Tra il 23 e il 24 giugno ha avuto luogo la spettacolare “marcia per la giustizia” di Wagner. I mercenari di Evgenii Prigozhin hanno preso il controllo di Rostov sul Don – città sede del comando militare meridionale russo – e da lì hanno mosso in direzione Mosca con una colonna costituita da migliaia di uomini e da numerosi veicoli. Nel corso della sua marcia, la colonna ha abbattuto una mezza dozzina di elicotteri militari e un aeroplano impiegando i sistemi contraerei a propria disposizione, e subendo a propria volta la perdita di cinque veicoli. Giunti a circa 300 km da Mosca, i mercenari si sono fermati in virtù di un accordo raggiunto tra Vladimir Putin e Prigozhin e mediato da Alexander Lukashenko, il presidente della Bielorussia.
Lo scopo di questo breve articolo è comprendere le ragioni alla base della rivolta di Wagner e valutare le conseguenze che ne discendono, inclusa la morte dell’uomo chiave alla guida di tale organizzazione, ovvero Prigozhin. Ma per fare questo, è necessario fare un passo indietro e spendere qualche parola su che cosa è Wagner e quali sono le ragioni dietro la sua esistenza. Nata nel 2014, Wagner ha operato in Ucraina, Siria e in diversi paesi africani. È sovente descritta come un’azienda di sicurezza privata (private military and security company, PMSC), ma si tratta di una definizione imprecisa. Le PMSC propriamente intese operano all’interno di un quadro giuridico definito: per tale ragione sono in grado di offrire i propri servizi a clienti diversi e possono risolvere in tribunale le loro eventuali dispute coi committenti. Wagner non collima con questi criteri. L’ordinamento russo vieta l’esistenza di organizzazioni militari private affini a Wagner, pertanto quest’ultima è potuta nascere e prosperare soltanto grazie a uno spazio di manovra arbitrariamente concesso dal potere esecutivo – ovvero grazie al beneplacito di Putin. Da ciò discende un allineamento di fatto di Wagner con gli interessi politici del regime russo (almeno fino al 23 giugno 2023). In conseguenza, il cliente è dunque stato sempre stato uno solo, in modo diretto o indiretto, ovvero il governo russo. Dopo la “marcia per la giustizia” lo stesso Putin ha confermato questo dato (a più riprese in precedenza smentito), menzionando gli ingenti finanziamenti concessi in passato a Wagner per la condotta delle proprie attività.
Wagner è dunque un agente dello stato, anche se coperto da una patina di plausible deniability, ovvero di “negazione plausibile”, e in quanto tale è meglio definibile come un’organizzazione paramilitare i cui ranghi sono costituiti da personale mercenario. Detto altrimenti, Wagner non è disponibile sul mercato: al limite lo sono soltanto solo alcuni suoi membri. Questa organizzazione è venuta in essere proprio per i vantaggi annessi alla plausible deniability, e cioè la possibilità per la Russia di condurre operazioni militari e conflitti armati limitando o annullando le conseguenze politiche, militari, legali ed economiche annesse. È lampante che l’impatto sulla Russia delle operazioni militari condotte in Ucraina nel 2014-2015 (con l’annessione illegale della Crimea e con la proxy war sostenuta in Donbass) sia stato ben diverso da quello subito a partire dall’avvio di una più classica guerra guerreggiata nel 2022 contro lo stesso paese. Grazie a Wagner, dunque, la Russia ha potuto estendere il proprio raggio di azione pagando in modo limitato il costo della propria aggressività in politica estera e riuscendo a operare in contesti dove altrimenti non sarebbe potuta giungere o permanere.
Oltre a quanto appena menzionato, il regime di Putin ha lucrato da Wagner altri due importanti benefici. In primo luogo, nonostante il legame tra Wagner e la Russia sia stato smentito pubblicamente dalle autorità (e anche dallo stesso Putin) a più riprese, il nesso era palese. Questo ha consentito alla Russia di ottenere un ritorno di immagine, e cioè dare l’impressione di essere in grado di proiettare influenza e potenza oltre il proprio vicinato, peraltro a costi ridotti. In seconda battuta, laddove la Russia era presente con un dispositivo militare tradizionale (come in Siria o come nella stessa Ucraina dopo il 24 febbraio 2022), il ricorso a Wagner ha permesso di mantenere aperti canali di mobilitazione alternativi, utili per captare personale meglio qualificato e contenere il dissenso domestico legato al dispiegamento (e alla eventuale perdita) di truppe regolari.
