Il 12 aprile, in un incontro al margine del vertice sulla proliferazione nucleare a Washington, il presidente cinese Hu Jintao ha risposto alla richiesta di Barack Obama di rivalutare lo yuan/renminbi (Rmb) concedendo che la Cina potrebbe modificare il regime valutario, ma secondo le proprie modalità e tempi, in conformità alle esigenze di sviluppo del paese.
Da tempo il Congresso americano preme sulla Casa Bianca per ottenere la rivalutazione della valuta cinese, ritenendo che l’attuale debolezza dello yuan offra un vantaggio competitivo scorretto alle esportazioni cinesi, e sia una delle principali cause del deficit commerciale americano. Secondo un recente studio, basato su calcoli in termini di parità di potere d’acquisto (purchasing power parity, ppp), il Rmb risulterebbe sottovalutato del 30%.
L’amministrazione statunitense da un lato deve rispondere alle pressioni delle lobbies interne, ma dall’altro non può mettere a rischio i rapporti con il governo cinese, che detiene nelle riserve della banca centrale 898,4 miliardi di dollari in buoni del Tesoro americani (dati fine 2009). Si spiega così perché il 3 aprile Obama ha rinviato la pubblicazione del rapporto che avrebbe dovuto decidere se la Cina sia un “manipolatore di valuta” e quindi assoggettabile a sanzioni/restrizioni commerciali. Alcuni analisti hanno dato un giudizio positivo su questo rinvio, sottolineando come, per motivi di orgoglio nazionale, il governo cinese diventi più intransigente se posta di fronte alla minaccia di azioni unilaterali contro la sua politica valutaria.
L’ancoraggio della valuta cinese al dollaro (dollar peg) in atto dal 2008 ha contribuito fortemente allo squilibrio commerciale tra Cina e Stati Uniti. Con le sue esportazioni a basso costo, la Cina ha reso possibile il boom dei consumi americani, mentre con l’acquisto del debito americano su vasta scala ha contribuito a mantenere bassi i tassi di interesse alimentando la speculazione finanziaria sui mutui subprime, che, a sua volta, è stata all’origine della crisi economica degli ultimi tre anni. Questo squilibrio nella bilancia dei pagamenti non può continuare indefinitamente. Il rischio è che il matrimonio di interessi tra Cina e America (“Chimerica”) si concluda con un divorzio, come sostenuto, fra gli altri, da Niall Ferguson. La Cina sa che deve uscire dalla “trappola del dollaro” e una rivalutazione la aiuterebbe a riorientare la struttura dell’economia dalle esportazioni al mercato interno. La conseguente svalutazione del dollaro significherebbe però una perdita secca di valore delle riserve. Perciò il riorientamento dell’economia e una diversificazione strategica delle riserve devono essere graduali e contestuali.
D’altra parte, come ha sottolineato, fra gli altri, Michael Pettis, docente a Pechino, non è detto che la rivalutazione dello yuan riequilibrerebbe automaticamente la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti Per evitare azioni unilaterali e guerre commerciali, tale riallineamento dovrebbe essere inserito nel contesto di un’azione multilaterale più ampia, in cui la Cina, il Giappone e la Germania (paesi in surplus) dovrebbero togliere incentivi ai produttori di manifattura e destinarli alle famiglie, mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito (paesi in deficit) dovrebbero spostare reddito dal consumo agli investimenti produttivi. Si tratta di cambiamenti strutturali di non facile attuazione. Rimane pertanto alto il rischio di un inasprimento dei rapporti commerciali tra Pechino e Washington.
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