Un’ottima annata, almeno sul fronte della presenza dei politici italiani in Cina. Mai come nel 2010 Pechino ha ospitato tante visite di delegazioni del Belpaese: dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – di cui abbiamo già dato conto in un precedente numero di OrizzonteCina – al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, dal Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni al segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, fino al sindaco di Roma Gianni Alemanno e alle numerose missioni delle regioni nell’ambito dell’Expo di Shanghai; per non parlare di chi in Cina è già di casa (come l’ex-viceministro allo Sviluppo Economico Adolfo Urso), o di chi invece ci è capitato all’ultimo momento, come il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, chiamato a sostituire il dimissionario Claudio Scajola alla guida della missione di sistema delle imprese italiane organizzata da Confindustria, Ice e Abi.
Se davvero in passato si è assistito a una contrapposizione netta tra “sinofili” e “sinofobi”, ormai appare chiaro anche al mondo politico italiano che dalla Cina non si può più prescindere: “La Cina è la locomotiva della ripresa mondiale” – ha detto il Capo dello Stato. “È il tornante del mondo, la terrazza dalla quale si vede il cambiamento del secolo”, ha dichiarato Pierluigi Bersani al termine del suo intervento al China-Europe High Level Political Parties Forum del maggio scorso.
Al di là delle manifestazioni di principio, tuttavia, si può dire che dal 2010 sia emersa una linea politica più concreta nei rapporti tra Italia e Cina? L’orizzonte tracciato da Giulio Tremonti – animatore, in qualità di presidente dell’Aspen Institute Italia, del “China-US-Europe Trialogue” svoltosi a Pechino il mese scorso – è di ampio respiro: “Nel vecchio mondo le asimmetrie potevano essere eliminate con un’accurata gestione. Oggi, in materia di cambi si confrontano masse continentali e l’intensità non è più tecnica o finanziaria, ma politica e geopolitica. Dietro la politica c’è la scelta sul futuro di un continente. Dietro i cambi ci sono assetti ad altissima intensità”. Per un momento, ai margini del convegno, Tremonti ha lasciato balenare l’idea che forse gli interessi di due macroaree come Cina ed Unione Europea potrebbero convergere più di quanto si ritenga comunemente: quanto si è indispettito il Dragone per l’alleggerimento quantitativo da 600 miliardi di dollari deciso dalla Banca centrale Usa, una mossa che provoca inflazione in Cina e diminuisce il valore del debito pubblico americano? “Fuochino, non ne parlo – ha risposto sornione il ministro dell’Economia – ma c’è l’impressione che la manovra abbia provocato reazioni anche su altri quadranti. Quello che hanno detto i cinesi è che c’è sempre un effetto collaterale, e ciò che si ottiene da un lato si perde dall’altro”.
Ma mentre si giocano partite a livello continentale, su quello che la Cina può acquistare dall’Italia si registra una certa sintonia di vedute tra due personaggi politicamente distanti come Pierluigi Bersani e Roberto Formigoni: “In futuro le merci saranno solo una parte dell’export – ha detto il segretario del Pd – protagonista sarà l’organizzazione che coniuga diritti privati e stabilità pubblica. L’Italia ha ancora modelli di gestione sofisticati, qualità della vita, città ancora umane. Il nostro welfare, che spesso demoliamo a sproposito, resta esemplare. Se ci muoviamo, possiamo offrire alla Cina qualcosa di unico”. “Stiamo cercando di esportare in Cina modelli di servizi, ad esempio in campo sanitario, che poi potranno diventare prodotti che interessano ai cinesi – ha detto il governatore lombardo – e dato che oggi la Cina è alla ricerca di servizi che possano permetterle di aumentare la domanda interna, noi siamo in grado di offrirglieli”. Sembra che, di fronte alla complessità cinese, persino la destra e la sinistra italiana riescano a trovare un punto di convergenza.
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