Parlano sempre più cinese le telecomunicazioni italiane. Sotto i riflettori, ad aprile, sono stati Wind e Telecom, a un capo del filo, e Huawei e Hutchison Whampoa, dall’altro. Il gruppo di Shenzhen mira al mercato europeo, che la dirigenza considera importante quanto quello americano per dimensioni e giro d’affari, soprattutto dopo la diatriba con Washington dei mesi scorsi, risoltasi in un nulla di fatto, che ha comunque gettato su Huawei l’ombra dello spionaggio informatico. L’Unione europea diventa, dunque, un orizzonte necessario per lo sviluppo strategico del colosso cinese delle telecomunicazioni, ma non c’è tempo da perdere: nelle scorse settimane, l’agenzia di stampa Reuters ha riferito che la Commissione europea sta raccogliendo prove di possibili sussidi governativi impropri di cui Huawei avrebbe usufruito per la sua espansione nel vecchio continente a svantaggio dei competitor locali.
Nel caso italiano, il gruppo di Shenzhen e Wind investiranno un miliardo di euro per la creazione della rete 4G. Obiettivo: battere sul tempo Telecom e Vodafone. I due gruppi si avvarranno della collaborazione di Sirti e Huawei Technologies. L’accordo rappresenta un passo in avanti per il gruppo cinese che sta cercando di entrare nelle telecomunicazioni dell’Unione europea con la rete Long Term Evolution (Lte). “Questo nuovo considerevole investimento – è stato il commento a caldo del Ad di Wind, Maximo Ibarra – segue l’acquisto lo scorso anno delle frequenze Lte”. L’accordo tra i due gruppi durerà cinque anni. Wind è il terzo operatore di telefonia mobile nel nostro paese in diretta concorrenza con 3 Italia di proprietà di Hutchison Whampoa. Huawei ha già contratti con gli altri tre grandi operatori di telefonia mobile italiani (Telecom, Vodafone e 3 Italia) oltreché con EE in Gran Bretagna e con Vodafone in Germania. L’obiettivo è quello di portare a 13.000 i dipendenti nel vecchio continente dai circa 7.500 attuali.
La classifica degli operatori parla chiaro: leader a livello mondiale nel settore delle attrezzature per telefonia mobile rimane Ericsson, mentre Nokia e Huawei si contendono il secondo posto, distanziando Alcatel-Lucent che concentra il suo business negli Stati Uniti e perde terreno in Europa. Se Huawei avesse accesso al mercato americano, secondo un recente articolo pubblicato dal New York Times, il gruppo di Shenzhen sarebbe oggi il numero uno al mondo. La crisi economica del nostro paese (e più in generale dell’Unione europea) non spaventa Huawei: l’Europa rappresenta “un forte business case”, ha dichiarato a un summit di analisti a Shenzhen il Cto del gruppo Li Sanqi, il 24 aprile scorso.
Discorso diverso, invece, per i legami tra il gruppo del miliardario di Hong Kong Li Ka-shing e la maggiore compagnia di telefonia italiana. Nei giorni scorsi era giunta la notizia che Telecom Italia stava considerando la possibilità di aumentare la quota di azioni di Hutchison Whampoa fino al 29,9% in cambio dell’integrazione di 3 Italia nel gruppo. Con la nuova quota, Hutchison Whampoa diventerebbe azionista di riferimento del maggiore gruppo di telefonia italiano. Telecom non ha ancora sciolto il nodo sulla trattativa con il gruppo di Hong Kong né quello sulla rete, ma i dati di esercizio non sorridono al gruppo italiano. Telecom ha chiuso il 2012 con ricavi per 222,7 milioni di euro, in diminuzione di 15,5 milioni su base annua, e un Ebitda (Earnings Before Interest, Tax, Depreciation and Amortization) negativo per 44,4 milioni di euro, in calo di 71,7 milioni di euro rispetto al 2011. Il risultato netto è negativo per 240,9 milioni di euro, in diminuzione di 157,1 milioni di euro rispetto all’anno precedente. Per la capogruppo Telecom Italia Media S.p.a. i ricavi sono stati pari a 80,2 milioni di euro: nel 2011 erano 139,9 milioni. L’Ebitda è negativo per 53,8 milioni di euro, mentre il risultato netto è pari a -178,1 milioni di euro, con una diminuzione su base annua di 166,6 milioni di euro.
