Sono trascorsi appena sette anni dal XVII Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, quando il Rapporto (in cinese) presentato dall’allora Segretario generale Hu Jintao illustrava il nuovo orientamento politico favorevole a investire nello “sviluppo di un’industria dell’informazione”. L’impressionante crescita registrata dal comparto media in Cina negli anni successivi ha alimentato un interesse sempre più spiccato per questo settore strategico: da una ricerca condotta sul database Factiva emerge che ben 8.885 articoli legati al tema “media in China” sono stati pubblicati tra il 1 gennaio 1984 e il 1 gennaio 2014.
Se fino al 1949 vi erano in Cina ben 59 istituti di giornalismo, dopo la fondazione della Repubblica Popolare e, in particolare, con l’avvento della Rivoluzione culturale (1966-1976) si è assistito a un loro forte ridimensionamento, che ha risparmiato soltanto 14 dipartimenti universitari. Come per molti altri ambiti di ricerca, bisognerà attendere l’avvio delle riforme promosse da Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70 perché vi sia una ripresa degli studi sui media nella Cina continentale, con i primi programmi di master e dottorato in giornalismo accreditati nel 1981 e iniziali ricerche in scienze della comunicazione sostenute dai vari istituti di giornalismo verso la metà degli anni ‘90. Solo nel 1997 si avrà il varo ufficiale dei programmi di dottorato in Scienze della comunicazione. Lo sviluppo di questa branca di studi ha visto una marcata accelerazione nel corso della prima metà degli anni Duemila, con la costituzione di oltre 500 dipartimenti universitari di Scienze della comunicazione e giornalismo, e il relativo incremento del numero di studenti e laureati.
Una prospettiva analitica di lungo periodo si rivela particolarmente utile per individuare le relazioni che intercorrono tra le istituzioni accademiche cinesi e il resto del mondo nel campo delle Scienze della comunicazione. A tal proposito è importante sottolineare il ruolo degli Stati Uniti, che hanno esercitato e continuano a mantenere un’influenza determinante sullo sviluppo dei media studies nella Repubblica Popolare Cinese. Non a caso Xu Baohuang, primo ricercatore dell’Istituto di giornalismo dell’Università di Pechino – a sua volta prima università cinese ad aver costituito un’unità di ricerca sui media – ha maturato il proprio percorso di studi proprio negli Stati Uniti. Decisamente marginale in questo contesto, invece, il contributo dei centri di ricerca europei.
Per quanto concerne i media analizzati dai ricercatori cinesi, carta stampata e televisione sono stati i mezzi di comunicazione più studiati nel periodo tra il 1985 ed il 2000, con il sorpasso della televisione rispetto alla carta stampata avvenuto nel 1996. È interessante notare come, tra il 1997 e il 2001, gli studi sulla televisione siano arrivati a coprire oltre il 48% della produzione scientifica nel settore delle Scienze della comunicazione in Cina, mentre quelli relativi alla carta stampata sono scesi a un livello inferiore al 3%. Il filone di ricerca dei television studies ha in seguito subìto un forte ridimensionamento, fermandosi al 17% nei primi anni Duemila – un calo di interesse fortemente legato alla sempre maggiore attenzione nei confronti di internet e dei nuovi media.
Secondo un recente studio di Joyce Nip, basato su di un campione di 147 articoli pubblicati su 52 riviste scientifiche peer reviewed selezionate dal database Communication & Mass Media Complete, tra il 1998 e il 2008 i media più studiati risultato essere internet (15%), carta stampata (14,3%) e TV (10,9%). Nip mette in luce come il 66% degli articoli sia stato pubblicato da un autore cinese, il 19,7% da autori non cinesi, mentre il 14,3% è frutto della collaborazione di un ricercatore cinese con un collega non cinese. Per quanto riguarda la collocazione geografica degli autori va segnalata la netta prevalenza di Nord America (34%), Hong Kong e Macao (27%); segue l’Australia (8,8%). L’Europa si conferma in posizione secondaria, con una presenza che si attesta poco sopra il 5% (appena 8 articoli su 147). Analisi di questo genere offrono elementi importanti per comporre il quadro d’insieme e di lungo periodo dello studio dei media in Cina, anche se occorre sottolineare che nella più parte dei casi l’unica lingua presa in considerazione è l’inglese.
Sebbene i ricercatori della Cina continentale abbiano iniziato a confrontarsi con la comunità scientifica internazionale relativamente tardi, il livello di qualità della ricerca prodotta nei dipartimenti e centri della Rpc è in costante e rapida crescita. Il successo di strumenti come il Chinese Social Science Citation Index (CSSCI: Zhongwen shehuikexue yinwen suoyin, 中文社会科学引文索引), sviluppato dall’Università di Nanchino nel 1997 e diventato operativo nel 2000, è un segnale importante: esso è oggi un obbligatorio punto di riferimento per la maggior parte dei ricercatori cinesi di Scienze della comunicazione, anche in virtù delle oltre 2.700 riviste scientifiche inserite nel suo database. L’orientamento verso maggiore rigore metodologico e condivisione di agende internazionali di ricerca costituisce un’importante opportunità per le università europee.
I centri europei che da più tempo studiano in maniera sistematica e organica lo sviluppo del sistema mediatico cinese sono il China Media Center dell’Università di Westminster e l’Osservatorio sui media e le comunicazioni in Cina (Cmo) presso l’Università della Svizzera Italiana (Usi), costituiti rispettivamente nel 2005 e nel 2006. Entrambi i centri continuano a promuovere pubblicazioni ed eventi scientifici al fine di sviluppare un dialogo costruttivo con le più prestigiose università cinesi. Vanno qui evidenziate due esperienze significative che confermano questa tendenza. La prima è il numero speciale “The latest look at media studies in China” della rivista accademica Studies in Communication Sciences, edita dal Cmo in collaborazione con il Dipartimento di comunicazione dell’Istituto di giornalismo e comunicazione dell’Accademia cinese delle scienze sociali, e che ha ospitato contributi originali di ricercatori attivi nella Rpc. La seconda è la EU-China Dialogue in Media and Communication Studies Summer School organizzata dal Cmo in collaborazione con la School of Journalism and Communication dell’Università di Pechino e lo European Centre della stessa università, esperienza formativa indirizzata principalmente a studenti di master e dottorandi cinesi ed europei.
L’interesse delle università europee nei confronti dello studio dei media cinesi ha inoltre conosciuto interessanti sviluppi anche in tempi recentissimi: l’apertura della Chinese Studies Research Alliance (ChiSRA) presso l’Università di Leicester, nel settembre del 2014; il progetto lanciato dalla Amsterdam School for Cultural Analysis dal titolo From made in China to Created in China. A comparative study of creative practice and production in contemporary China, presentato sempre nel settembre 2014; e il gruppo di lavoro Digital China ospitato presso l’università di Leiden, Center for East and South East Asian Studies, attivo dal dicembre 2012. Questo nuovo dinamismo, unito all’interesse delle più prestigiose università cinesi, costituisce una finestra di opportunità importante per la crescita del dialogo tra università cinesi ed europee, e potrà permettere all’accademia europea di esercitare un ruolo ancora più autorevole in un’area di ricerca assai promettente.
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