[Yìdàlì 意大利] La cooperazione cinematografica Italia-Cina. Intervista ad Andrea Cicini

Non solo Hollywood. Il cinema italiano in Cina sta vivendo una fase di riscoperta da parte del pubblico, come dimostra il focus sul cinema di casa nostra allo scorso Beijing Film Festival, quarta edizione della kermesse pechinese, tenutasi ad aprile. La proiezione di sei pellicole italiane, che variano nei generi dalla commedia al thriller, ha avvicinato il cinema italiano al mercato cinematografico cinese, che si avvia a diventare il secondo al mondo per importanza e che negli ultimi dieci anni ha vissuto una stagione di boom, passando da circa 1.700 sale di proiezione in tutto il paese nel 2002 alle oltre 15.000 segnalate dai dati più recenti. A beneficiare dell’espansione dell’industria cinematografica cinese è soprattutto Hollywood, che occupa una parte dominante nelle quote di accesso alla distribuzione su territorio cinese dei film prodotti all’estero, lasciando nettamente in secondo piano il resto del mondo: un dominio di cui fanno le spese le produzioni degli altri paesi, ma la situazione e la percezione del pubblico cinese sta cambiando.

“Oggi si verifica un’inversione, con un’apertura verso le commedie di tipo europeo con tematiche più sociali rispetto alle produzioni americane”, dichiara ad AGIChina24 Andrea Cicini, responsabile del desk Cina di Anica, l’Associazione nazionale delle industrie cinematografiche audiovisive e multimediali, che ha curato la parte italiana del festival. “La presenza del desk in Cina serve a seguire l’evoluzione del mercato interno, a stringere accordi con le figurechiave del cinema cinese e a sviluppare poi nuove opportunità, come il focus italiano all’ultimo Beijing film festival”. Lo scorso 18 giugno l’Ambasciatore d’Italia in Cina Alberto Bradanini e il Direttore Generale del Dipartimento Cinema dell’Amministrazione per le Pubblicazioni stampa, Radio, Cinema e TV della RPC, Zhang Hongsen, hanno firmato le Norme di procedura attuative dell’Accordo di coproduzione cinematografica tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Italiana, siglato il 4 dicembre 2004 ed entrato in vigore il 17 aprile 2013 a seguito di ratifica da parte italiana. “Con la doppia nazionalità, i film co-prodotti evitano il sistema delle quote e una volta superata la censura i film possono andare subito in distribuzione” spiega Cicini.

  • Tracciamo un bilancio dell’ultimo Beijing film festival. Che effetto hanno avuto sulla manifestazione le polemiche di Oliver Stone, che chiedeva maggiore coraggio all’industria cinematografica nell’affrontare i temi controversi della recente storia cinese, come la Rivoluzione culturale? Dichiarazioni come queste corrono il rischio di mettere sulla difensiva l’industria cinematografica cinese? Che ruolo ha avuto il cinema italiano all’ultimo festival?

Il cinema cinese ha sempre più bisogno di trovare un’apertura. I grandi nomi hanno necessità di uscire dai propri confini e di collaborare con partner stranieri per rappresentare la Cina all’estero. Le dichiarazioni di Oliver Stone non sono una cosa nuova: fin dalle Olimpiadi ha avuto alcuni attriti con la Cina. Lui ha sempre raccontato di guerra e sostiene che non dobbiamo avere paura di affrontare temi difficili per il rischio di mettere paura alla gente, discorso che vale anche per vicende come quelle della Rivoluzione culturale. Non penso che questo tipo di commenti crei problemi. Di fatto, il mercato cinese sta andando verso l’Europa, verso l’America, verso l’estero in generale. Ha necessità di uscire. È un po’ lo stesso percorso che stanno facendo in altri settori aziende come Lenovo, Huawei o Haier: non vogliono rimanere vincolate a un’immagine “cinese”, che purtroppo nell’ottica internazionale è sempre accompagnata dal sospetto. Lo stesso vale per il cinema, e le opportunità sono costituite dai grandi festival, che rappresentano uno sbocco per i prodotti cinematografici cinesi e un’opportunità di business per le case di produzione localizzate in Europa, in America o nella stessa Cina. I cinesi hanno grandi budget che possono riversare nei film. I registi hanno iniziato a viaggiare e hanno interesse a girare all’estero, in posti come l’Italia. Una delle mission di Anica, e del suo desk Cina, è il rapporto con i media cinesi: la costante presenza in loco serve a dare risposte in tempi rapidi e ad aiutare l’industria cinese ad andare in Italia con il giusto bagaglio di informazioni, per evitare le difficoltà che affronta chi si muove da solo senza conoscere il mercato. Lo stesso vale anche per le realtà italiane che vengono in Cina.

  • Il cinema cinese si sta imponendo anche in Europa, come dimostra la vittoria al festival di Berlino di Black Coal Thin Ice. In che modo i partner cinesi possono influenzare la produzione cinematografica italiana ed europea?

Di fatto la chiave di lettura più importante è la co-produzione, come nel caso dell’accordo siglato con il Dipartimento Cinema dell’Amministrazione per le Pubblicazioni stampa, Radio, Cinema e TV della RPC. C’è poi anche un discorso di progettualità a lungo termine, grazie allo sviluppo di progetti vincenti che riguardano i due mercati e l’inizio di un dialogo tra due cinematografie diverse che prevede ulteriori sviluppi nel business. In più, occorre inserire nelle pellicole elementi che siano riconoscibili da entrambe le culture che vengono coinvolte nel progetto. Questa è una grande difficoltà: si parla di sceneggiatori italiani che parlano e scrivono in cinese, capaci quindi di trasmigrare il concetto e l’emozione nella cultura cinese. È prevista, infine, la possibilità di scrivere sceneggiature a quattro mani in modo da rendere al meglio questo tipo di elementi. Penso che sia un ottimo volano per le due cinematografie.

  • Quali vantaggi porterà al cinema italiano l’accordo di coproduzione? Quanto è stato importante il supporto delle istituzioni italiane in Cina per la realizzazione dell’accordo? Non c’è il pericolo di un controllo eccessivo sui contenuti per l’uscita nelle sale cinesi dei film con doppio passaporto?

C’è stato l’ok da parte cinese su tutti i punti in questione. Bisogna adesso rendere operativo questo accordo. Da un lato, la firma ha una forte visibilità dal punto di vista istituzionale e rappresenta un punto di incontro tra Italia e Cina, dall’altra è il passo decisivo per dare il via alle co-produzioni. Penso che l’accordo sia importante anche per i cinesi che inizieranno a venire in Italia, un fenomeno che si sta già verificando. Basta vedere la presenza cinese allo stesso festival di Venezia o al festival di Roma. La stessa industria cinese sta guardando sempre più all’Europa: prendiamo a esempio il grande colosso Wanda, che sta facendo acquisizioni di sale cinematografiche in giro per il mondo con grandi investimenti, oltreché in Cina, come a Qingdao, dove ha costruito uno dei più grandi studios del Paese. Per quanto riguarda la censura, il controllo dei contenuti viene fatto sulle sceneggiature e poi sul film realizzato. E i film co-prodotti seguiranno quindi tutti gli step che devono affrontare i film cinesi prima dell’uscita nelle sale.

 

Intervista pubblicata con il titolo “Il cinema italiano in Cina”, in AGIChina24, 23 maggio 2014.

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