Parlando di movimenti politici indonesiani, difficilmente ci si trova a pensare a giacche di jeans ricoperte di borchie e toppe comprate su mailorder esteri, a musica estremamente distorta e aggressiva ben al di là della sopportazione dell’orecchio umano. E nonostante tutto, le subculture e i generi di musica underground sono stati una delle più grandi ricchezze di vitalità e cambiamento per l’arcipelago. Oltre ad aver costruito delle scene riconosciute a livello mondiale che da anni connettono l’Europa e l’arcipelago grazie a nomi come Burgerkill, Jasad, Jogja Noise Bombing, Voice of Baceprot, Senyawa e Turtle JR, le giovani audience indonesiane sono riuscite in tempi non sospetti a realizzare il sogno utopico per cui la musica giusta può diventare forza politica.
Alla vigilia di un evento che in Italia, precisamente a Milano, celebra la scena underground di Bandung come esempio della circolazione di ideali e sodalizi transnazionali tra comunità dal basso che da sempre si affidano alle zone grigie e di economie non transazionali, Hyperlocal Club Buahbatu[1], ripercorro la storia della musica popolare ad alto volume e il suo rapporto con le politiche dell’Indonesia dagli anni Sessanta a oggi. Da un lato, la speranza è mostrare come movimenti spesso ritenuti marginali hanno attivato correnti sotterranee di reazione al potere statale. Dall’altro c’è, all’alba di quella che queste nuove comunità annunciano come una nuova era di totalitarismo, l’intenzione di riesaminare l’ultima volta in cui la giovinezza di una nazione complessissima ha avuto un peso politico all’infuori dei circuiti che siamo abituati a pensare come gli unici possibili; provando ancora una volta che i modi ufficiali di fare le cose sono probabilmente quelli sbagliati.
L’incontro dell’Indonesia con la musica popolare ad alto volume non fu facile. Poco dopo la dichiarazione di indipendenza dal colonialismo olandese il primo presidente Sukarno (1959-66) limitò l’accesso agli artefatti della cultura occidentale, ritenendo che generi come il rock’n’roll potessero inquinare la nuova identità nazionale con nuove forme di degrado morale[2]. La musica proveniente dall’ovest fu criminalizzata: furono proibite le trasmissioni radiofoniche di musica occidentale, i dischi di Elvis Presley furono bruciati pubblicamente e nel 1965 una popolare band rock indonesiana, i Koes Plus, fu arrestata per aver suonato un pezzo dei Beatles[3]. Questi divieti non impedirono tuttavia ai giovani di consumare il rock occidentale, che divenne invece simbolo dell’opposizione giovanile. La scena musicale rock indonesiana si sviluppò e fiorì negli anni Settanta con la nascita di un gran numero di gruppi[4].
All’indomani delle uccisioni di massa del 65-66 e della presa di potere dell’allora generale Suharto, il panorama culturale era però cambiato radicalmente. A differenza del suo predecessore, Suharto promosse un governo transnazionale, liberale e filo-occidentale, diventando tristemente famoso per le sue politiche a sangue freddo e a favore dello sviluppo, per la corruzione diffusa e per la brutale e paranoica repressione dell’opposizione[5]. Il regime di Suharto ha permesso la penetrazione di culture di consumo emergenti, in gran parte rappresentate dallo stile di vita della classe media americana[6]. Gli anni Ottanta videro la piena realizzazione degli ideali della gioventù consumistica della classe media spinti dall’infrastruttura di intrattenimento nazionale. Nell’ambito di una strategia di promozione di un galateo di cittadini ‘responsabili’ e ‘rispettabili’, i mass media indonesiani sostituirono il termine politico pemuda (giovane) con l’apolitico remaja (adolescente). La differenza era enorme: mentre giovane (pemuda) implicava affiliazioni politiche o sociali, l’adolescente (remaja) era un modello fittizio basato sul gusto personale[7]. Riviste di musica alternativa come Aktuil, Topchords e Hai plasmarono la gioventù attraverso un interesse materialista per la moda e lo stile di vita cosmopoliti. Eppure, l’inizio di questo nuovo modello di consumo giovanile annunciava in qualche modo anche la fine di Suharto.