Ma come si arriva alla crisi del 23-24 giugno? Nel corso della guerra in Ucraina, Wagner si è trovata più volte in rotta di collisione con il Ministero della Difesa e con i vertici militari russi, dai quali è dipesa in una certa misura per le proprie forniture, e con i quali era in concorrenza circa le modalità di conduzione della guerra. Per queste stesse ragioni, anche impiegando i canali mediatici a propria disposizione, Prigozhin ha più volte lanciato strali contro il ministro della difesa, Sergei Shoigu, e contro il capo di stato maggiore, Valeri Gerasimov. Significativa in materia anche la comunicazione attorno alla battaglia di Bakhmut, nel corso della quale Wagner ha cercato sistematicamente di imputarsi qualunque esito positivo, lasciando alle forze regolari l’onere di difendere una porzione del fronte particolarmente difficile una volta presa la città (gli scontri per il controllo della città e dell’area circostante sono tuttora in corso). Un modus operandi analogo si era visto in precedenza nel corso degli scontri su Vuhledar, sempre nel Donbass, mentre le tensioni tra Wagner e i vertici militari russi erano divenuti evidenti già durante la guerra in Siria, almeno a partire dal 2018.
Il successo di Wagner ha creato un precedente, che ha indotto alla proliferazione di organizzazioni paramilitari in Russia, sia prima che durante la guerra in Ucraina, portandone il numero in prossimità della quarantina. La presenza di così tanti attori semi-indipendenti ha generato tensioni e dispute tra soggetti formalmente indirizzati al medesimo obiettivo ma all’atto pratico potenzialmente in divergenza su tempi, modi, priorità e agende ulteriori. Questo si è tradotto in enormi problemi per la catena di comando e controllo russa, di per sé già piagata da una frequente turnazione dei comandanti militari (imposta per ragioni politiche) e dall’interferenza del potere politico stesso nella condotta delle operazioni. Al fine di rendere più gestibile la situazione e di cercare di mantenere il territorio conquistato in Ucraina manu militari, il 10 giugno il Ministero della Difesa russo ha emanato un ordine con il quale stabiliva il ritorno sotto il controllo del Ministero stesso tutte le formazioni definite come “volontarie”, inclusa dunque anche Wagner, entro la data del 1° luglio.
L’ordine del 10 giugno non è stato ricevuto con piacere da Prigozhin, perché la sua attuazione sarebbe stata sinonimo della perdita di qualunque spazio di autonomia per Wagner, e possibilmente anche della sua rete di interessi africana. Prigozhin ha dunque deciso di opporsi all’ordine, dando l’avvio alla sua “marcia per la giustizia”, a rigore definibile come un ammutinamento. Dopo essersi ridispiegate dal Donbass a Rostov, le forze di Wagner hanno mosso verso Mosca il 24 di giugno, ed è interessante osservare come, durante la marcia, nessun attore politico o militare significativo abbia aderito all’ammutinamento di Prigozhin, ma del pari nessuno si sia fattivamente opposto all’avanzata dei mercenari sul terreno. Questo ha creato uno stallo politico. Da una parte Prigozhin, che presumibilmente si auspicava l’adesione di alcune componenti delle forze armate nella rivolta contro i loro capi, si è reso conto che avrebbe dovuto fare i conti con le unità dispiegate a difesa di Mosca da solo. Dall’altra Putin, che non aveva a portata di mano strumenti adeguati per contrastare quelle che di fatto sono alcune tra le sue forze di elite, e che quindi non aveva una agevole via di uscita dalla crisi. Uno scontro diretto avrebbe indebolito entrambe le parti, lasciando un vuoto di potere militare e politico tangibile e pericoloso. Lo stallo è stato infine sciolto da Lukashenko, che si è offerto di accogliere in Bielorussia tutte le forze di Wagner non disponibili a sottomettersi al controllo del Ministero delle Difesa russo.
L’ammutinamento è dunque cessato senza portare al cambio dei vertici militari russi, che sono ancora guidati dal tandem Shoigu-Gerasimov, e senza il ritiro dell’ordine del 10 giugno. Tuttavia, ciò non significa che la “marcia per la giustizia” di Prigozhin e dei suoi sodali sia stata priva di conseguenze, che sono invece considerevoli, e che possono essere riassunte in tre dimensioni principali.
La prima è quella politica. A Putin e al regime di cui è al vertice è stata imposta la necessità di riconsolidare il proprio potere, ridimensionando Prigozhin ed eliminando frange potenzialmente ostili all’interno delle forze armate. Questo ha portato, in prima battuta, al sequestro delle armi pesanti in possesso di Wagner, allo smantellamento dell’impero mediatico facente capo allo stesso Prigozhin unito a un consistente attacco mediatico contro il leader di Wagner, e a purghe militari al fine di eliminare dai ranghi potenziali simpatizzanti di un’eventuale ribellione. La vittima più celebre di questo “repulisti” è stata il generale Sergei Surovikin, già comandante delle forze russe in Siria, colpevole di essere considerato troppo vicino a Wagner: un “crimine” che già aveva portato al suo avvicendamento al comando della “operazione militare speciale” a vantaggio di Gerasimov. Surovikin e il suo vice, Andrei Yudin, sono stati rimossi dai loro incarichi, mentre ai mercenari di Wagner è stata data l’opzione di passare sotto il controllo del Ministero della Difesa oppure di seguire Prigozhin in Bielorussia. Pure se non vi sono stati scossoni politici immediatamente tangibili, vale la pena notare che un evento come quello del 23-24 giugno non si vedeva in Russia dagli anni ’90, e l’immobilismo delle forze di sicurezza e delle autorità rispetto agli eventi in corso di certo non ha trasmesso un’immagine del potere di Putin come robusta e al di là di ogni possibile contestazione. L’abbattimento dell’aereo sul quale viaggiava Prigozhin assieme a molti notabili di Wagner il 23 agosto scorso, a due mesi esatti dalla rivolta, può a buon titolo ritenersi l’atto con il quale Putin ha saldato il conto in sospeso con un suo vecchio oligarca ormai considerato un traditore.
