Nel volume Making the Modern World[1], edito nel 2014, lo storico ceco Vaclav Smil dedica molto spazio ai materiali da costruzione. La scelta è giustificata dal ruolo giocato dall’evoluzione di materiali e tecniche di costruzione nell’erigere, in senso letterale e simbolico, l’edificio della modernità. Nella sua interpretazione classica, la modernizzazione è intimamente legata allo sviluppo di infrastrutture abitative, industriali e di comunicazione. Non a caso, nel corso del Novecento il grattacielo è divenuto emblema della modernità (uno in particolare: l’Empire State Building). Nei paesi in rapida transizione economica e sociale, lo sviluppo in senso verticale del profilo delle città è comunemente considerato sicuro indice di progresso. Fra i dati più sorprendenti citati nel volume di Smil figura quello relativo al consumo di cemento in Cina. Secondo stime del National Bureau of Statistics of China e della US Geological Survey, la Cina avrebbe utilizzato fra il 2009 e il 2011 5,5 miliardi di tonnellate di cemento, contro le 4,6 degli Stati Uniti nel corso dell’intero XX secolo. Per quanto si tratti di stime, questo confronto rende comprensibile in modo semplice e immediato quanto accaduto in Cina in anni recenti: uno dei più rapidi, estesi e profondi mutamenti dell’ambiente fisico e sociale operati dall’uomo in tempo di pace[2].
Figura 1. Consumo di cemento: Cina e Stati Uniti a confronto (miliardi di tonnellate)[3]
Figura 2. Cina: Immagini satellitari notturne a confronto (1992, 2010). Si noti la maggiore estensione di centri abitati e vie di comunicazione nella figura a destra[4]
Il processo di urbanizzazione cinese è strettamente correlato allo sviluppo del tessuto produttivo. Si è verificato parallelamente alla transizione verso un’economia industriale e, in anni più recenti, postindustriale, ovvero caratterizzata da un peso maggiore del settore terziario. Nell’ultimo quarto di secolo, il tasso di urbanizzazione è passato dal 25 al 52%, allineandosi alla media mondiale. In termini assoluti, i residenti urbani sono oltre 700 milioni, contro i 300 del 1992. Da qui al 2030, si prevede che gli abitanti delle città crescano di altri 100 milioni[5].
Figura 3. Urbanizzazione cinese e transizione economica[6],[7]
Oltre ad aver comportato un cambiamento dello spazio e delle sue funzioni, l’urbanizzazione ha ristrutturato le relazioni fra esseri umani e fra questi e l’ambiente naturale. Essa ha contribuito al declino dei legami comunitari e identitari che, in campagna come in città, per secoli hanno plasmato la vita individuale e sociale. Gli effetti collaterali di questo processo sono numerosi: marginalizzazione e alienazione sociale, erosione del capitale sociale, perdita dei valori estetici legati al paesaggio, smarrimento del senso di appartenenza al luogo. A queste problematiche va aggiunto il ritardo nel garantire alle popolazioni di recente inurbamento l’accesso ai servizi sociali essenziali: sanità, educazione, pensioni. A subirne le conseguenze sono state le classi svantaggiate, in specie i migranti privi di formale registrazione della residenza urbana (hukou, 户口), i giovani cresciuti in condizione di alienazione sociale, gli agricoltori e i nomadi privati dell’accesso alle risorse di sostentamento (suolo, acqua) per lasciare spazio a progetti di espansione urbana e infrastrutturale. Sul fronte ambientale, urbanizzazione e nuovi stili di vita tipici della città hanno contribuito a esacerbare l’inquinamento e la scarsità di risorse (idriche, del suolo, energetiche). L’espansione delle città causa inoltre danni agli ecosistemi, danni sovente irreversibili. La maggiore densità di popolazione in aree inquinate sta comportando una crescita nella prevalenza di malattie croniche, in particolare a carico dell’apparato respiratorio e cardiovascolare. Infine, la popolazione è andata concentrandosi in aree vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, quali l’innalzamento del livello medio dei mari e la maggiore frequenza e intensità di eventi meteo-climatici estremi. Transizione economica, squilibri sociali e problematiche ambientali hanno assunto grande rilevanza nel dibattito domestico sull’urbanizzazione. Ne è riprova il “Piano nazionale per l’urbanizzazione di nuovo tipo (2014-2020)” (Guojia xinxing chengshihua guihua, 国家新型城市化规划), primo documento di macro-pianificazione cinese dedicato interamente allo sviluppo urbano. Emanato nel 2014 da Comitato centrale del Partito comunista cinese e dal Consiglio di Stato, il piano tende all’integrazione multi-settoriale delle sfere economica, ambientale, sociale e politica. Per Pechino lo sviluppo urbano dovrebbe essere guidato nel prossimo futuro da innovazione tecnologica e produttiva, attenzione alla salvaguardia della natura, efficientamento energetico e della mobilità, maggiore cura degli interessi delle classi svantaggiate. Grande rilevanza viene attribuita alla riduzione del divario città-campagne, sia in termini di maggiore inclusione sociale delle popolazioni di recente inurbamento, sia con riferimento agli investimenti necessari a integrare il tessuto produttivo urbano e rurale. Tale approccio appare ispirato a un sincretismo fra i tratti salienti della pianificazione territoriale integrata e alcuni fondamenti ideologici dell’azione politica del Partito-Stato (vedi figura 4). Sul piano delle politiche, l’orientamento corrente tende a voler ridurre la frammentazione del sistema legislativo, pianificatorio e amministrativo, attraverso strutture di governance che integrino diverse competenze settoriali e coordinino l’azione dei diversi livelli dell’apparato burocratico.