Hutchison comprerebbe la quota da Telco, il consorzio di azionisti che detiene il 22,4% delle azioni di Telecom e comprende anche la spagnola Telefonica oltre a Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca. Il gruppo di Li Ka-shing, secondo fonti al corrente dei fatti, sarebbe disposto a comprare le azioni al valore di 1,2 euro ciascuna, in linea con la valutazione di Telco, anche se lo scetticismo prevarrebbe tra gli azionisti del consorzio, in particolare da parte di Telefonica, azionista di riferimento con il potere di rifiutare l’offerta. Telecom avrebbe anche in programma uno scorporo della rete, di cui sta discutendo da tempo con la Cassa Depositi e Prestiti, ma in questo senso la decisione è vincolata dal parere del ministero dell’Economia che detiene una golden share sul gruppo e ha diritto di veto.
La Cina era già sbarcata nel mondo delle telecomunicazioni italiane con Zte Italy nel 2008. Zte è un’azienda fornitrice di apparati per le telecomunicazioni, soluzioni di rete e prodotti per le telecomunicazioni fisse e mobili, che negli scorsi mesi ha fatto parlare di sé assieme a Huawei perché definita una “minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti”: entrambi i giganti delle telecomunicazioni cinesi dovevano quindi essere banditi dal suolo statunitense. Attraverso i loro server, i due gruppi si sarebbero infiltrati nelle telecomunicazioni statunitensi e avrebbero assorbito informazioni sensibili da trasmettere al governo cinese. L’accusa è poi caduta per mancanza di prove, ma neanche questo era bastato ad allontanare i sospetti dai due gruppi. Costituita ufficialmente nel 2007, a distanza di un anno Zte Italia contava già cinquanta dipendenti con uffici a Roma e Milano (più un ufficio tecnico a Torino) e aveva stretto legami con i principali operatori italiani come Vodafone, Hutchison 3G Italia e Telecom Italia.
Neppure Huawei è nuova a operazioni in Italia. La visita dell’ottobre scorso in Italia di Jia Qinglin, all’epoca numero quattro della gerarchia della Repubblica popolare cinese, era stata l’occasione per Huawei di firmare un accordo pluriennale da 350 milioni di euro con Fastweb per il potenziamento della banda larga nel nostro Paese. Huawei è partner tecnologico di Fastweb e svilupperà entro il 2014 una rete di nuova generazione che arriverà a coprire a 5,5 milioni di persone tra famiglie e aziende italiane con servizi a banda ultra-larga. L’accordo era stato preceduto dalla visita ufficiale di Mario Monti a Pechino. Nella capitale cinese l’ex presidente del consiglio aveva incontrato i dirigenti di Huawei con cui aveva discusso degli sviluppi del gruppo in Italia: un bilancio di oltre trecento milioni di euro investiti e centinaia di ingegneri assunti. L’Italia è un affare per i gruppi cinesi delle telecomunicazioni. E tra gli addetti ai lavori il dibattito, soprattutto nel caso Telecom, è aperto: i favorevoli vedono nell’ingresso dei cinesi nuova linfa e nuove energie che possono contrastare lo strapotere degli azionisti di Telco; i contrari ritengono che sarebbe un errore cedere ai cinesi un asset strategico come Telecom. Sicurezza informatica contro crisi economica. Innovazione tecnologica e bilanci in rosso: su questi terreni si giocherà il futuro delle telecomunicazioni italiane.
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