La seconda dimensione è quella militare. La fine di Wagner così come la si conosceva significa meno effettivi in Ucraina nonché la perdita delle capacità collegate a tale struttura, che era in grado di reclutare personale a più elevata qualificazione e di innovare tatticamente in modo più rapido ed efficace rispetto alle forze armate convenzionali. Ciò si porta appresso anche un effetto sul morale delle truppe russe, che avvertono la perdita in termini di numeri e capacità, che di certo non possono percepire come positiva. Anche il fatto che Prigozhin stesso – un personaggio difficilmente considerabile una “colomba” e che ha lungo ha supportato i disegni neo-imperiali russi – abbia definito la guerra in Ucraina come insensata e la vittoria al di fuori della portata della Russia, certamente non ha contribuito a scaldare i cuori di chi si trova in trincea sotto il tricolore russo. Infine, le stesse purghe dei militari hanno un impatto negativo, poiché rimuovono capacità (laddove avvengono) o minano la serenità dei comandanti (laddove siano temute), che tenderanno a favorire la sicurezza politica del loro operato all’efficacia militare. Va ricordato che l’ultima significativa offensiva condotta dalle forze russe è stata proprio quella su Bakhmut, nell’ambito della quale Wagner ha giocato un ruolo significativo. Si trattò di uno slancio comunque limitato, ed è lecito dubitare che, stante anche il progressivo logoramento subito dalla macchina militare russa, questa sia capace di nuove spinte nel corso della campagna corrente.
La terza e ultima dimensione riguarda la continuità delle attività oltre al vicinato russo, e in particolare in riferimento all’Africa. Per Prigozhin, la Bielorussia avrebbe potuto essere una base di operazioni dalla quale tentare di mantenere in piedi la propria rete africana, in primo luogo per garantirsi l’afflusso di risorse minimo necessario a sostenere la sua organizzazione, ma anche potenzialmente per coltivare la propria immagine di figura chiave del neo-imperialismo russo, propedeutica a un eventuale ritorno sulla scena politica. Tuttavia, la sostenibilità di questo schema aveva già iniziato a mostrare segni di cedimento, perché Lukashenko non avrebbe potuto svolgere la figura dello sponsor alla pari con quanto in precedenza fatto da Putin, e perché una Wagner con alle spalle la Bielorussia è, per uno stato terzo, certamente meno attraente di una Wagner legata invece al Cremlino. Soprattutto, sia il governo che il Ministero della Difesa russo hanno a più riprese lasciato intendere il loro interesse a mantenere la loro presenza in Africa sostituendo Wagner con altri soggetti più leali. Quindi, il conto che Putin aveva nei confronti di Prigozhin non riguardava soltanto il tradimento del secondo nei confronti del primo, ma anche la tensione sugli interessi africani. Al momento, pare difficile immaginare che la penetrazione indiretta russa in Africa manterrà la stessa intensità nel medio periodo. Nonostante un certo clamore mediatico, infatti, Wagner stessa era stata capace di inserirsi efficacemente in soltanto in quattro paesi (Libia, Mali, Repubblica Centroafricana e Sudan) e aveva già subito diverse sonore sconfitte sul campo ben prima della guerra in Ucraina, la quale ha ulteriormente distratto l’organizzazione, riducendone il potenziale espansivo. La decapitazione di Wagner e le tensioni che ne discenderanno influenzeranno negativamente la coesione dell’organizzazione e rendono difficile immaginare un semplice avvicendamento al vertice (peraltro con una leadership caratterizzata più dalla lealtà che non dalla capacità). Si tratta di evoluzioni che non potranno che ridurre la tenuta della presenza russa in Africa.
Per saperne di più
Gabidullin, M. (2022) Io, comandante di Wagner. Una testimonianza unica sull’armata segreta di Putin. Libreria Pienogiorno.
Institute for the Study of War, https://www.understandingwar.org/
Marten, K. (2020) Where’s Wagner? The all-new exploits of Russia “private” military company, PONARS Eurasia Policy Memo. Disponibile su: https://www.ponarseurasia.org/where-s-wagner-the-all-new-exploits-of-russia-s-private-military-company/
Marten, K. (2019) Into Africa: Prigozhin, Wagner, and the Russian military, PONARS Eurasia Policy Memo. Disponibile su: https://www.ponarseurasia.org/into-africa-prigozhin-wagner-and-the-russian-military/
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