Figura 4. Urbanizzazione sostenibile in Cina: dimensioni della sostenibilità e ideologia[8]
Il piano recepisce positivamente l’esperienza maturata dai numerosi progetti pilota avviati in Cina a partire dai primi anni 2000, finalizzati a sperimentare forme di pianificazione urbanistica più inclusive delle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile[9]. Pechino ha riconosciuto dunque pienamente, almeno sulla carta, i limiti incontrati nello sviluppo urbano, causa delle cosiddette “malattie della città” (城市病, chéngshì bìng), delineando una strategia atta a superarle. Tuttavia, come accade sovente nel caso della Cina, l’azione politica e il dibattito pubblico rimangono ancorati a forti elementi di continuità. Permane innanzitutto la precedenza accordata alla crescita economica. Lo stesso discorso della crescita ‘verde’, ovvero il superamento della contraddizione fra crescita economica e ambiente, appare in parte strumentale. Esso continua a rispecchiare una visione dello sviluppo incentrata sull’accrescimento del benessere materiale e sullo sfruttamento delle risorse naturali. Anche quando si decide di preservare un’area acquitrinosa, un fiume o una foresta, ciò avviene in genere sulla base della loro attrattività nei confronti di potenziali visitatori, residenti, turisti. Natura e paesaggio (fisico, culturale, sociale) acquisiscono valore in funzione del loro contributo alla generazione di ricchezza, non in virtù del loro essere patrimonio comune. Ciò è reso particolarmente evidente dallo sviluppo del settore del turismo, cui è dedicato il contributo di Zhang Weiliang, direttore dell’Institute of Urban Studies della Hangzhou Normal University, in questo numero di OrizzonteCina. Un secondo elemento di continuità è il forte accento sul nesso urbanizzazione-modernità. Il discorso politico presenta esplicitamente l’urbanizzazione come tassello in un processo di sviluppo lineare, coerente con la teoria classica della modernizzazione. La pianificazione, così come definita dall’élite politica, interpreta un percorso già definito nelle sue tappe fondamentali. È indubbio che in Cina sia presente una frammentazione burocratica in grado di incidere sulla messa in opera della macro-pianificazione nazionale, come argomenta Giulia Romano nel suo articolo su urbanizzazione e sostenibilità, comparando l’esperienza cinese a quella singaporeana. Gli interessi particolari che sfruttano tale frammentazione appaiono d’altro canto agire in accordo con il discorso politico dominante, seguendo l’equazione urbanizzazione = sviluppo. A rafforzare la normatività di questo approccio è la metafora dell’urbanizzazione quale processo ‘naturale’ (ziran guocheng, 自然过程). Presente nello stesso “Piano nazionale per l’urbanizzazione di nuovo tipo”, questa formula ha due conseguenze principali. La prima: in quanto naturale, l’urbanizzazione è inevitabile. L’espansione di una città non è da intendersi quale frutto di scelte politiche, ma come il naturale conformarsi alle leggi che governano l’evoluzione della società umana. La seconda conseguenza consiste nel fatto che l’urbanizzazione, in quanto espressione di una legge ‘naturale’, può essere esclusa dall’arena del dibattito pubblico. Questa visione normativa si riflette nella difficoltà, lucidamente esposta da Nicolas Douay nel suo contributo, di integrare in modo costruttivo forme di partecipazione pubblica ai processi decisionali. Il processo pianificatorio cinese rimane in larga misura incapace di integrare visioni alternative e complementari di sviluppo delle città.[10] Questo deficit è tanto più evidente se si comparano le istituzioni (valori, norme, regole) dell’urbanizzazione cinese con quelle europee. È ben vero, come nota lo stesso Douay, che né l’Europa continentale né il mondo anglosassone possono considerarsi modelli di inclusione sociale e partecipazione ai processi decisionali. Tuttavia, il dibattito scientifico, pubblico e (in parte) politico riesce a mettere in discussione in modo creativo valori, norme e pratiche dell’urbanizzazione. Sono due i filoni che marcano una distanza significativa rispetto all’esperienza cinese. Entrambi pongono al centro della riflessione la relazione fra esseri umani e fra questi e l’ambiente