Nonostante la necessità di rendere conto di questa ricostruzione macrosociale degli atteggiamenti nazionali verso la musica popolare ad alto volume, sarebbe ingiusto presentare la storia di tali fenomeni giovanili solo dalla prospettiva dei movimenti egemonici. Che ne sarebbe del continuo ritorno della ribellione come una delle principali motivazioni che alimentano la volontà dei giovani ascoltatori di musica rock in Indonesia? E se il nuovo remaja consumista era così rilevante e legato ai canali nazionali di informazione e intrattenimento, cosa fare della ricerca di musica cosmopolita da parte dei musicisti e dei fan del rock nonostante la sua iniziale illegalità? Sebbene Suharto avesse cercato di limitare il pericolo dello scontento giovanile attraverso la stessa musica che i giovani amavano, mentre la musica poteva essere cooptata dalla propaganda di Stato, l’insoddisfazione di questi ultimi nei confronti del regime non poteva essere ridotta. È infatti la musica rock underground sotto forma di punk e metal ad aver galvanizzato il rovesciamento di Suharto nel 1998[8]. L’eccessivo controllo del New Order sui mezzi di comunicazione di massa aveva reso lo scenario musicale offerto dai canali principali poco interessante per il pubblico giovane. Per tutti gli anni Novanta, l’unica cosa che i media mainstream hanno offerto agli aspiranti musicisti è stata una selezione asettica di pop innocuo e sentimentale locale. Per tutti i ragazzi che aspiravano da un lato a una borghesia transnazionale e dall’altro erano sempre più frustrati dal governo, questi generi erano semplicemente troppo complici dell’agenda statale[9].
Di converso, l’underground internazionale era abituato ad affidarsi a reti oblique, spesso para-legali, di distribuzione e informazione. Potendo quindi già contare su infrastrutture alternative di produzione e circolazione di artefatti culturali come cassette e zine, i giovani ‘undergrounders’ indonesiani approfittarono di questa lacuna nel controllo statale e utilizzarono questi generi come potenti risorse immaginative e strategie politiche per rielaborare il loro posto nella società indonesiana e articolare il loro malcontento. Essere attivi nella scena musicale, di colpo, non significava banalmente coltivare un gusto, ma sfruttare una piattaforma di discussione politica – una possibilità da lungo assente.
Dopo aver raggiunto l’Indonesia intorno alla fine degli anni Ottanta, le discussioni e le analisi del termine ‘underground’ hanno iniziato a comparire nelle zine e stampe studentesche. Leggendone in produzioni provenienti da Bandung negli anni Novanta e Duemila come Revograms e Rottrevore, l’underground è descritto come un gruppo di generi musicali popolari, transnazionali e ad alto volume come il punk, il metal e l’hardcore[10]. Più che sui generi musicali, però, l’underground si fondava su pilastri sociali fondamentali come la comunità, il rifiuto dei poteri costituiti e l’affermazione attraverso uno stile di vita indipendente. L’underground per i giovani indonesiani era la promessa di una posizione politica; un rifiuto del sistema produttivo dell’industria musicale insieme a una posizione anarchica ed egualitaria espressa attraverso il pragmatismo dell’autoproduzione; strategie che portano a una radicale libertà di espressione e indipendenza in un’epoca di forti restrizioni sociali. Ciò che è importante è che queste descrizioni del movimento underground rifiutavano le strategie e le categorie che erano utili strumenti di mercificazione della musica e di controllo nazionale durante il New Order.
