Tra il 15 e il 18 ottobre scorsi si è riunita a Pechino la 5a Sessione plenaria del XVII Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc), il massimo organo deliberativo del partito, cui è demandata – tra gli altri compiti – la vigilanza sull’applicazione e l’aggiornamento delle linee politiche che vengono stabilite ogni cinque anni in occasione del Congresso del Pcc. I 202 membri e 163 sostituti del Comitato Centrale sono stati chiamati a discutere due dossier cruciali: l’approvazione del dodicesimo piano quinquennale e la nomina di Xi Jinping, presunto futuro leader della Repubblica popolare cinese (Rpc), a membro della Commissione Militare Centrale del partito (Cmc).
Entrambe le proposte, presentate dal Segretario generale del Pcc Hu Jintao, sono state ratificate dai membri del Comitato con lo sguardo rivolto all‟ormai prossimo appuntamento del Congresso del Pcc del 2012, quando le redini del partito e della Cina passeranno alla nuova generazione di leader. Nel percorso che dovrà portare al completamento di questa transizione – e che secondo le attese degli osservatori cinesi e occidentali vedrà la sostituzione di ben 7 dei 9 membri dell‟organo apicale del potere politico in Cina, il Comitato permanente del Politburo – l‟“ampliamento della Cmc a includere il compagno Xi Jinping” è stato un passo fondamentale. Molti si attendevano la nomina già lo scorso anno e quando questa non fu annunciata diverse voci specularono sull‟incertezza della successione. La questione sembra essere risolta: nel complesso contesto della leadership del Pcc, all‟interno della quale le decisioni chiave sono assunte per consenso, la nomina di XI indica un sufficiente grado di soddisfazione rispetto alla sua performance nel corso dell‟ultimo anno.
In Cina esistono due Commissioni Militari Centrali, una posta in capo al Pcc con il compito di presiedere alle strutture che il partito mantiene nelle forze armate (da sempre innervate da commissari politici), la seconda istituzionalizzata come organo dello Stato con la funzione di supremo comando militare. Nella prassi, tuttavia, la composizione delle due Cmc è identica: lo scopo è naturalmente di garantire la massima unità di intenti in un campo così delicato, ma questo assetto offre anche una chiara trasposizione istituzionale della mission stessa delle forze armate cinesi, responsabili anzitutto di sostenere il Pcc come unico detentore del potere in Cina. L’esperienza dell’ultima grande transizione ai vertici del partito, quando nel 2002 Hu Jintao subentrò a Jiang Zemin, suggerisce che la nomina di Xi Jinping alla vicepresidenza della Cmc del partito prelude al suo ingresso anche in quella di Stato e lo colloca fermamente in cima alla lista dei candidati alla successione.
Xi viene così a sedere accanto a Hu come unico altro componente civile della Cmc e accede formalmente a una posizione in cui dovrà dar prova di sapersi garantire la fedeltà dei vertici militari. Avrà probabilmente tre anni per raggiungere questo obiettivo: se riceverà – come è più che probabile – un sufficiente numero di voti nel Congresso del Pcc del 2012 verrà nominato Segretario generale al posto di Hu, per poi ricevere la nomina a Presidente della Rpc durante la successiva sessione dell’Assemblea Popolare Nazionale nella primavera del 2013. L‟ultima componente del trittico di cariche supreme che sono usualmente nelle disponibilità del vertice politico della Cina – la presidenza di entrambe le Cmc – sarà trasferita a Xi con le dimissioni dell‟attuale Presidente (Hu), che in genere vengono rassegnate quando la transizione appare essersi conclusa in modo stabile. Dopo la morte di Mao e Deng Xiaoping, il Partito comunista cinese ha assistito al tramonto del potere carismatico del leader, e ha ristrutturato le dinamiche politiche interne secondo logiche burocratiche e di consenso. La presidenza di Hu Jintao è stata esemplare in questo senso, mostrando un grado quasi assoluto di convergenza tra i leader principali nel momento in cui vengono esternate dichiarazioni pubbliche. Se divergenze esistono, come è pressoché certo, essere non traspaiono all’esterno. La scarsa trasparenza dei processi di policy-making rende difficile cogliere le specificità di Xi Jinping come potenziale futuro leader. Considerato vicino alla “fazione di Shanghai”, la cui figura di maggior spicco è l‟ex-Presidente Jiang Zemin, Xi è anche un “principe rosso”, ossia figlio di uno dei leader ai tempi della Rivoluzione. Il padre, Xi Zhongxun, fu l‟influente capo di una unità di guerriglia nel nord della Cina durante la guerra civile e si distinse poi come governatore della provincia del Guandong. Soprattutto, però, è significativo che egli sia stato oggetto di una duplice censura politica: la prima durante la Rivoluzione culturale, quando fu purgato e costretto nelle campagne cinesi con la sua famiglia (Xi Jinping compreso), la seconda durante la crisi di Tienanmen, quando si oppose all’intervento militare.
Questi ascendenti lasciano immaginare che Xi Jinping sia cresciuto in un ambiente non insensibile alla preferibilità di pragmatismo e meritocrazia rispetto agli eccessi dell’ideologia e, allo stesso tempo, danno credito a chi vede in Xi un leader capace di parlare e solidarizzare con la popolazione cinese in modo più diretto. D’altra parte, la laurea conseguita presso la prestigiosa università di Tsinghua negli anni ’80 e due importanti esperienze di governo locale come governatore delle ricche province costiere del Fujian e dello Zhejiang gli hanno conferito un’aura di leader competente e amministratore capace. Può questo preludere alle riforme politiche di cui si parla con enfasi crescente in questi mesi? È molto improbabile, almeno nel breve periodo: non solo ci vorranno anni affinché la transizione sia completata, ma anche perché i margini di azione di Xi saranno comunque circoscritti da una varietà di altri attori, a partire dagli 8 individui che siederanno con lui nel Comitato permanente del Politburo e rispetto ai quali egli potrà vantare, anche nella migliore delle ipotesi, il solo status di primus inter pares.
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