naturale. Il primo filone è di natura sociale e ruota attorno a temi quali l’empowerment e l’inclusione sociali, la co-produzione degli spazi e la riappropriazione dei luoghi, la difesa del capitale sociale e culturale, l’integrazione della crescente diversità culturale connessa ai fenomeni migratori. Il secondo pertiene alla necessità di riconsiderare la città e la sua relazione con l’ambiente naturale, in modo tale da favorirne l’adattamento al cambiamento climatico. A oggi, queste posizioni rimangono minoritarie nel dibattito pubblico e politico cinese. Guardando al futuro, è ragionevole ritenere che l’adattamento al cambiamento climatico entrerà presto nell’agenda delle politica di molte città. Sinora concentrate sulla mitigazione del cambiamento climatico, le autorità cinesi dimostrano infatti crescente consapevolezza in termini di adattamento[11]. Le prospettive sono meno rosee per quanto riguarda un maggiore peso dei comuni cittadini nei processi decisionali. Permane in merito una forte ambivalenza. Da un lato nei documenti ufficiali dedicati all’urbanizzazione l’espressione “gestione sociale” (shehui guanli, 社会管理) è stata sostituita da “governance sociale” (shehui zhili, 社会治理), facendo dunque riferimento a processi più inclusivi di diversi attori, interessi, prospettive. D’altro canto, alla prova dei fatti tale maggiore coinvolgimento risulta spesso di natura strumentale, ovvero atto a garantire stabilità, piuttosto che genuina partecipazione[12]. Un’ambivalenza, questa, evidente anche nell’adozione di piattaforme smart per l’interazione fra cittadini e amministrazioni locali. Negli anni a venire, la Cina non mancherà certo di un piano per governare l’urbanizzazione. Resta da appurare se vorrà intraprendere l’esplorazione di nuove alternative, aprendosi al dibattito tra i diversi portatori di interesse nella società cinese.
[1] Vaclav Smil, Making the Modern World. Materials and Dematerialization (Chichester: John Wiley & Sons, 2014).
[2] Xuemei Bai, Peijun Shi e Yanshui Liu, “Society: realizing China’s urban dream”, Nature 509 (2014) 7499: 158-160, http://www.nature.com/news/society-realizing-china-s-urban-dream-1.15151.
[3] Smil, Making the Modern World, 91.
[4] Joe Weisenthal, “‘China Urbanization’ Nightmaps: 1992 Vs. 2010’”, Share the City, 10 febbraio, 2013, http://www.sharethecity.org/global-development/china-urbanization. Le immagini sono tratte dalla banca dati della National Oceanic and Atmospheric Administration (Nooa).
[5] Daniele Brombal, “Urbanizzazione e sostenibilità in Cina. Verso un cambiamento trasformativo?”, Annali di Ca’ Foscari. Serie Orientale 53 (2017): 305-337, http://hdl.handle.net/10278/3685708.
[6] Ibid.
[7] Commonwealth of Australia, Budget Strategy and Outlook 2016-2017, Budget Paper No. 1, maggio 2016. La sezione relativa ai dati citati in tabella è consultabile all’indirizzo http://www.budget.gov.au/2016-17/content/bp1/html/bp1_bs2-01.htm
[8] Daniele Brombal, “Urbanizzazione e sostenibilità in Cina”, 327.
[9] [9] Daniele Brombal e Angela Moriggi, “Institutional change in China’s sustainable urban development. A case study on urban renewal and water environmental managemen”, China Perspectives (2017) 1: 45-56, https://chinaperspectives.revues.org/7196.
[10] Si veda in merito l’agile riflessione proposta da Carlo Inverardi Ferri, “Commons and the Right to the City in Contemporary China”, Made in China 2 (2017) 2: 38-41, http://www.chinoiresie.info/PDF/Made-in-China-2_2017.pdf.
[11] Qinhua Fang, “Adapting Chinese cities to climate change”, Science 354 (2016) 6311: 425-426, http://dx.doi.org/10.1126/science.aak9826.
[12] Indicativo in tal senso il settore della pianificazione ambientale, strettamente connesso alla pianificazione urbana e infrastrutturale. Si vedano: Bert Enserink e Joop Koppenjan, “Public participation in China: sustainable urbanization and governance”, Management of Environmental Quality 18 (2007) 4: 459-474; e Daniele Brombal, Angela Moriggi e Antonio Marcomini, “Evaluating public participation in Chinese EIA. An integrated Public Participation Index and its application to the case of the New Beijing Airport”, Environmental Impact Assessment Review 62 (2017): 49-60.
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