il 55° anniversario del Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 4 maggio 1974.
[12] “Běijīng dàxué gōngnóng bīng xuéyuán kāizhǎn gè zhǒng jìniàn huódòng juéxīn fāyáng wǔsì yùndòng gémìng jīngshén bǎ pī Lín pī Kǒng de dòuzhēng jìnxíng dàodǐ” [I lavoratori, i contadini e i soldati dell’Università di Pechino svolgono varie attività commemorative, determinati a portare avanti lo spirito rivoluzionario del Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 3 maggio 1974.
[13] Shi Zhong, “Wǔsì shíqí pī kǒng dòuzhēng de lìshǐ jīngyàn——jìniàn wǔsì yùndòng wǔshíwǔ zhōunián” [L’esperienza storica della lotta confuciana durante il Movimento del 4 maggio – una commemorazione del 55° anniversario del Movimento del 4 maggio], Quotidiano del Popolo, 5 maggio 1974. Pubblicato originariamente in Hóngqí. La traduzione del testo di Mao “Contro lo stile stereotipato nel partito” dell’8 febbraio 1942 è in Opere di Mao Tse-tung, vol. 8 (Milano: Edizioni Rapporti Sociali, 1991-4), 151. Disponibile all’Url http://www.nuovopci.it/arcspip/rubriqueb645.html.
[14] Il termine “febbre culturale” (wénhuàrè, 文化热) indica il fermento intellettuale degli anni Ottanta. Si veda Jing Wang, High culture fever. politics, aesthetics, and ideology in Deng’s China (Berkeley: University of California Press, 1996).
[15] Uso questo termine in maniera non specifica, per indicare un milieu intellettuale.
[16] Min Lin (con Maria Galinowski), The search for modernity. Chinese intellectuals and cultural discourse in the post-Mao era (New York: St. Martin’s Press, 1999), 7.
[17] Alessandro Russo, “How did the Cultural Revolution end? The last dispute between Mao Zedong and Deng Xiaoping, 1975”, Modern China 39 (2013) 3: 239-279.
[18] Zhang Xudong, Chinese modernism in the era of reforms. Cultural fever, avant-garde fiction and the new Chinese cinema (Durham: Duke University Press, 1997), 12.
[19] Tani Barlow, “Zhishifenzi [Chinese intellectuals] and power”, Dialectical Anthropology 16 (1991) 3-4: 226.
[20] Charles Bingham e Gert J. J. Biesta, con Jacques Rancière, Jacques Rancière: education, truth, emancipation (Londra: Continuum, 2010).
[21] Citato in Jing Wang, High culture fever. Politics, aesthetics, and ideology in Deng’s China (Berkeley: University of California Press, 1996), 115.
[22] Wang Hui, “Contemporary Chinese thought and the question of modernity”, Social Text 55 (1998): 18.
[23] Xi Jinping, “Zài jìniàn wǔ sì yùndòng 100 zhōu nián dàhuì shàng de jiǎnghuà” [Discorso per il centenario del Movimento del 4 maggio], 4 aprile 2019, disponibile all’Url http://www.xinhuanet.com/politics/leaders/2019-04/30/c_1124440193.htm.
[24] Q. Edward Wang, “The Chinese historiography of the May Fourth Movement, 1990s to the present”, Twentieth-Century China 44 (2019) 2: 148.
[25] Xi Jinping, “Zài jìniàn wǔ sì yùndòng 100 zhōu nián dàhuì shàng de jiǎnghuà” [Discorso per il centenario del Movimento del 4 maggio], 4 aprile 2019, disponibile all’Url http://www.xinhuanet.com/politics/leaders/2019-04/30/c_1124440193.htm.
[26] Yue Xin, “Open letter from Solidarity Group representative Yue Xin to CCP Central Committee and General Secretary Xi Jinping”, China Digital Times, agosto 2018, disponibile all’Url https://chinadigitaltimes.net/2018/08/no-one-can-resist-the-tides-of-history-detained-activist-yue-xin-on-the-jasic-workers/.
[27] “Lettera degli studenti della Peking University a sostegno dei lavoratori arrestati a Shenzhen il 27 luglio”, disponibile all’Url https://www.hrichina.org/en/citizens-square/letter-support-shenzhen-jasic-workers-arrested-demanding-form-labor-union (link in inglese). Traduzione dell’autore.
[28] Young Pioneers, “May Fourth Manifesto”, New Left Review 116 (marzo-giugno 2019), disponibile all’Url https://newleftreview.org/issues/II116/articles/young-pioneers-a-may-fourth-manifesto. Il testo originale è disponibile all’Url https://youthxianfeng.tk/wsxy/ (link in cinese).
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