La lotta alla criminalità internazionale passa anche attraverso la cooperazione tra Italia e Cina. Nelle scorse settimane, il dibattito sulla sicurezza internazionale è stato protagonista nei rapporti tra i due paesi, prima con il seminario sulla cooperazione contro i crimini transnazionali – soprattutto quelli commessi via internet – cui ha preso parte l’ex Ministro della giustizia italiano Paola Severino, poi con il forum internazionale sul crimine e il diritto penale nell’era globale, che si è tenuto presso il Geosciences International Conference Center di Pechino. A questo secondo appuntamento ha partecipato una delegazione italiana guidata dall’europarlamentare Pino Arlacchi, docente di Sociologia generale presso l’Università di Sassari. Della delegazione hanno fatto parte anche il criminologo Gianfranco Sidoti e il sociologo Gianmarco Cifaldi.
A interessare i rapporti tra Cina e Italia sono soprattutto i reati legati all’uso di internet, come le frodi informatiche o i furti di identità, per i quali sono necessarie iniziative a livello globale – come ha spiegato l’ex Ministro Severino. La cooperazione tra i due paesi può però toccare anche altri aspetti della lotta al crimine. AgiChina24 ha intervistato a questo riguardo Pino Arlacchi, a Pechino negli ultimi giorni di ottobre per partecipare al convegno assieme a criminologi provenienti principalmente dai paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Al convegno Arlacchi ha parlato del tema della corruzione built-in, vale a dire la corruzione all’interno degli organismi internazionali, portando il caso dell’Afghanistan, dove i fondi della cooperazione internazionale arrivano ai presunti beneficiari solo per il 20% circa delle cifre realmente stanziate.
Che ruolo può giocare la Cina nel contrasto della corruzione all’interno di questi meccanismi?
I cinesi stanno cercando di far conoscere i loro sforzi nella lotta alla corruzione, che in Cina è un piaga endemica che il governo cerca periodicamente di frenare. Negli ultimi dieci-quindici anni c’è stata grande attenzione al problema. La Cina tende a presentarsi come estremamente rispettosa delle convenzioni internazionali, per esempio l’ultima delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata da Pechino. Per questo Paese la lotta alla corruzione rappresenta un terreno di cooperazione internazionale, in maniera opposta a quanto accade negli Stati Uniti, che spesso considerano la cooperazione internazionale come un vincolo. I cinesi tendono invece a promuovere per loro stessi un’immagine più multilateralista.
In quest’ultimo anno, da quando si è insediata la nuova classe dirigente cinese, è cominciata una lotta alla corruzione a tutti i livelli, con una divisione tra chi è favorevole e chi ritiene che prima della lotta alla corruzione dovrebbe essere introdotta una riforma dell’ordinamento giudiziario, per evitare che la lotta alla corruzione possa servire soprattutto come strumento per eliminare i propri nemici politici. Qual è la sua opinione a riguardo?
Ci sono due aspetti da tenere presenti nella lotta alla corruzione. Il primo è che i cinesi non possono trascurare questo fronte, rischiando di cadere vittime delle loro peggiori contraddizioni. Il secondo è che il governo si rende ben conto della necessità delle riforme di lungo periodo, come quella della giustizia o del settore bancario. I giudici cinesi mi paiono molto decisi e aperti anche a modelli stranieri. Ne è un segnale la stessa attenzione alle convenzioni internazionali, che sono in parte un riflesso del modo in cui l’Occidente si rapporta a questo problema. Mi colpisce molto l’apertura non solo su questo aspetto, ma anche su altri temi, come la pena di morte, che è stata oggetto dell’incontro dell’anno scorso.
Nei giorni scorsi è stata qui a Pechino l’ex Ministro della giustizia Paola Severino, per partecipare a un forum sulla cooperazione internazionale contro il crimine, dedicato soprattutto ai reati di natura finanziaria commessi on line. Quanto è importante la corruzione in questo campo?
Nella cooperazione internazionale contro il crimine credo che l’aspetto di maggior rilievo sia la lotta contro il riciclaggio e contro i crimini di natura economica. Mi pare che sia questo l’interesse: per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata come la intendiamo noi, siamo invece ancora indietro. Tra le comunità cinesi all’estero esistono forme di racket e di estorsione, mentre il traffico di esseri umani riguarda pochi casi, con una tendenza in diminuzione.
Cosa può fare l’Italia nella lotta alla corruzione a livello globale e, dal punto di vista legislativo, quale apporto può dare al caso cinese?
Non ho mai sostenuto la classifica di Transparency International [classifica redatta annualmente sulla percezione della corruzione nei vari paesi, n.d.r.] perché considera solo la percezione della corruzione. È difficile dire che quella classifica rappresenti un indicatore preciso della situazione. In più, un’altra debolezza di quell’indice è che si basa sui corrotti, non sui corruttori. Chi paga la tangente non è contato in quell’indice: per esempio io ho chiesto molte volte di elaborare una classifica che tenga conto dei corruttori, o delle banche che accettano denaro frutto di corruzione. Dire che la Cina è corrotta più o meno dell’Italia in base a questa classifica è difficile. Quello che è certo è che in Cina la corruzione – per quanto radicata – non costituisce un freno percepibile alla crescita. La corruzione è veramente pericolosa quando distrugge la sicurezza dei mercati e l’integrità del governo, arrivando quindi a interdire la crescita, come avviene talvolta in Italia, dove in alcune regioni la corruzione è un ostacolo enorme alla crescita economica.
Come vede la cooperazione tra Ue e Cina nella lotta alla corruzione?
Auspico che continui l’ottimo rapporto che si è creato. La Cina vede l’Europa come un potenziale alleato. Non hanno nessuna difficoltà a dialogare con noi. Per combattere la corruzione hanno preso l’esempio di Hong Kong nella fase di governo britannico, quando esisteva una commissione apposita, che Pechino ha poi mantenuto. Possiamo dire che nella lotta alla corruzione, come nella lotta alla criminalità organizzata, abbiamo una sintonia pressoché totale, anche nell’individuare le forme più nascoste della corruzione medesima.
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