Se il teenager, il remaja voleva recidere le associazioni politiche e sociali dei giovani per spingerli verso uno stato di anomia borghese, l’underground riaffermava queste affiliazioni con movimenti politici e comunità locali rifiutando il nuovo modello di consumo[11]. Essere underground dipendeva infatti proprio dal produrre musica che estetizzava la trasgressione politica con contenuti pericolosi, includendo critiche o celebrazioni relative a idee di sessualità, politica e religione non in linea con il regime. L’argomento centrale è che, anche se il remaja era un dispositivo nazionale attraverso il quale la cultura straniera poteva sostenere una nuova classe media nazionale conforme all’immagine del giovane cittadino fornita dal regime, la conseguenza indesiderata fu l’underground: una finestra sul mondo al di fuori del controllo statale, un’accidentale cultura di opposizione che leggeva la globalità come un modo per uscire dall’immaginario costrittivo della nazione. Incredibilmente, i circoli studenteschi che ascoltavano i Sepultura e i Minor Threat furono anche quelli che si organizzarono per le sommosse che Suharto, con buona ragione, temeva e che nel tumulto generale lo avevano detronizzato[12]. Il tiranno era caduto e la colonna sonora era stata decisa. Giovani, arrabbiati con più di sessanta decibel nel cervello si ergevano in piedi sulle rovine di uno stato dispotico e un dittatore dimesso.
Dopo la caduta di Suharto, i cittadini indonesiani finalmente sentivano che grazie anche al grande movimento di decentralizzazione politica che vide l’acquisto di maggior potere nei governi e organi istituzionali regionali, c’era possibilità di immaginare un nuovo futuro[13]. La paura di essere arrestati o scomparire nel nulla per aver cantato le canzoni sbagliate si era dissolta. La Reformasi allentava il controllo statale oppressivo e dava nuove possibilità di ibridità, generando nuove categorie e alleanze tra musica cosmopolita, popolare, nazionale e regionale. L’alba di una nuova Indonesia era all’orizzonte, o forse no? Questa ricostruzione dei rapporti tra stato indonesiano, musiche alternative e movimenti giovanili si aggira per l’arcipelago come un fantasma bizzarro. Reformasi è l’ultima categoria temporale utilizzata per definire le ere dello stato indonesiano, indicando che la nazione difficilmente si è ripresa dopo la caduta di Suharto[14]. Sebbene si siano alternati ben cinque presidenti, la speranza che dopo la crisi monetaria del 1997-98 l’arcipelago potesse beneficiare di una nuova era di prosperità e indipendenza si è dissolta in un oceano di estrazione tardo capitalista, guerre civili e separatismi, Wahabismo saudita, conservatorismo, corruzione estrema e oligarchia. Certo, nonostante l’estrema carenza di competitività commerciale la classe media si sta espandendo[15], in qualche modo celebrando una vittoria postuma di Suharto. Quello che arriva però dopo la caduta di quest’ultimo, almeno per le culture giovanili, è un breve periodo di eccitazione seguito dall’aggravarsi della situazione socioeconomica e dall’impossibilità di puntare il dito contro la figura del padre e padrone. All’alba di un’elezione vinta dall’ex generale e populista conservatore Prabowo Subianto, le voci dalle retrovie urlano che il nome della nuova era è Neo-New Order.
E se c’è un nuovo New Order, ci sarà anche un nuovo underground, giusto? Da un lato, dalla Reformasi l’underground è riuscito a farsi riconoscere in circuiti culturali transnazionali per la sua capacità quasi naturale di vestire la rottura e l’avanguardia. Festival come CTM, Hellfest, Wacken e Unsound hanno rappresentato in Europa la vittoria di queste comunità su network statali o commerciali farraginosi e collusi con l’ingiustizia politica. La loro capacità di auto organizzarsi con scene estere quali la nostra, attraverso etichette e progetti come Communion, Morphine Records, Eastern Margins, Chinabot, CLAM e Soy Division ha permesso la circolazione di artisti indonesiani nei nostri confini, così come di artisti europei nei loro. Nonostante il gatekeeping e la curatela parziale di uno stato che dai tempi coloniali promuove il gamelan come stereotipo e messaggero della cultura statale più che regionale, la cosa più impressionante è che questi musicisti hanno trovato un loro modo per fare le cose.
D’altra parte, il fatto che le magliette dei Napalm Death, storica band grindcore inglese anti-corporativa e anti-statale, furono indossate dal presidente in uscita Jokowi in alcune famose foto promozionali, la sfida dell’underground è ora restare rilevante in un’era in cui la trasgressione musicale non è più un pericolo ma un asset commerciale. Gli eroi delle prime generazioni sono diventati spesso celebrità televisive o affiliati del governo, testimonial per aziende di sigarette e padroni di nuove linee industriali di vestiti. Queste sottoculture hanno raggiunto uno dei loro obiettivi: riuscire ad imporre se stesse e i loro stili di vita a uno stato totalitario che li voleva perdenti e marginali, ma a che prezzo? Non c’è ancora una risposta e queste righe servono solo a ricordare a tutti quanti, indonesiani e non, che una resistenza culturale è stata possibile ed ha funzionato. Ma tornando da un anno di ricerche proprio a Bandung, centro degli scontri tra studenti e forze statali dagli anni Settanta al 2020, posso dire che aprendo i social media e cercando video di qualunque protesta contro gli sfratti degli abitanti o i “piani di sviluppo” governativi, o cercando foto di piantagioni di caffè indipendenti non affiliate alle leggi di sfruttamento del terreno, sebbene i volti dei partecipanti siano spesso coperti per ovvie ragioni, potrete vedere spuntare qua e là una maglietta dei Sepultura o una toppa dei Minor Threat.
[1] Hyperlocal è una piattaforma che racconta le scene musicali underground e la loro relazione con i quartieri dove queste nascono. Dopo quattro anni di eventi che mappano circuiti musicali Italiani e Europei, il 25 Giugno 2024 Hyperlocal si è spinta oltreoceano con questo evento grazie alla collaborazione tra la mia etichetta musicale, Artetetra, e il magazine di eventi Zero, di cui Hyperlocal fa parte. Per maggiori informazioni, visitare: https://zero.eu/
[2] Hill, D.T., & Sen, K., (2005). The Internet in Indonesia’s New Democracy (1st ed.), Londra, Routledge.
[3] Baulch, E. (2016). “Genre Publics: Aktuil Magazine and Middle-class Youth in 1970s Indonesia.”, Indonesia, n.102, pp. 85–113.
[4] Kimung, (2012). “Ujung Berung Rebels: Panceg Dina Galur”, Minor Books.
[5] Wallach, J. (2018). “Rock Music in Indonesia.”, Norient, disponibile online al sito: https://norient.com/stories/rock-in-indonesia#:~:text=Performing%2C%20listening%2C%20and%20recording%20underground,democratic%20society%20in%20its%20place .
[6] Jellinek, L. (2000). “Jakarta, Indonesia: Kampung culture or consumer culture?”, in Low N. (a cura di), Consuming cities: The urban environment in the global economy after the Rio Declaration, Abingdon, Routledge, pp. 271-286.
[7] Siegel, J.T., (1986). Solo in the new order: language and hierarchy in an Indonesian city, Princeton, Princeton University Press.
[8] Wallach, J. (2018). “Rock Music in Indonesia.”, Norient, disponibile online al sito: https://norient.com/stories/rock-in-indonesia#:~:text=Performing%2C%20listening%2C%20and%20recording%20underground,democratic%20society%20in%20its%20place .
[9] Luvaas, B. (2009). “Dislocating Sounds: The Deterritorialization of Indonesian Indie Pop.”, Cultural Anthropology, Vol.24, n.2, pp. 246–279.
[10] Kimung (2012). “Ujung Berung Rebels: Panceg Dina Galur.”, Bandung, Minor Books.
[11] Kimung (2012). “Ujung Berung Rebels: Panceg Dina Galur.”, Bandung, Minor Books.
[12] Addy Gembel, intervista, Bandung, Novembre 2023.
[13] Adams, K. M. (2018). “Reinventing “Wonderful Indonesia”: Tourism, Economy, and Society”, in Herfner R. (a cura di), Routledge Handbook of Contemporary Indonesia, Oxfordshire, Routledge, pp. 197-208.
[14] Lindsay, T. (2017). “Jokowi in Indonesia’s ‘Neo-New Order’”, East Asia Forum, 7 novembre, disponibile online al sito: https://eastasiaforum.org/2017/11/07/jokowi-in-indonesias-neo-new-order/.
[15] Purwanto, A. (2024). “Getting to Know the Face of Indonesia’s Middle Class.”, Kompas, 28 febbraio, disponibile online al sito: https://www.kompas.id/baca/english/2024/02/28/en-mengenal-wajah-kelas-menengah-indonesia.
Photo credits: Frans Ari Prasetyo
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